venerdì 31 dicembre 2010

Una poesia di Borges per finire il 2010

FINE D'ANNO

Non è l'inezia simbolica
di sostituire un tre a un due
né la metafora banale che convoca
un tempo che si spegne e uno che nasce
né il compiersi di un processo astronomico
a scuotere e scavare
l'altopiano di questa notte
e a costringerci all'attesa
dei dodici rintocchi irreparabili.
L'autentica ragione
è il sospetto generale e confuso
dell'enigma del Tempo;
è lo stupore di fronte al miracolo
che nonostante le infinite sorti,
che nonostante siamo
le gocce del fiume di Eraclito,
qualcosa in noi perduri,
immobile.

Jorge Luis Borges, Fervore di Buenos Aires

mercoledì 29 dicembre 2010

Fame di realtà, di David Shields (Fazi)

Ci sono libri che vanno oltre il loro presunto significato. Ci sono libri che trasfigurano il loro contenuto. Ci sono libri che si trasformano in oggetti mutanti, divenendo strutture sfuggenti, impossibili da classificare e viventi quasi di vita propria. Fame di realtà va ben oltre il messaggio che intende trasmettere. La sua stessa veste tipografica ne fa una sorta di dashboard o di timeline. Una sorta di versione cartacea di quell'incessante fluire di informazioni che possiamo quotidianamente veder scorrere all'infinito su tumblr o su twitter. Come una creazione dadaista o futurista o surrealista, come una di quelle installazioni di arte contemporanea che fanno da sfondo ai romanzi di DeLillo, Fame di realtà è una performance che porta ad esempio prima di tutto se stessa. Il libro, il saggio, l'oggetto narrativo che permettono al mezzo e al messaggio di (con)fondersi, sovrapponendosi così al loro stesso contenuto, come la carta 1:1 dell'impero di borghesiana memoria. Provocatorio come un film di Andy Warhol o, meglio ancora, di Kenneth Anger, Fame di realtà non può essere una realizzazione legata ad una dinamica spaziotemporale tradizionale. Senz'altro è stato letto da Leopold Bloom, in qualche passaggio nascosto dell'Ulisse. Certamente una sua copia è stata nelle mani di V. o di Oedipa Maas. Myra Breckinridge ne avrà valutate alcune parti e una sua copia sarà sicuramente oggetto di qualche Culto del Cargo, in qualche sperduta isoletta del Pacifico.
Fame di realtà è un libro già morto prima ancora di nascere, anzi prima ancora di essere concepito, nella misura in cui esiste da sempre.
Come scrive Shields al punto 10, citando Terenzio: "E' impossibile dire qualcosa che non sia già stato detto."
Un libro.
Fame di realtà, di David Shields (Fazi).

martedì 28 dicembre 2010

Lepanto (La battaglia dei tre imperi), di Alessandro Barbero (Laterza)

Leggo sempre con grande interesse Alessandro Barbero. Lepanto è una ricostruzione sontuosamente imponente. Barbero, nella sua produzione, alterna, a volte, testi nei quali prevale l'elemento narrativo ad altri nei quali vi è una netta prevalenza della struttura classica, tipica del manuale storico. Lepanto appartiene senz'altro a questa seconda categoria (mi verrebbe da dire "a questa seconda personalità dell'Autore"). Ma non è certo una limitazione. Anzi. Se la struttura stessa del divenire della parola e della descrizione ha una propria vita, una propria rappresentatività, verrebbe da pensare che la ridondanza e l'affastellamento delle notizie abbiano come fine quello di rendere la confusione dei preparativi e la bolgia della battaglia. E' la stessa struttura che Barbero ha utilizzato per un'altra sua opera, dedicata alla battaglia di Waterloo (La battaglia. Storia di Waterloo, edita sempre da Laterza).
Ma Barbero sa bene che l'analisi storica non è e non può essere fine a se stessa. E, da grande narratore (prima ancora che da grande storico), ci conduce alla scoperta di un messaggio, di un missiva che, sin dall'inizio, ha tenuto in serbo per i suoi lettori.
La battaglia di Lepanto è stato un avvenimento che ha segnato profondamente la storia dell'Occidente e quella dei suoi rapporti con l'Islam. Ma l'elemento che per primo ha lasciato la sua traccia più profonda è stato quello mediatico propagandistico. La vittoria delle potenze occidentali utilizzata come una grande produzione ad uso e consumo dei mass media dell'epoca e dell'immaginario collettivo della posterità. Al di là delle rivalità fra le potenze cristiane, al di là delle incertezze dell'alleanza fra Spagna, Venezia e Papato, al di là di una visione unitaria che l'Occidente, coevo alla battaglia, non possedeva. Una vittoria mediatica dalle conseguenze ancora più durevoli della vittoria militare.
Come in Altai, dei Wu Ming, (non a caso situato storicamente nello stesso quadrante "caduta di Cipro-battaglia di Lepanto") la realtà storica nasconde la complessità dei reali giochi di potere, così in Lepanto abbiamo una chiara visione della complessità dei rapporti fra Storia apparente e Storia segreta.
Su tutto vigila il fantasma di Marcantonio Bragadin, altra icona granguignolesca dell'immaginario collettivo.
Un libro.
Lepanto (La battaglia dei tre imperi), di Alessandro Barbero (Laterza).

lunedì 27 dicembre 2010

Due nuovi punti Interno 4

Ricevo e pubblico volentieri questo comunicato stampa.


Nuova apertura di Pick-A-Book. Interno 4 torna a Roma!
Lo spazio si trova c/o Hellnation, storico negozio di dischi in via
Nomentana 113 a Roma.
Nella libreria potrete trovare una vasta gamma di titoli della piccola e
media editoria dedicati alle sottoculture giovanili, all'attualità, al
cinema, alla cucina etica e ambiente, alla politica, alle arti, al calcio,
alla musica e all'infanzia.
Gli orari di apertura sono dal lunedi al sabato dalle 10.30 alle 20.00
Durante il periodo natalizio la libreria sarà aperta anche la domenica.

PICK-A-BOOK Interno 4 Infoshop
c/o Hellnation Store
via Nomentana, 113
00161 Roma
Tel: 06 44252628


HARISSA INTERNO 4 INFOSHOP - Rimini
Le cose che voi cercate, Montag, sono su questa terra, ma il solo modo per
cui l'uomo medio potrà vederne il 99% sarà un libro
( Fahrenheit 451)
La lettura di tutti i buoni libri è come una conversazione con gli uomini
migliori dei secoli andati.
(René Descartes)

E’ con queste due citazioni che abbiamo il piacere di fare sapere a Rimini e
dintorni che un raggio di sole andrà a riscaldare queste tristi giornate
invernali.
L’Osteria Harissa diventerà infatti Infoshop Interno4.
Cosa significa? Significa che da sabato 13 dicembre all’interno di Harissa
verrà allestito uno spazio dedicato ai libri di qualità e ai piccoli e medi
editori, troppo spesso snobbati dalle grandi catene di distribuzione, dove
potrete trovare le ultime novità pubblicate da NdA Press, Shake Edizioni,
Marcos y Marcos, Becco Giallo, Castoro, ISBN, Minimum Fax. Voland, Edizioni
Ambiente, Nuova Frontiera e tante altre. Romanzi, saggi, fumetti, graphic
novel, libri per bambini, musica, cinema, ambiente, sviluppo sostenibile,
controculture giovanili, solo per fare alcuni esempi degli argomenti
trattati e delle tipologie di libri presenti nello spazio libri.
Non aspettatevi di trovare una vera e propria libreria, ma piuttosto una
piccola selezione dei migliori libri scelti ed aggiornati accuratamente da
un gruppo di amici che ha come passione il semplice fatto di leggere. Uno
spazio stretto tra bottiglie di vino del territorio e prodotti del commercio
equo, con libri appoggiati sul bancone e stretti negli scaffali ricavati dal
riutilizzo di cassette di legno usate per la frutta e la verdura.

