lunedì 28 febbraio 2011

Dei libri che non leggeremo

Mino Milani un giorno mi disse: "Ho letto moltissimo, ma, se esistesse una carta geografica ideale del mondo dei libri che ho letto, assomiglierebbe a quelle carte del XIX secolo, dove, in certi continenti, i monti e i fiumi lasciavano spazio ad un'area bianca, inesplorata".
I libri si accumulano non soltanto sugli scaffali delle nostri librerie, ma anche e soprattutto sugli scaffali dei nostri impegni e su quelli, altrettanto affollati, delle nostre speranze.
Flaubert ammoniva a non leggere per divertimento, perché quello è il leggere dei bambini, e a non leggere per istruirci, perché quello è il leggere degli ambiziosi, bensì a leggere per vivere. Confesso di aver letto per entrambi i motivi esecrati dall'autore di Madame Bovary, e probabilmente è cosa che facciamo un po' tutti (altrimenti non avremmo bisogno dell'ammonimento del grande francese).
Tuttavia, per quanto si legga (a prescindere dai motivi) immagino che le carte geografiche del mondo delle nostre letture, presenteranno sempre quelle aree bianche e inesplorate.
C'è un momento nella vita in cui alla speranza (o al desiderio) di poter leggere tutto quello che avresti voluto leggere, si sostituisce la consapevolezza che difficilmente quella speranza (o quel desiderio) potranno essere soddisfatti. E te ne fai una ragione e soprattutto ti adatti senza problemi all'esistenza di quelle zone inesplorate.
E forse è proprio quello il momento in cui comprendi di avere letto per vivere.

sabato 26 febbraio 2011

Voci, storie e fantasmi degli Appennini

La Provincia Pavese ha pubblicato un bellissimo articolo, a firma di Gabriele Conta, con un'intervista a Marino Magliani in occasione dell'incontro che si è tenuto giovedì 24 Febbraio.
Ecco il testo:
Si parlerà di territori, di valli dell'Appennino, che si stanno spopolando e di come salvarli dall'oblio. Insieme a loro avrebbe dovuto esserci anche Vincenzo Pardini, ma lo scrittore toscano non potrà partecipare all'incontro della rassegna culturale "Quattro chiacchiere con" a causa di problemi di salute.  Si partirà dal libro "Non rimpiango, non lacrimo, non chiamo", scritto a quattro mani da Magliani e Pardini che l'estate scorsa si è aggiudicato il premio "Tracce di territorio". Racconta la Liguria da sempre Marino Magliani, e in questi anni ha visto l'abbandono della sua Val Prino, che si apre a monte di Porto Maurizio: «A partire dagli anni Settanta - racconta Magliani - i contadini e i pastori se ne sono andati, sono scesi sul mare. Interi uliveti sono stati abbandonati e disboscati, e così ci sono state numerosissime frane».  Una situazione non diversa da certe vallate dell'Oltrepò, che in questi anni hanno visto i propri abitanti diminuire sempre di più. Per lo scrittore ligure ormai si è arrivati ad un punto di non ritorno: «Bisogna prendere urgentemente seri provvedimenti - sostiene -. Altrimenti sarà troppo tardi». L'autore di «Quella notte a Dolcedo» e «La tana degli alberibelli», entrambi pubblicati da Longanesi, non ha più fiducia nelle comunità montane, che dovevano salvaguardare interi territori e invece hanno fallito: «Dalle mie parti hanno fatto soltanto danni, e oggi sono piene di debiti. Il problema - spiega Magliani - è che chi dovrebbe occuparsi di queste terre non le visita, non parla con i contadini, non conosce le loro difficoltà. E così interi paesi scompaiono». Eppure qualche segnale positivo c'è: «In questi ultimi anni alcuni giovani hanno aperto dei piccoli bed & breakfast, dove cercano di lavorare in armonia col territorio e difendendo i prodotti locali».  Questi segnali non devono però rimanere «piccole braci in un mondo di cenere», dice Magliani. «Le istituzioni devono rivedere i loro rapporti con questi territori - sostiene -. Altrimenti interi paesi spariranno». A Pavia Marino Magliani presenterà anche il suo ultimo libro,"La spiaggia dei cani romantici" (Instar libri), una vicenda di migrazione ambientata tra l'Argentina e la Costa Brava sulla quale incombe un crimine.

