Immagini che ci seguono all'infinito, o meglio, che ci perseguitano. Fin da piccolo rimasi affascinato (come solo dall'orrore si può rimanerne) dalla storia del supplizio di Marcantonio Bragadin.
Governatore veneziano di Cipro nel XVI secolo, fu sconfitto dai Turchi. Preso prigioniero, fu sottoposto ad una serie di terribili torture, che culminarono con il suo scuoiamento. La pelle, imbottita di paglia e rivestita con la sua uniforme militare, fu utilizzata così per creare un fantoccio che fu esposto al pubblico ludibrio.
Immagini di orrore che fanno parte del nostro immaginario. Facevo le elementari e sfogliavo una copia da collezione, dei primi anni del XX secolo, del Nuovissimo Melzi, dizionario con un grande apparato iconografico. Ricordo la pagina dei supplizi, dove erano disegnate tavole che riportavano tutti i tipi più efferati di tortura.
Immagini, appunto, che ci sconvolgono e ci affascinano. Ricordo la paura che ne avevo e tuttavia, ogni volta, andavo a rivedere quelle tavole. Anni dopo ho scoperto che lo faceva anche Umberto Eco.
Immagini quindi che ci affascinano e che reiterano la loro presenza nel nostro immaginario.
Il supplizio di Marcantonio Bragadin viene citato e descritto in due recenti romanzi: Altai, di Wu Ming e Rapsodia delle terre basse, di Massimo Bubola.
Reiterazioni, coincidenze, fascinazioni. L'orrore è parte totalizzante del nostro immaginario.
Non c'è scampo. Forse.
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