Due note su cosa sono l’Osteria Harissa e Interno 4 Infoshop.
Interno 4 Infoshop è un progetto di librerie specializzate,con alto livello
di specializzazione su tematiche scelte dai gestori di ogni singola libreria
sulla base di fattori territoriali e di interesse personale.
Luoghi dello scambio e della socialità culturale, per cui al loro interno
dovranno sviluppare iniziative pubbliche di tipo culturale, politico,
artistico e sociale.
L’Osteria Harissa è un locale che da quattro anni, nel Centro Storico di
Rimini, propone una cucina dove miscela piatti etnici e popolari,
utilizzando solo prodotti proveniente dal territorio e dal circuito del
commercio equo e solidale. Un locale dove, sin dalla sua apertura, è
possibile mangiare, ma anche ascoltare musica dal vivo di qualità, letture,
performance, presentazioni di libri, incontri culturali. Un luogo pertanto
idoneo per il progetto librario che sta nascendo in questi giorni.

Gli orari di apertura della spazio Interno 4 sono quelli dell’osteria: a
pranzo dal martedì al sabato e la sera dal martedì alla domenica, a cui si
aggiunge adesso anche il sabato pomeriggio, il momento più adatto per bersi
una tisana con una fetta di torta fatta in casa o un bicchiere di vino dei
Colli di Rimini con qualche stuzzichino a Km 0.

Info: osteriaharissa.blogspot.com

HARISSA Interno 4 Infoshop
c/o Osteria Harissa
via L. Tonini, 39
47921 Rimini (RN)
Tel: 0541 25830



venerdì 24 dicembre 2010

Auguri

Tutto cambia, prima o poi, oppure tutto rimane immutato. Forse. Secondi, minuti, ore di tempo si accumulano e si caricano sulle nostre spalle. E' sempre stato così. E' così che deve essere. E' così che va. E magari si aspetta. Si attende qualcosa. Non si sa nemmeno bene cosa. E si arriva a questa notte. Quasi senza volerlo. Una notte dove si attende. Si attende qualcosa. Si attende che le cose cambino, o che restino sempre così. Ma il tempo si accumula e le visioni dei ricordi si annebbiano e anche le attese non hanno più, forse, alcun senso. Ma è così che funziona. E' così che va. E' così che deve andare. Forse anche questa notte è solamente un abbaglio. Forse è solo una domanda che non chiede nemmeno una risposta. Una domanda che sa di non avere una risposta.
Buon Natale a chi passerà davanti a queste parole, mentre starà andando in cerca di qualche risposta.

giovedì 23 dicembre 2010

Abitare con i libri, di Leslie Geddes-Brown (Mondadori)

Amiamo i libri, leggiamo i libri, sfogliamo i libri. I libri ci piacciono. I libri ci rappresentano, forse più di ogni altra cosa. In quell'accumulo di pagine che si sedimenta negli anni, ci è facile riscoprire la stessa sedimentazione dei tempi della nostra vita. Così come gli anelli di un tronco ne rappresentano l'età e/o la longevità, così quella sterminata sequenza di pagine lette, amate, odiate, non lette, rimandate, studiate, sentite e, perché no, magari rifiutate, se ne stanno lì sugli scaffali o sulle scrivanie a guardarci e a rappresentare quella forma del mondo che loro stesse ci hanno trasmesso.
Ma un libro vive e nasconde in se stesso ben più di una vita. Un libro è fatto dalle parole che abbiamo letto, dalle storie che hanno rapito la nostra immaginazione, dai sentimenti che abbiamo provato leggendolo. Ma un libro vive anche come oggetto, come strumento, come simbolo. E questa sua multiforme presenza l'ha trasmessa quasi magicamente, nel tempo, anche agli scaffali, anche alle librerie. E' come una forma di vita che, creata dall'unione del libro con le librerie, vive di una vita propria e diviene essa stessa simbolo. Simbolo, ancora più pregnante e significativo, di ciò che siamo stati, di ciò che siamo e di ciò che, forse, saremo.
Abitare con i libri è un libro fatto di immagini. Immagini di scaffali e librerie. Scaffali e librerie famosi e meno famosi, scaffali e librerie moderni e classici, scaffali e librerie prevedibili e originali, scaffali e librerie seriosi e divertiti, scaffali e librerie posti in cucina, in salotti Settecenteschi, in studi di scrittori ed editori, perfino in bagni e sottoscala. Il tutto corredato da preziosissimi consigli per gestire le nostre biblioteche personali.
Mancano solo due giorni a Natale. Questo è il regalo ideale se volete rendere felice un amante dei libri. Ma attenzione, non riuscirete ad acquistarne solo una copia, perché ne comprerete senz'altro un'altra anche per voi.
Non so che cosa accadrà con gli ebook, ma se volete dare un senso ai vostri labirinti borghesiani, fatti di libri, scaffali e librerie, Abitare con i libri è il baedeker che cercavate.
Un libro.
Abitare con i libri, di Leslie Geddes-Brown (Mondadori).

martedì 21 dicembre 2010

I 1000 caratteri di Leonardo Moro

E' sempre interessante quando un blog si occupa di libri, letteratura, autori (insomma tutto quello di cui si occupa anche questo spazio) in modo originale. Il rischio che condividiamo un po' tutti è quello di essere, a volte, autoreferenziali o ripetitivi. E' per questo che ho accettato subito l'invito di Leonardo Moro a scrivere qualche cosa per il suo blog Brown Bunny Magazine. Mi è piaciuta l'idea di far raccontare in 1000 caratteri la quotidianità vissuta da chi ha la passione della e per la scrittura. Ne escono una serie di ritratti dove ogni scrittore gioca forse a rimpiattino con se stesso, cercando di mostrarsi e, nel contempo, di nascondersi, in un gioco borgesiano di rimandi al (ma anche di fughe dal) proprio stile.
Se vi interessa leggere il mio contributo ai 1000 caratteri, potete farlo qui.

lunedì 20 dicembre 2010

Lepanto e WikiLeaks

Sto leggendo l'ultimo libro di Alessandro Barbero (Lepanto, la battaglia dei tre imperi, Laterza). Al di là del fatto che Barbero è uno straordinario affabulatore (cosa rara per uno storico, ma non dimentichiamoci che Barbero nel 1996 vinse lo Strega con il romanzo Bella vita e guerre altrui di mr. Pyle gentiluomo, edito da Mondadori), una cosa mi è apparsa improvvisamente chiara, mentre ero immerso nella lettura di questo suo ultimo saggio storico. Barbero rafforza la sua analisi con la continua citazione di lettere e dispacci, per la maggior parte "riservati", furiosamente scambiati fra ambasciatori, generali, ammiragli, sovrani, governi di repubbliche marinare, papi e cardinali negli anni fra la caduta di Cipro e la battaglia di Lepanto. Dalla lettura di questa corrispondenza "segreta" si rilevano tutti i retroscena dei rapporti fra le potenze mediterranee della seconda metà del Cinquecento. Credo che Julian Assange, se si ritrovasse misteriosamente catapultato nel XVI secolo, troverebbe molte affinità fra quelle corrispondenze e i moderni dispacci della diplomazia contemporanea.
Se Cicerone sosteneva che la Storia è maestra di vita, la vicenda di WikiLeaks ha dimostrato senz'altro che la Storia, al di là dei tempi, non cambia mai le sue dinamiche. E, per nostra fortuna, noi, protagonisti della Storia immobile (quella dei comuni mortali), grazie ad Assange, abbiamo potuto conoscere, per una volta, quello che si nasconde dietro alla Storia eroica (quella dei re, dei papi e degli imperatori).

giovedì 16 dicembre 2010

Intervista a Massimo Roccaforte

Massimo Roccaforte è l'ideatore di NdA (Nuova distribuzione Associati), la prima distribuzione "specializzata" in editoria di qualità, l' unica realtà organizzata sul territorio nazionale dedicata principalmente a librai indipendenti, centri sociali, associazioni e gruppi di base. 
Questa è l'intervista che mi ha concesso.


