Ci sono libri che vanno oltre il loro presunto significato. Ci sono libri che trasfigurano il loro contenuto. Ci sono libri che si trasformano in oggetti mutanti, divenendo strutture sfuggenti, impossibili da classificare e viventi quasi di vita propria. Fame di realtà va ben oltre il messaggio che intende trasmettere. La sua stessa veste tipografica ne fa una sorta di dashboard o di timeline. Una sorta di versione cartacea di quell'incessante fluire di informazioni che possiamo quotidianamente veder scorrere all'infinito su tumblr o su twitter. Come una creazione dadaista o futurista o surrealista, come una di quelle installazioni di arte contemporanea che fanno da sfondo ai romanzi di DeLillo, Fame di realtà è una performance che porta ad esempio prima di tutto se stessa. Il libro, il saggio, l'oggetto narrativo che permettono al mezzo e al messaggio di (con)fondersi, sovrapponendosi così al loro stesso contenuto, come la carta 1:1 dell'impero di borghesiana memoria. Provocatorio come un film di Andy Warhol o, meglio ancora, di Kenneth Anger, Fame di realtà non può essere una realizzazione legata ad una dinamica spaziotemporale tradizionale. Senz'altro è stato letto da Leopold Bloom, in qualche passaggio nascosto dell'Ulisse. Certamente una sua copia è stata nelle mani di V. o di Oedipa Maas. Myra Breckinridge ne avrà valutate alcune parti e una sua copia sarà sicuramente oggetto di qualche Culto del Cargo, in qualche sperduta isoletta del Pacifico.
Fame di realtà è un libro già morto prima ancora di nascere, anzi prima ancora di essere concepito, nella misura in cui esiste da sempre.
Come scrive Shields al punto 10, citando Terenzio: "E' impossibile dire qualcosa che non sia già stato detto."
Un libro.
Fame di realtà, di David Shields (Fazi).
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