venerdì 25 febbraio 2011

Italiano e italiani nel giornalismo e nella narrativa di Edmondo De Amicis (un convegno all'Università di Pavia)

A 150 ANNI DALL’UNITÀ D’ITALIA

L’IDIOMA GENTILE

ITALIANO E ITALIANI
NEL GIORNALISMO
E NELLA NARRATIVA
DI EDMONDO DE AMICIS
2 MARZO 2011
PAVIA, COLLEGIO S. CATERINA DA SIENA
VIA S. MARTINO 17/B


Convegno di Studi

Ore 9.30 Saluti
Maria Pia Sacchi, Rettrice del Collegio Santa Caterina
Maria Antonietta Grignani, Università di Pavia

Ore 10.00 Presiede e introduce
Carla Riccardi, Università di Pavia

Franco Contorbia, Università di Genova
De Amicis e i giornali

Pino Boero, Università di Genova
De Amicis e l’infanzia

PAUSA

Sara Pacaccio, Università di Friburgo
Il ‘diritto del maggior numero’.
Sondaggi sulla rappresentazione della voce operaia

Claudia Bussolino, Giovanni Battista Boccardo,
Università di Pavia
Il lessico politico di De Amicis.
Da La questione sociale a Primo maggio

PAUSA PRANZO

Ore 15.00 Presiede
Silvia Morgana, Università di Milano

Gianfranca Lavezzi, Università di Pavia
La poesia onesta di Edmondo De Amicis

Massimo Prada, Università di Milano
«Fare prosa, e saperlo».
L’Idioma gentile tra la pratica e la grammatica

Giuseppe Polimeni, Università di Pavia
I sinonimi sul banco: aspetti dell’educazione
linguistica postunitaria nell’Idioma gentile

Per informazioni rivolgersi al
Collegio Universitario S. Caterina da Siena
Via S. Martino, 17/B • PAVIA
Tel. 0382-33423 • Fax 0382-24108
E-mail: collscat.relest@unipv.it




giovedì 24 febbraio 2011

Parole punk

Trovo sempre un certo fascino nei libri che parlano di musica. Per chi volesse rileggersi un paio di miei precedenti post sull'argomento, è sufficiente cliccare qui o anche qui.
Ora vi segnalo che tornano disponibili due titoli (il primo è un libro+DVD) per tutti gli appassionati di musica punk e di storia del punk.


American Hardcore, di Paul Rachman e Steven Blush (Shake).
Con una feroce colonna sonora e introvabili filmati inediti questo documentario è il racconto definitivo per i fan del genere e per tutti i curiosi della scena punk statunitense. Un fenomeno esplosivo che ha influenzato il grunge, il metalcore e l’emo arrivando a gruppi come Red Hot Chili Peppers, Nirvana, Beastie Boys.
L’hardcore punk non fu solo musica, ma una forma di protesta contro il regime conservatore del presidente americano Ronald Reagan, che qui viene raccontato dalla viva voce dei componenti delle punk band più importanti e da noti artisti quali Moby e Matthew Barney. Una scena che fu un vero e proprio pugno in faccia alle multinazionali della musica e al mainstream. Grazie al DO IT YOURSELF, si diffuse selvaggiamente in pochi mesi in tutti gli Stati Uniti costituendo il nuovo underground americano.
100 minuti di film + 80 minuti di contenuti extra: scena tagliate, foto, brani live, scena italiana a cura di Mungo (Declino).

IL FILM È GIUNTO IN FINALE AL SUNDANCE ED È STATO PRESENTATO AL TORONTO FILM FESTIVAL

IL LIBRO
Il film è accompagnato da un libretto di 64 pagine con una intervista al regista Rachman e allo scrittore Blush, immagini inedite e da numerosi extra in video sulla scena punk hardcore americana e italiana.
                                                                                                                                                                              
L’AUTORE:
Paul Rachman, regista di film e video musicali, ha iniziato la sua carriere occupandosi proprio di punk hardcore, per poi dirigere video per Alice in Chain, Roger Waters, Joan Jett, Sepultura, Kiss. Ha esordito alla regia di lungometraggi con Four Dogs Playing Poker con Forrest Whittaker, Tim Curry e Olivia Williams.
Steven Blush, autore del libro American Punk Hardcore è stato coinvolto in modo attivo nella scena punk hardcore americana, promoter a DC, ha suonato nella band No Trend.