Massimo, vuoi spiegarci che cos’è NdA Press?
NdA press è il marchio delle edizioni che prendono il nome da NdA (Nuova distribuzione associati) la prima distribuzione specializzata in editoria di qualità nata nel 1999 a  Milano. Dall’esperienza distributiva, che a tutt’oggi permane il fulcro centrale della nostra attività, sono nate altre realtà come la casa editrice, le librerie Interno 4, l’etichetta discografica Interno 4 Records e altre esperienze editoriali sono entrate a farne parte, come ad esempio la ShaKe edizioni di Milano e la Xl edizioni di Roma.

La distribuzione sta assistendo, così come l’editoria, ad un forte processo di concentrazione. Quali sono le conseguenze per la piccola e media editoria e per la distribuzione indipendente?
La concentrazione distributiva riduce ancora di più gli spazi nelle grandi librerie per i piccoli editori, creando sicuramente un mercato chiuso, poco disponibile ad accogliere le minoranze, direi anche poco democratico. Da una situazione così drammatica può nascere un’opportunità sia per la distribuzione che per gli editori, ovvero tentare la costruzione di un circuito specializzato rivolto ai lettori più esigenti e dedicato esclusivamente agli editori di qualità. Un’opportunità su cui direi che noi, con tutti i nostri limiti, abbiamo scommesso e su cui stiamo lavorando da anni.
Su questo tema comunque, permettimi una riflessione: mi sembra che il mercato dei libri in Italia, rispetto al mondo editoriale diffuso (riviste, televisioni,radio) sia già di per se il mercato più povero e che gli editori di libri, dagli anni 70, stanno subendo un espulsione da questo mercato, espulsione che adesso si sta definitivamente realizzando.

Lo stesso processo di concentrazione sta mutando il panorama delle librerie. Alle piccole librerie vanno sostituendosi catene impersonali e tristi scaffali negli ipermercati. Che si può fare per tutelare il patrimonio di attenzione culturale rappresentato dalle librerie tradizionali?
Credo che librerie tradizionali, per come le abbiamo conosciute fino ad oggi, siano destinate in buona parte a scomparire, sostituite da due o tre realtà:
- le librerie di catena;
- le librerie in franchising;.
- le piccole librerie specializzate che insieme ai libri saranno in grado di offrire una profonda conoscenza del mondo editoriale e soprattutto saranno in grado di produrre socialità e identità nel loro progetto.

Web 2.0 ed ebook. Come vedi la loro irruzione nel mondo editoriale? Possono essere un’opportunità, possono addirittura mutare lo stile di narrazione e quello della veste editoriale, oppure contribuiscono alla spersonalizzazione del rapporto tra autore e lettore?
L’ebook sarà sicuramente una bella opportunità per tutti i protagonisti della filiera editoriale, in particolare penso agli autori e ai lettori. In parte trasformerà il nostro modo di leggere i libri, lo arricchirà ed in alcuni casi sostituirà il classico formato ma sono convinto che non cancellerà il libro cartaceo.

Le tue proposte editoriali sono molto particolari: musica, cultura pop e underground, ambiente, ecc. ecc. Credi che un certo tipo di espressività sia destinata a rimanere rinchiusa in una nicchia o possa essere una sorta di avanguardia per la cultura in generale (mi riferisco, ad esempio, alla letteratura Beat o a Burroughs che sono diventati imprescindibili paradigmi letterari del loro e del nostro tempo)?
Credo di si, le avanguardie per loro stessa definizione ad un certo punto smettono di essere il luogo della ricerca e della sperimentazione per farsi cultura mainstream o trasformarsi in qualcosa di diverso. E’ sempre stato così: i più audaci o fortunati, sono destinati in qualche modo ad essere preda del mercato principale, quello che fa la massa e con il quale qualsiasi movimento underground, che non riesce a fare la rivoluzione, sia essa culturale, sociale o politica, deve confrontarsi per non chiudersi in vicolo senza uscita. Credo che molti militanti, artisti, scrittori, musicisti, editori, abbiano come necessità  quella di arrivare con la propria attività a più persone possibili. La regola poi è che il mercato, vecchio e furbo, sempre affamato di novità, per potersi rinnovare guardi al mondo giovane, alternativo e conflittuale per poterne sfruttare in chiave speculatrice la sua forza innovatrice.

Dal tuo punto di osservazione cosa vorresti consigliare a chi ha il fatidico (o fatale) “libro nel cassetto”?
Di tenerselo stretto al cuore oppure di mettere in conto la sconfitta. Tantissima gente scrive e per fortuna, direi io, non c’è spazio per tutti: saremmo sommessi dai libri!  Da questo punto di vista l’editoria e la distribuzione digitale dovrebbero venire incontro a tutti quelli che non riescono a vedere pubblicati i propri lavori su carta. Da un altro punto di vista penso che sia giusto ci sia una scrematura tra le centinaia di manoscritti che girano per le case editrici. In ultimo, come detto all’inizio, penso che sia bello scrivere per se stessi e in se stesso e non per forza consiglierei, a chi ha il proprio libro nel cassetto, di sottoporsi al calvario di rifiuti, giudizi, stravolgimenti e magari difficili e tormentose pubblicazioni che regolano oggi il mercato editoriale, almeno quello dei piccoli editori.

lunedì 13 dicembre 2010

Quattro chiacchiere con...Luigi Pagano

Luigi Pagano provveditore agli Istituti di pena lombardi
dialoga con Davide Ferrario regista
Giovedì 16 dicembre 2010 ore 17,30 - Santa Maria Gualtieri
“Libertà dietro le sbarre”
La vita, la pena, la speranza
coordina: Vincenzo Andraous - tutor della Comunità “Casa del Giovane”

Sangue mio "Molti anni fa incontrai Andrei Vaijda, il grande regista polacco, e in una conversazione a tavola mi disse che per narrare una storia occorre almeno uno di questi due elementi fondamentali: una storia d’amore, o comunque di relazioni, o una ricerca di qualche cosa. Spesso le due cose coincidono. Credo che anche Sangue mio si ispiri a questa regola aurea poiché racconta una storia di relazioni tra un padre e una figlia che non si sono praticamente mai conosciuti - e una ricerca, che è poi la ricerca di se stessi attraverso un viaggio nel quale questi due
personaggi che non si sono mai confrontati prima, cominciano a guardarsi, ad annusarsi e a conoscersi pian piano..."

Il regista di “Tutti giù per terra”, “Guardami”, “Dopo mezzanotte” e “Tutta colpa di Giuda” presenta “Sangue mio”, il suo nuovo romanzo.

Luigi Pagano, a lungo direttore del carcere milanese di San Vittore, ora nuovo Provveditore agli Istituti di pena lombardi; racconta problemi e difficoltà nel far funzionare un'istituzione repressiva con migliaia di detenuti.

Davide Ferrario comincia la propria attività di regista nel 1987 con il cortometraggio “Non date da mangiare agli animali” e nel 1989 dirige il suo primo “La fine della notte”. Nel 1991 dirige il documentario “Lontano da Roma” sulla Lega Nord, trasmesso dalla Rai, e nel 1995 produce e realizza assieme a Guido Chiesa il documentario “Materiale resistente”.

Fonte: http://bibliotecabonetta.blogspot.com/2010/12/quattro-chiacchiere-con-luigi-pagano.html

domenica 12 dicembre 2010

L'Italia del 12 Dicembre

C'è un insondabile elemento in ogni ricorrenza che, col tempo, la rende parte di un'abitudine. E le abitudini, prima o poi, nel loro automatismo quasi costretto, si dimenticano. Forse è proprio questa reiterazione a costituire la segreta speranza di chi, da sempre, vive nell'ombra e nelle pieghe della presunta ragione di stato.
Il 12 Dicembre del 1969 (quel 12 Dicembre del 1969) ha segnato un inizio, un inizio che mai ha avuto fine. Un inizio che lentamente si è incardinato nelle nostre abitudini e che ha trasformato la tragica storia del nostro paese in una sequenza di fredde immagini. Ecco perché, con le parole di Francesco De Gregori, la miglior frase che si possa dire e ricordare è una frase che non porta con sé l'oblio:
Viva l'Italia, l'Italia del 12 dicembre, 
l'Italia con le bandiere, l'Italia nuda come sempre,
l'Italia con gli occhi aperti nella notte triste,
viva l'Italia, l'Italia che resiste. 

martedì 7 dicembre 2010

Intervista a Luca Lorenzetti

Luca Lorenzetti, giornalista pubblicista, è stato presidente dell'Associazione Nazionale Stampa Online, che ha contribuito a fondare. Ha pubblicato numerosi libri e manuali dedicati alla scrittura e al Web. L'ultimo è Scrivere 2.0. Questa è l'intervista che mi ha concesso.

Nelle primissime pagine di Scrivere 2.0 esorti il lettore ad organizzare il proprio lavoro per non perdere il contatto con la continuità della scrittura. A questo proposito citi Heather Sellers: “Se ti prendi un giorno di pausa dalla scrittura, la tua musa si prenderà i tre successivi”.
Trovo questa citazione decisamente azzeccata. Ma, nell’ottica del web 2.0 inteso non solo come strumento ma anche come ambiente dotato quasi di una vita propria (penso alla versione “social”), la scrittura è sempre la stessa di quando si usava la “lettera 22” o il mezzo ha cambiato anche il messaggio?
Affronto questo tema proprio nel primo capitolo del libro, scaricabile gratuitamente da qui dove propongo un elenco di quelle che a mio avviso sono le mutazioni più evidenti che la scrittura ha subìto in seguito all'affermazione del web sociale. La scrittura ai tempi del Web 2.0 è proiettata naturalmente verso la condivisione e fortemente predisposta verso la collaborazione. Ciò che scriviamo su blog e social network, dove il contenuto prescinde dal contenitore, può prendere percorsi spesso imprevedibili. E' inoltre una scrittura potenziata e arricchita da elementi ipertestuali e multimediali.
Il Web ha cambiato profondamente il nostro modo di scrivere e di comunicare. Ti faccio un esempio che viene proprio da una mia lettrice, Camilla Cannarsa di Librisulibri.it, che a proposito di Scrivere 2.0 ha scritto che quando lo apri "la prima sensazione che hai è quella di avere davanti un blog di carta". Questa affermazione, che mi ha colpito particolarmente, mi ha anche confermato quanto io abbia ormai metabolizzato il Web nella mia scrittura, nel modo di comunicare e di esporre i contenuti. 
Quando circa un anno fa, cominciando a lavorare sul libro, sono tornato a scrivere un testo pensato inizialmente solo per la carta, mi sono trovato a soffrire per l'impossibilità di poter ricorrere in modo naturale a elementi come l'ipertesto e la multimedialità. Avvertivo quasi come un handicap il fatto di non poterli utilizzare nella mia scrittura. 

Nel secondo capitolo del tuo libro offri un’interessante disamina di tutti quegli strumenti che ci permettono di prendere appunti durante la navigazione sul web. È chiaro che ormai, quando scriviamo e componiamo dei testi, facciamo prima ad andare su wikipedia, piuttosto che accingerci alla consultazione di tomi e tomi di grandi opere ed enciclopedie. Anche Umberto Eco lo ha ammesso. Tuttavia la ridondanza di informazioni del web, a volte, si scontra con esigenze di chiarezza e scientificità. Possiamo trovare documenti estremamente esaustivi ed altri invece inesatti e superficiali. Chiaramente è questo il fascino del web, che nasce appunto da un’azione dal basso caratterizzata dalla creazione condivisa ma che, a volte, soffre di imprecisione. Cosa pensi si debba fare per essere sempre sicuri della serietà delle fonti che si trovano sul web?
Questo è un discorso molto ampio e pieno di distinguo. L'attendibilità delle fonti non ha un collegamento diretto con il medium. Non tutto ciò che viene veicolato dai media tradizionali è, ipso facto, attendibile. Certo, sul web si moltiplicano le fonti dunque per il lettore diventa fondamentale sapersi orientare in autonomia.
Un giornalista, nel tempo, solitamente sviluppa un occhio più clinico verso l'analisi delle fonti, e impara a discernere in modo più immediato e epidermico ciò che può essere verosimilmente attendibile da ciò che probabilmente non lo è. Coloro che non fanno questo mestiere partono certamente più svantaggiati, da questo punto di vista.
Non credo esista un modo per essere sempre sicuri della serietà delle fonti, c'è piuttosto una autorevolezza e una credibilità che nel tempo, grazie all'esperienza e ai riscontri, le fonti stesse possono acquisire ai nostri occhi.
Un metodo che dal punto di vista giornalistico consiglio di usare - quando non fosse possibile verificare direttamente la fonte, che è la condizione comunque sempre preferibile - è quello di non fermarsi "alla prima osteria", bensì di provare a confrontarne più di una. La giustapposizione di fonti diverse, soprattutto se non collegate tra loro, può portare ad una base già più concreta sulla quale lavorare.

Punti molto sul concetto di “condivisione” dei documenti e fornisci anche gli strumenti più adeguati per farlo. Credo che questo possa aiutare molto quei gruppi di lavoro i cui componenti si trovano a grande distanza fra loro. Penso ad aziende con filiali in differenti città o al lavoro di ricerca universitaria che avviene con la collaborazione di enti o strutture universitarie situate, a volte, in nazioni o continenti diversi. A volte, tale lavoro si occupa di argomenti sensibili dal punto di vista della riservatezza e del valore economico. Quali sono gli strumenti per condividere sì, ma in sicurezza?
Nel primo capitolo del libro ho inserito un paragrafo che si chiama "il rovescio della medaglia", dove metto in guardia i lettori da alcuni possibili "effetti collaterali" che derivano dallo scrivere utilizzando applicazioni web based. Faccio riferimento, tra le varie cose, al fatto che non tutte le applicazioni potrebbero essere stabili, dal punto di vista del servizio offerto, e che in ogni caso è sempre buona cosa leggere le policy di utilizzo dei vari servizi e eseguire periodicamente una copia di backup del nostro lavoro, a prescindere dall'applicazione che stiamo utilizzando.
Fermo restando che il discorso della privacy e della protezione dei contenuti condivisi è allargabile a tutte le applicazioni online, in primo luogo ai social network, personalmente credo che questa sia una delle cose da mettere in conto quando si lavora online e si condividono contenuti in rete, e che sia l'inevitabile "scotto" da pagare quanto si opera da remoto direttamente su uno o più server, invece che in locale. 
Indubbiamente su questo fronte c'è ancora molto da lavorare per garantire una maggiore tutela agli utenti. Sta di fatto che tutti i grandi del Web, da Google a Microsoft, da Amazon a Apple, stanno attivando o hanno attivato da tempo delle soluzioni professionali per il cloud computing. Spostarsi verso "la nuvola" è un trend ormai ben visibile e indirizzato. E' verosimile pensare che il futuro del computing vada in quella direzione, anche perché sono obiettivamente molti più i benefici che i possibili rischi.
Diciamo comunque questo: se da un punto di vista personale o professionale gestiamo documenti che sono di natura strettamente riservata, o il fatto di conservare la copia di un documento su un server remoto può scontrarsi con le policy di sicurezza o di riservatezza della nostra azienda, allora il consiglio è quello di non ricorrere a questi servizi e di optare per altre soluzioni.