Quando bruciammo l'Inghilterra, di Ian Glasper (Shake).
Dallo stesso autore di Anarcopunk, un altro testo fondamentale sull’ondata punk che ha travolto e scioccato l’Inghilterra nei primi anni Ottanta.

Nel 1977 il punk fu dichiarato morto. Un paio di anni dopo, in Inghilterra, scoppiò un nuovo incendio musicale di enorme potenza. Una musica più dura, più aggressiva, più incazzata politicamente: la scena punk del 1980-1984. E fu di nuovo caos nelle strade. Questo è il libro più completo su quella storia.

Grazie a centinaia di interviste di prima mano, Ian Glasper in questo libro ci racconta la carica distruttiva e la portata rivoluzionaria della più grande controcultura degli ultimi decenni: il PUNK INGLESE.
Suddiviso per aree geografiche e con un capitolo dedicato a ognuna delle band, il libro, riccamente illustrato, ci restituisce lo spirito di quegli anni, che rapidissimo e incendiario sconvolse riti e abitudini consolidate, suscitando in molti casi reazioni violentissime nella pur compassata Gran Bretagna del periodo.

Ecco alcune delle band intervistate: Chron-Gen, Discharge, GBH, Anti-Pasti, Angelic Upstarts, 4-Skins, Cockney Rejects, Adicts, Blitz, Vice Squad, Peter And The Test-Tube Babies, Anti-Nowhere League, UK Subs, Exploited, Defects, Demob, Total Chaos, Destructors, Skroteez, Soldier Dolls, Newtown Neurotics, UK Decay, Action Pact, Disorder, Chaos UK, Varukers, English Dogs, External Menace, Business, Cult Maniax, Outcasts, Abrasive Wheels, Major Accident, Broken Bones, Skeptix, Mau Maus ecc.
                                                                                                                                                                              
L’AUTORE:
Ian Glasper ha suonato il basso con i Decadence (1983-1994), i Burnside (1994-1995) e i Stampin’ Ground (1995-2003). Attualmente suona con i Suicide Watch. Ha collaborato con diverse riviste ed è l’autore di un altro fondamentale libro sul movimento punk degli anni Ottanta, The Day The Country Died (2006), tradotto nel 2008 da ShaKe con il titolo Anarcopunk.

lunedì 21 febbraio 2011

Quattro chiacchiere con...Marino Magliani

Sono veramente contento di segnalare questo incontro. In primo luogo perché ho contribuito anch'io alla sua realizzazione, ma soprattutto perché ritroverò tre grandi autori che sono anche tre amici.
Nel frattempo ecco qualche indicazione introduttiva.
Qui potete leggere la mia intervista a Marino Magliani.
Qui potete leggere la mia intervista a Vincenzo Pardini.
Qui potete leggere la mia intervista a Mino Milani.
E qui la mia recensione al libro che sarà oggetto di questo incontro.

Marino Magliani scrittore e traduttore
dialoga con Vincenzo Pardini scrittore
Giovedì 24 febbraio 2011 ore 17,30 - Santa Maria Gualtieri-Pavia
“I fantasmi dell’Appennino”
Gli emigranti, i contadini, i pastori, gli struggenti paesaggi rurali popolati di fantasmi

coordina: Mino Milani - scrittore



Non rimpiango, non lacrimo, non chiamo Un romanzo a due voci. Due terre, la Liguria e la Toscana, di sensibilità e repertori linguistici contigui, insieme vicine e lontanissime. Gli emigranti, i contadini, i pastori, gli struggenti paesaggi rurali popolati di fantasmi e di storie senza tempo, sono i personaggi più incisivi che popolano le pagine di questo libro corale, cupo, potente, a tratti allucinatorio.

Marino Magliani (Dolcedo, Imperia, 1960), scrittore e traduttore, ha soggiornato a lungo in Spagna e in America Latina prima di stabilirsi in Olanda, dove attualmente vive e lavora. Ha pubblicato: “L'estate dopo Marengo” (Philobiblon 2003), “Quattro giorni per non morire” (Sironi 2006), “Il collezionista di tempo” (Sironi 2007), “Quella notte a Dolcedo” (Longanesi 2008), “La tana degli alberibelli” (Longanesi 2009) e, con Vincenzo Pardini, “Non rimpiango, non lacrimo, non chiamo” (Transeuropa 2010). 