Ho letto con grande attenzione i capitoli dedicati all’ebook. Giustamente dici che il singolo autore che voglia autoprodursi, non può fare a meno di quegli elementi che possono rendere il suo ebook professionalmente presentabile e degno quindi di essere preso in considerazione dal pubblico. Nel dibattito che ormai da tempo si svolge in rete e fuori, mi pare si dica sostanzialmente: rimarranno le piattaforme della grande editoria, ci saranno quelle dei piccoli editori, poi ci sarà lo spazio per quegli autori in grado di imporsi da soli e in fondo alla piramide rimarranno i “cantinari” che faranno solo confusione senza professionalità.
Pensi che l’ebook riposizionerà in qualche modo il rapporto fra autore ed editore o, pur mutando il mezzo, i rapporti rimarranno gli stessi?
Ho posto questa stessa domanda al panel di esperti che ho intervistato per il mio libro, e ho raccolto punti di vista anche piuttosto divergenti sull'argomento. Personalmente, sono vicino all'opinione di Giuseppe Granieri, quando dice che molto dipenderà da come si diffonderanno i casi di successo di autopubblicazione.
Credo che il digitale stia portando e porterà notevoli benefici, in senso sia editoriale che commerciale, all'autore, all'editore così come al lettore. Vedendola dal punto di vista di chi scrive, è evidente che per gli autori si aprono prospettive e possibilità nuove, e personalmente credo che quando si aggiungono nuove opzioni e nuove opportunità a quelle già esistenti, è sempre una cosa positiva.
Il fatto di poter percorrere strade alternative a quelle tradizionali porterà verosimilmente gli autori a avere un maggior peso nella filiera editoriale, al quale si accompagnerà un maggiore potere "contrattuale". La sfida che dovranno sapere raccogliere, da parte loro, gli editori sarà invece quella di far capire, ancora meglio e ancora più che prima, qual è l'effettivo valore aggiunto che essi stessi possono regalare alle opere degli autori. Nonostante dunque l'editore possa essere tecnicamente bypassato, credo che siano molti i motivi che lo rendono, ancora oggi, un soggetto chiave nella filiera editoriale. 

Da più parti, specialmente sul web, si discute del fatto che l’ebook non può essere solamente la traslazione digitale del libro cartaceo. Si intravede quindi la necessità di contenuti nuovi o “altri” rispetto a quelli classici. Qualcuno si è addirittura spinto a dire che sono gli stessi autori a non essere in grado di fornire questi contenuti e che il libro digitale produrrà pertanto anche nuovi scrittori, più avvezzi al nuovo mezzo. È soltanto “teologia per seggiolini eiettabili” o, secondo te, questa esigenza ha qualche fondamento?
Questa cosa in realtà è già successa con il web: ci sono soggetti - senza chiamarli necessariamente "autori" - in grado di produrre contenuti di carattere multimediale come video, podcast o altro, al di là di quelli prettamente testuali. Parliamo di utenti che hanno una padronanza superiore degli strumenti e una maggiore consapevolezza del mezzo rispetto alla media. Abbiamo visto però che la vera esplosione degli user generated contentavviene sempre quando le barriere d'accesso alla tecnologia si abbassano. E' successo ad esempio con i blog: fintanto che per aggiornare un sito web era necessario avere competenze di html, erano solo (relativamente) pochi coloro che riuscivano ad essere autonomi. Quando hanno iniziato a prendere piede i CMS, in particolare quelli open source, la crescita di blog e siti web è aumentata esponenzialmente.
Parlando di libri, le tecnologie che permettono di creare ebook multimediali, o enhanced, sono ancora ad appannaggio di pochi. Credo arriveranno presto le tecnologie che renderanno tutto questo (incorporare contenuti multimediali in un libro digitale, scrivere ebook "arricchiti") molto più semplice da realizzare, ma ancora siamo in una fase assolutamente mutevole, non vedo soluzioni definitive. C'è, per contro, un moltiplicarsi di soggetti che offrono servizi di vario tipo agli autori: dalla conversione in formato ePub alla creazione di applicazioni per iPhone o iPad, dalla stampa in digitale alla distribuzione sui maggiori ebook store online.

sabato 4 dicembre 2010

Classifiche

Per il terzo mese consecutivo, il mio blog è nella Top 20 dei blog letterari, secondo la classifica di Wikio.
La fonte è il blog di Loredana Lipperini.

CLASSIFICA WIKIO DI DICEMBRE

1Booksblog
2Finzioni
3Nazione Indiana
4Lipperatura di Loredana Lipperini
5Carmilla on line
6Giap, la stanza dei bottoni di Wu Ming
7Sul romanzo
8La poesia e lo spirito
9Libri Blog
10Il primo amore
11minima & moralia
12Poesia 2.0
13Sandrone Dazieri
14Il blog del Mestiere di Scrivere
15Angolo Nero
16Notte di nebbia in pianura
17Elvezio Sciallis
18D’Andrea G.L.
19slowforward
20Scrittori precari
Classifica curata da Wikio

venerdì 3 dicembre 2010

La rivoluzione dei corpi

Ho una vera e propria venerazione per Don DeLillo. Tempo fa lessi una sua opera, forse datata, scritta nei '70: Great Jones Street. Non sempre, quando incontro un libro o un autore, mi metto sulle sue tracce. Credo che l'attesa di un tempo adatto, e forse migliore, per affrontare le parole di uno scrittore faccia parte del gioco. Non sopporto le mode letterarie, non sopporto la costrizione della lettura. Certi incontri con certi autori, con certi nomi e con certe parole che sono l'ossatura e la struttura delle loro storie, debbono, per forza di cose, subire un processo di decantazione. Umberto Eco dice che nella letteratura non opera il darwinismo. Non c'è fretta, quindi, nel lasciarsi andare all'incontro con certi libri. Incontro le parole di Great Jones Street per ultime, dopo aver letto tutta la produzione successiva di DeLillo. Ma i libri di uno scrittore non vanno apprezzati in una rigida successione temporale. In ognuno di essi ci può essere tutto il passato e, perché no, anche tutto il futuro di chi li ha scritti, a prescindere dal momento in cui sono stati composti.
In Great Jones Street trovo una frase che mi colpisce: Qualsiasi opera pornografica ci avvicina di un passo al fascismo.
DeLillo è un cercatore di contraddizioni, un voyeur instancabile della follia della nostra contemporaneità di plastica e, pertanto, questa sua frase non mi stupisce, anzi, mi conferma nell'opinione che ho di lui.
La cito anche sul mio tumblr, che utilizzo come una moleskine di appunti e note interessanti, degne, forse, di successivi sviluppi.
Poi, nella vita accadono coincidenze che ci permettono, quasi nostro malgrado, di connettere elementi sparsi che ci avevano colpito, in attesa di una loro esplicazione.
Tempo fa Giacomo Alfredi mi segnala un articolo di Mario Perniola. Credo che questo articolo e la citazione di DeLillo, che aveva attirato la mia attenzione, abbiano qualche punto in comune o, forse, rappresentino un punto di unione intellettuale che si ritrova annullando tempi e distanze.
Riporto integralmente il testo dell'articolo, il cui originale si trova qui.
Il testo che anticipiamo è parte dell' intervento che sarà svolto per Film Forum 2010 dedicato all' immaginario pornografico. Il festival si tiene dal 19 al 24 marzo tra Udine e Gorizia La produzione dei film di Hollywood fu retta dai primi anni ' 30 fino al 1966 da un regolamento di autocensura che vietava la rappresentazione di qualsiasi comportamento o immagine ritenuta immorale; questo orientamento viene abbandonato a cominciare dagli anni ' 60. Attraverso una progressiva deregolamentazione si è arrivati alla situazione attuale in cui perfino i bambini attraverso Internet hanno un facile accesso a ogni sorta di video pornografico. Il punto di partenza di questo sorprendente cambiamento è la cosiddetta Rivoluzione sessuale degli anni ' 60, che resta un evento storico difficile da interpretare: c' è qualcosa di incomprensibile e di enigmatico in questa deregolamentazione che ha trovato il suo avvio negli Stati Uniti, ma si è poi estesa all' Europa occidentale. I paesi comunisti sono invece rimasti fedeli al progetto politico di una società retta da principi di moralità sessuale. Le idee della Rivoluzione sessuale non erano una novità: esse erano state elaborate negli anni ' 20 e ' 30 dal movimento "Sexpol". Il principale animatore di tale movimento fu lo psicoanalista Wilhem Reich, il quale condusse una battaglia contro due fronti: da un lato contro il nazionalsocialismo, dall' altro contro il comunismo sovietico. Reich attribuiva il successo della propaganda nazifascista all' attivazione di profonde pulsioni inconsce di carattere repressivo e di origine patriarcale; nello stesso tempo stigmatizzava con estrema energia l' involuzione reazionaria della politica e della società sovietica, che aveva ripristinato la legge contro l' omosessualità, ostacolato l' aborto e restaurato il matrimonio e la famiglia coattiva. Qualche anno dopo la morte di Reich, avvenuta nel 1957 in una prigione degli Stati Uniti, il suo libro La rivoluzione sessuale conosce un grandissimo successo e diventa uno dei testi teorici fondamentali di riferimento della deregolamentazione sessuale occidentale, insieme ai testi di Marcuse e di Norman O. Brown. Contemporaneamente opere di narrativa, la cui pubblicazione era stata per decenni bloccata dalla censura, diventano popolarissime. A chi è stato giovane in Occidente negli anni ' 60 la Rivoluzione sessuale è apparsa come qualcosa di ovvio, strettamente connesso con le idee di democrazia e di sviluppo: guardandola secondo la prospettiva di un orizzonte storico più ampio, essa appare come una breve parentesi tra la repressione delle immagini sessuali durata in Occidente per secoli e l' attuale diluvio di immagini pornografiche accessibili a tutti che crea alla fine, proprio per la sua infinita abbondanza, la scomparsa di ogni tensione erotica. Il carattere straordinario e anomalo della Rivoluzione sessuale degli anni ' 60 trova una spiegazione nel venir meno delle due grandi paure connesse con i rapporti sessuali: la scoperta di una cura capace di sconfiggere la sifilide e la commercializzazione della pillola anticoncezionale (che era stata inventata già trent' anni prima). Tuttavia queste interpretazioni non sono sufficienti a spiegare un fenomeno di massa così rivoluzionario che smantella in pochi anni tabù e divieti secolari. Un fattore finora non sufficientemente preso in considerazione è quello politico: la Rivoluzione sessuale è stato un aspetto della guerra fredda contro il comunismo, molto più efficace dei missili e della bomba atomica. Insieme alla disponibilità di beni materiali e di consumi, la deregolamentazione sessuale dell' Occidente ha costituito qualcosa di molto più attraente dei Piani quinquennali sovietici. Alla prima fase della deregolamentazione sessuale, dal 1965 al 1980, che è stata focalizzata sul permissivismo dei comportamenti sessuali, segue una seconda fase in cui in brevissimo tempo viene depenalizzata la pornografia, segregata dai secoli nei bordelli, negli scaffali dei bibliofili, nei boudoir o negli enfers delle biblioteche. Anche in questo caso c' è una spiegazione tecnica, che dipende dalla diffusione delle videocamera e delle cassette video. Tuttavia questa svolta avrebbe potuto benissimo essere bloccata dalla censura e restare clandestina, come era avvenuto per la fotografia pornografica, la quale ha impiegato più di cento anni per essere legalizzata. Come si spiega dunque questa rapida e improvvisa deregolamentazione della pornografia a partire dal 1980? Certo è che si realizzava in modo veramente derisorio e beffardo un altro aspetto del programma del Sexpol! La famiglia era destabilizzata non dal comunismo, ma dal capitalismo attraverso la televisione,i video e oggi da Internet. I genitori sono così messi fuori gioco, non meno della scuola. Che cosa è successo nel 1980 di tanto pericolosoe temibile per l' Occidente da indurlo a scegliere una strategia tanto permissiva e lassista? L' 11 febbraio 1979 a Teheran viene ufficialmente dichiarata la fine della monarchia e proclamata la Repubblica islamica dell' Iran. Nasce così un regime teocratico e ultra-puritano che si presenta come la prima manifestazione di una Rivoluzione di impatto globale. Dinanzi a un evento tanto inaspettato e contrario a tutte le filosofie della storia democratiche e laiche, l' Occidente elabora due strategie culturali opposte. La prima ha il carattere della rivalità mimetica e porta alla rinascita del fondamentalismo cristiano, che presenta caratteri specifici a seconda dei differenti paesi: negli Stati Uniti porta ad una controrivoluzione conservatrice e neopuritana che si esprime nell' elezione di Ronald Reagan alla presidenza e alla sua campagna contro l' Impero del male. La seconda strategia condotta simultaneamente alla prima ha invece un segno opposto: la deregolamentazione della pornografia, che offre al mondo intero (ma soprattutto a quello islamico) una sfida di proporzioni colossali: l' immagine del paradiso in terra qui ed ora. Con Internet a partire dai primi anni Novanta è compiuto un passo ulteriore: si passa dalle videocassette pornografiche alla disponibilità diretta e immediata di qualsiasi materiale pornografico. Il punto di arrivo finale è rappresentato dal Web2 e da YouTube dove si può vedere tutto gratuitamente per un tempo illimitato. Qualche anno fa la pornografia poteva essere definita ancora un mercato moribondo in piena espansione; oggi sembra che essa abbia raggiunto lo stadio del suo compimento. La prospettiva di una pornografia fatta da adolescenti per loro uso e consumo rappresenta la sua fase finale. - Mario Perniola

martedì 30 novembre 2010

La pelle dopo Kaputt

C'è un sottile elemento, a noi a volte del tutto sconosciuto, che ci tiene legati a certe parole, a certe immagini, a certi libri, a certi autori. Certamente le visioni dell'immaginario cinematografico rendono esposta questa nostra segreta predilezione. E come non ricordare l'atteggiamento mollemente fatalista di Marcello Mastroianni che impersona Malaparte nel film La pelle di Liliana Cavani. Dopo aver letto Kaputt mi sono ricreduto sulla mia personalissima idea che avevo del suo autore. I libri sono come le persone. Ne sentiamo parlare, nel bene e nel male, e ce ne facciamo un'idea che, il più delle volte, è mutuata da queste informazioni de relato, influenzate inoltre, per quanto riguarda le narrazioni, dalle presenze, più o meno fatiscenti, sedimentate nel nostro percorso di formazione.
Su Kaputt e su Malaparte avevo già espresso qui alcune note. Ora, complice la mia frequentazione di librerie, scopro che Adelphi, che meritoriamente ha in corso di pubblicazione le opere di Curzio Malaparte, porta in libreria La pelle. Per ora la copertina ocra se ne sta in cima al cumulo dei miei sensi di colpa, rappresentato dai libri da leggere che, come un insistito atto d'accusa, mi guarda con insistenza. Ma La pelle è lì e, al più presto, inizierò il confronto con i fantasmi che racchiude.

venerdì 26 novembre 2010

Il nocciolo della questione (goodreads e anobii)

Tempo fa ho scritto un post che aveva per argomento l'esigenza, ormai comune a noi tutti, di rendere pubbliche le nostre librerie per mezzo di anobii. Poi, subito dopo, per ironia della sorte o a causa del destino cinico e baro, il social network libresco, ubicato nel lontano Oriente, ha cominciato a dar segni di preoccupante rallentamento e malfunzionamento, mettendo a dura prova la mia fede in lui. Al punto che, sul mio tumblr, pochi giorni fa mi sono messo a comporre, da seguace tradito, una semiseria lettera aperta a Greg Sung, il fondatore di anobii. E quindi, dopo tanto faticare per costruire le nostre librerie anobiane, è sorta sul web l'esigenza di ricercare alternative. Per carità, nulla è eterno, tantomeno i social network. E il web, nella sua frequentazione quotidiana, dà una parvenza di eternità anche all'effimero. Se poi calcoliamo che anche l'Impero Romano è caduto, allora c'è veramente da cominciare a guardarsi intorno.
Sono così diventato titolare di una doppia cittadinanza da social network libresco. Da una parte anobii (questa strana struttura che nasce a Hong Kong e trova il suo maggior numero di adepti in Italia) e dall'altra goodreads (oggetto ancora misterioso, dove la community italiana è decisamente minoritaria).
Se volete provare anche voi l'ebbrezza della scoperta di nuovi continenti andate qui (e, come me, ringraziate la rivista Finzioni).
All'inizio farà freddo, abiterete in una tenda, dovrete scavare un fossato e costruire una palizzata per difendervi dagli attacchi degli indiani e, soprattutto, scoprirete che solo una parte della vostra biblioteca anobiana verrà importata. Ma, niente paura: si dice che le cose miglioreranno. 
Se poi tutto questo andare e venire servirà a svegliare i vertici di anobii e a migliorare il funzionamento del sito, ben venga. 
Pensate che noia se alla Microsoft non dovessero guardarsi da Steve Jobs, o se alla Coca Cola non avessero da pensare alla Pepsi. Un po' di migrazione verso goodreads non può che far del bene anche ad anobii, sempre però che ad Hong Kong se ne accorgano.

giovedì 25 novembre 2010

World Wide We, di Mafe de Baggis (Apogeo)

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando Jacques Séguéla pubblicava quel libro il cui titolo è diventato un vero e proprio tormentone nel mondo delle citazioni: Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario...Lei mi crede pianista in un bordello. Ed è passata altrettanta acqua dai tempi delle notti dei pubblivori, delle nonsolomoda, dalle Milano da bere, da quello sdoganamento molto anni Ottanta, che fece assurgere la pubblicità a vette di protagonismo. Si girava per case editrici e le parole chiave erano advertising e marketing (o marchetting, come sibilavano i maligni, costretti ad una espressività clandestina, degna di un samizsdat). La pubblicità era diventata succedanea della filosofia e quei tempi le demandavano tutte le risposte ai quesiti fondamentali della vita. Non che le cose fossero state differenti in passato, per carità. Edward Louis Bernays (nipotino di un certo zio di nome Sigmund Freud) applicò sin dagli anni Venti del secolo scorso le tecniche di persuasione occulta e inconscia per influenzare gli acquisti. Ma, insomma, era tutto un agire in silenzio. Negli '80, invece, i persuasori occulti se ne vengono allo scoperto e fanno di loro stessi un rutilante mito.
E poi che cosa è accaduto? E' arrivato il web duepuntozero. Luogo digitale, ma anche luogo vivo, paritario. Luogo dove non è più ammesso far scendere dall'alto il proprio messaggio, ma è vitale produrre contenuti e condivisioni. Chi vuole imporre un prodotto non può più limitarsi a scrivere "Ubik lava più bianco" (come nel claustrofobico romanzo del buon vecchio Phil Dick), ma deve produrre contenuti interessanti e condivisibili. Deve, insomma, colloquiare e non limitarsi a ordinare. 
Worl Wide We non è un manuale e nemmeno un saggio. World Wide We è una vera e propria narrazione, sostenuta da un linguaggio e da uno stile tagliente.
Se il web duepuntozero è una religione, con World Wide We ha trovato il suo profeta (anzi la sua profetessa) e, come tutte le religioni che si rispettino, anche il suo Libro. 
C'è però ancora un piccolo problema irrisolto e che è comune a tutti noi che siamo immersi nel web 2.0: capire da quale parte dell'interfaccia (per dirla alla Dr. Adder) ci troviamo. 
Un libro.
World Wide We, di Mafe de Baggis (Apogeo).

lunedì 22 novembre 2010

Librerie indipendenti

Salvare le librerie indipendenti non è un esercizio fine a se stesso, un po' come la piccola buona azione quotidiana di un boy scout benintenzionato. Sarebbe bello se in gioco ci fosse soltanto questo. Salvare le librerie indipendenti ha invece un significato molto più profondo. Non voglio fare la solita tiritera della libreria piccola che è così bellina, mentre la grande catena libraria è spersonalizzata e non c'è rapporto con il libraio, ecc. ecc.
Il fatto, in sé molto semplice e concreto è che, nella libreria che tutti abbiamo conosciuto e che va sparendo, i libri ti "parlano" e tu li puoi "ascoltare". Mentre i libri degli ipermercati o delle grandi catene se ne stanno "zitti" e tu, quando gli passi di fronte, vai per la tua strada e basta. E, credetemi, questa è una ragione più che sufficiente per cominciare a fare qualcosa per le piccole librerie.

Linko questo post dal sito Libri su libri (il vizio di leggere).
Andate, segnalate, scrivete.
Un elenco di librerie indipendenti in Italia. Per segnalarne una dovete scrivere a camillacannarsa [at] yahoo.it e inviare:
  • nome della libreria
  • indirizzo
  • numero di telefono
  • breve descrizione
  • foto (se possibile)
Questa directory nasce con l’intento di dare visibilità alle piccole librerie indipendenti e dell’usato, sparse ovunque e assolutamente meritevoli di fiducia e di ammirazione. Se vi va di segnalarne qualcuna, verrà pubblicato un post con il vostro nome e la vostra descrizione. Se avete una libreria, segnalatecela, creeremo un post e la mappa con le indicazioni per raggiungerla.

sabato 20 novembre 2010

Che fine faranno i libri? Se ne discute nella nuova community di culturability

Apre la nuova community di culturability
il social network di chi si occupa di cultura e sociale

In una videointervista Umberto Eco parla del futuro dell’editoria digitale

Le nuove frontiere dell’editoria digitale e il futuro dei libri: esordisce con al centro questo tema la nuova community on-line di culturability. Il la alla discussione lo dà Umberto Eco con una videointervista rilasciata per l’occasione. Il libro di domani è già alle porte ed è necessario interrogarsi su come, non solo il settore editoriale, ma le forme stesse della cultura siano destinate a mutare. Per questo, culturability ha deciso di aprire la sua community proponendo e ospitando un dibattito su questi temi, mettendo a disposizione contenuti speciali, interviste e video.  
La community di culturability è un vero social network rivolto a cittadini, studiosi ed esperti, professionisti, operatori culturali e sociali, istituzioni, imprese e associazioni. Uno spazio aperto al confronto e ai più diversi contributi, attraverso il quale dare vita a relazioni, condivisione delle conoscenze e delle esperienze. A partire dal 15 novembre, sarà possibile ufficialmente iscriversi, tramite il modulo di iscrizione disponibile on-line, e partecipare alla discussione.
Culturability – la responsabilità sociale della cultura è un progetto di Fondazione Unipolis che si propone allo stesso tempo come luogo di approfondimento e confronto, strumento attivo per promuovere nella società e nel territorio iniziative culturali che abbiano come obiettivo la crescita sociale e civile delle comunità, nell’ottica della sostenibilità. Culturability si serve di un sito web dedicato a questi temi, al quale ora va ad affiancarsi anche l’attività del social network.

Per partecipare alla discussione pubblica basta collegarsi a:


venerdì 19 novembre 2010

Save Beirut Heritage

Ho un interesse particolare per Beirut. Letture, sensazioni, persone conosciute in passato. Beirut è il paradigma dei sogni impossibili. Beirut è il segno lasciato da un passato e da un presente che da sempre cercano con difficoltà un futuro. Beirut è il luogo dove le crisi del medioriente inevitabilmente sfociano. Beirut è il conflitto stridente tra l'orrore di una lunga guerra civile e l'ostentazione di una normalità forzata. A Beirut ogni cosa trova il suo opposto e le nostre bussole socio-politiche occidentali sono del tutto inadeguate; anche soltanto per fare un timido tentativo di comprensione.
Ho già scritto a proposito di alcuni romanzi e saggi che hanno Beirut come argomento: un post dedicato alla città, uno dedicato a Ya, salam!, uno dedicato a Beirut, i  love you e uno al bellissimo saggio di Samir Kassir.
Ora, venuto a conoscenza dei nuovi problemi che minano l'identità e la memoria storica di Beirut, ho trovato in rete questo illuminante articolo che pubblico integralmente (l'originale è qui).

Conosciuta in passato come la “Parigi del Medio Oriente”, è stata poi martoriata da una lunga e sanguinosa guerra civile. Beirut, “metropoli araba mediterranea e occidentalizzata” nelle parole dell’intellettuale Samir Kassir, è la città dei contrasti: chiese e moschee convivono vicine, divise tra Achrafieh, il quartiere cristiano, e Hamra, quello musulmano.
Donne chiuse nel velo passeggiano su La Corniche, la suggestiva promenade panoramica sul lungomare, accanto a coetanee in attillate vesti occidentali. NelDowntown, il centro storico della capitale, moderne residenze sorgono gomito a gomito con edifici storici segnati dalla guerra. Molte delle palazzine in stile ottomano, dai caratteristici balconi di marmo, si trovano in stato di rovina o sono andate oramai perdute a causa dei bombardamenti. Quel che rimane del patrimonio architettonico della città, oggi deve, però, far fronte a un nuovo nemico: gli immobiliaristi.
La demolizione degli edifici storici è un evento che si ripete quotidianamente a Beirut, dove, nello stesso tempo, grattacieli di dubbio gusto e giganteschi parcheggi auto si diffondono sempre più rapidamente. Le gru sono sempre in attività: non per riparare ma per abbattere[1]. Si demoliscono anche le case antiche, con i tetti rossi e le tipiche finestre a tre archi, che in piedi ci starebbero benissimo. Al loro posto sorgeranno costosissimi alberghi e centri commerciali. Ricchissime società immobiliari saudite, fiutando l’affare della ricostruzione, approdano a Beirut per costruire cattedrali di cemento dai costi proibitivi con vista mare su La Corniche. Da ultimo, alcune società del Golfo, come l’Abu Dhabi Investment House e la Roads Holdings del Qatar, si occuperanno dello sviluppo di un gigantesco progetto immobiliare, circa 100mila metri quadrati nel centro storico, denominato Beirut Gate. Il progetto prevede la costruzione di unità residenziali e commerciali, luoghi di ritrovo e hotel[2]. Laddove un tempo, nel cuore della città, sorgevano i caratteristici souks con i loro profumi e la confusione delle voci, oggi sorge Beirut Souks, un enorme complesso commerciale con oltre 200 prestigiose boutiques, ristoranti e sale cinematografiche. 
Il modello di ricostruzione promosso da Solidere, la Compagnia Libanese per la Sviluppo e la Ricostruzione, è stato quello di azzerare il passato e ricostruire la città in forme nuove, trasformando anche la rete stradale[3]. Il progetto Solidere è stato spesso definito come una novella Disneyland. E’ la Beirut dei ricchi del Golfo che rischia di trasformare la ‘Parigi del Medio Oriente’ nella ‘Dubai del Levante’. Anche a seguito della crisi finanziaria globale, che ha dirottato in Libano ingenti capitali provenienti dalle monarchie del Golfo, Dubai sembra essere il modello da emulare. A suggello del rapporto tra la città e i ricchi petrolieri è stato recentemente presentato il progetto ‘Cedar Island’, di cui si è fatta promotrice la Noor International Holding, sede a Beirut e capitale ad Abu Dhabi. Il progetto prevede la costruzione di una futuristica isola a forma di cedro lungo la costa, a sud della capitale, per far spazio a hotel e ville di lusso, country club e impianti sportivi, seguendo l’esempio delle isole artificiali di Dubai[4]. La distruzione del patrimonio architettonico della città ha suscitato la reazione sdegnata di molti libanesi: negli ultimi mesi è nato su Facebook un movimento, chiamato “Save Beirut Heritage”[5], nel tentativo di salvare quel che rimane della vecchia Beirut. Oltre alla campagna di affissione massiva per le strade della capitale, questi cittadini, in collaborazione con l’APSAD (l’Association pour la protection des sites et anciennes demeures), dopo aver recensito tutte le case tradizionali di Beirut, contano di proporre delle interessanti alternative finanziarie ai vecchi proprietari decisi a vendere. L’obiettivo dichiarato è rinnovare il patrimonio invece che distruggerlo. 
L’anima della città è “mille volte morta, mille volte rinata”, come scrisse la poetessa Nadia Tueni, a testimoniare le tante vite di Beirut. Multi-religiosa, crocevia di differenti identità e culture, Beirut è sempre stata un luogo in trasformazione. Lo scempio urbanistico del distretto centrale, però, rischia di snaturarne per sempre lo spirito e l’identità, trasformando la “città dei giardini” in un residence per ricchi turisti. L’amnesia e la rimozione del proprio patrimonio architettonico e culturale sembrano essere gli imperativi sottesi ai progetti urbanistici di ricostruzione, laddove invece il recupero del proprio passato sarebbe la chiave per salvaguardare il presente e il futuro della città. La speculazione edilizia sta distruggendo le ultime aree verdi della città e le abitazioni in stile tradizionale. Poche ancora resistono, come assediate nei loro giardini, dove fioriscono buganvillea, oleandri e fiori d’arancio. Nel vecchio quartiere di Achrafieh sorge rue Sursock, famosa per le sue storiche ville, i giardini e gli alberi secolari. Presto qui sarà costruito un grande parcheggio auto. All’inizio della via un cartello scritto in caratteri arabi recita: “Strada a carattere tradizionale”. Un passante, con un pennarello, ha pensato bene di aggiungere il termine “Kana”: “Lo era”.[6]. 



[1] Robert Frisk, Beirut Is Determined to Kill Its Rich Ottoman Past, in ‘The Independent’, 22 May 2010.
[2] Notizia ANSA del 25 febbraio 2009, in http://www.freelypress.com/freelypress_beirut.html
[3] Elena Pirazzoli, Locali Notturni e Macerie Abitate: La Ricostruzione Ambigua di Beirut, Rivista dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici On-line, 15 marzo 2006.
[4] Vedi ‘In Libano, Periodico d’Informazione Economico-Commerciale’, maggio 2009. Il numero è reperibile all’indirizzo www.ambbeirut.esteri.it
[5] http://www.facebook.com/group.php?gid=106647959367804
[6] Francesca Caferri, Pace e Turismo, la Rinascita di Beirut e la Città Diventa un Cantiere, in “La Repubblica” del 22 luglio 2010