Vincenzo Pardini nasce nel 1950 nella Valle del Serchio (Lucca). Inizia a scrivere da bambino, appassionandosi a Carlo Collodi e Renato Fucini. Nel 1975, a venticinque anni, spedisce alcuni dei suoi racconti a Enzo Siciliano per la rivista Nuovi Argomenti. L'anno seguente due di questi racconti furono pubblicati. Durante la sua carriera ebbe modo di conoscere alcuni importanti scrittori italiani: Giovanni Raboni, Cesare Garboli, Natalia Ginzburg (che lo definì "Il nostro Maupassant ") e Alberto Moravia.

giovedì 17 febbraio 2011

Overbooking for Sarajevo

Riporto integralmente questo post uscito su Nazione Indiana, aderendo alla richiesta di farlo circolare.

Azra Nuhefendic mi ha scritto quest’oggi chiedendomi di aiutarla a diffondere questo importante appello. Chiedo allora ai lettori di NI, agli scrittori e ai blogger, di far circolare a loro volta quest’appello e di aiutare i lettori di Sarajevo ad esaudire un desiderio che ben conosce chi ama quello strano mondo abitato dai libri e che in molti si ostinano a chiamare letteratura. effeffe




L´organizzazione “Humanity in Action Senior Fellow Network”, da Sarajevo ha lanciato l’ appello “Books 4 Vijecnica” per rinnovare il fondo bibliotecario della biblioteca universitaria e nazionale della BiH, conosciuta come Vijecnica.
Il 25 agosto 1992 la Vijecnica fu bombardata e nel rogo sono andati persi un milione e mezzo dei libri, rari manoscritti e documenti. S´invitano tutti coloro che desiderino sostenere l’iniziativa, ad inviare non soldi ma due volumi. Un libro in qualsiasi lingua del mondo, per le seguenti materie: medicina, legge, economia, letteratura, l’arte e filosofia e un altro nella lingua materna dei donatori con contenuti specifici legati alla sua regione, alla gente di quel paese, o altri libri che si ritengano socialmente utili. I libri, bisognerà mandarli al seguente indirizzo: University of Sarajevo – Campus Zmaja od Bosne, bb. 71000 Sarajevo, Bosna i Hercegovina

mercoledì 16 febbraio 2011

Il Cairo e dintorni. La collana Altriarabi

La rivoluzione egiziana ha avuto una serie di prodromi letterari. Già vi ho parlato di Metro, il graphic novel che ha anticipato la crisi del regime.
Ora, la casa editrice Il Sirente prosegue nel proporre un affresco dell'Egitto contemporaneo attraverso la sua letteratura più innovativa. Dal best-seller “Taxi” dell’autore Khaled Al Khamissi, dove si raccontano gli ultimi 30 anni di storia egiziana attraverso le voci sagaci dei tassisti cairoti, ai sogni fantastici dei giovani egiziani raccontati dal blogger Ahmed Nàgi nel suo “Rogers”, passando per l’oppressione descritta dalla dissidente Nawal al-Sa’dawi nel suo ultimo lavoro “L’amore ai tempi del petrolio”.



Un libro dedicato «Alla vita che abita nelle parole della povera gente». Taxi è un viaggio nella sociologia urbana della capitale egiziana attraverso le voci dei tassisti. Una raccolta di storie brevi che raccontano sogni, avventure filosofiche, amori, bugie, ricordi e politica. I tassisti egiziani sono degli amabili cantastorie che, con disinvoltura, conducono il lettore in un dedalo di realtà e poesia che è l’Egitto dei nostri giorni. «Taxi è un’articolata e divertente critica alla società e alla politica egiziana» dice Mark Linz, direttore dell’Università Americana del Cairo, «è unico nel suo genere perché usa una buona dose di humour per trattare argomenti a cui solitamente gli egiziani riservano un’estrema serietà».

Primo libro di Khaled Al Khamissi, Taxi, è diventato un best-seller, ristampato 7 volte nell’arco di un anno, oltre 35.000 copie vendute, in un paese, l’Egitto, dove 3000 copie sono considerate un successo.


Giornalista, regista e produttore oltre che scrittore, Khaled è nato nel novembre del 1962. Figlio d'arte, anche il padre era uno scrittore. Al Khamissi è un artista poliedrico, si è laureato in Scienze politiche alla Sorbona di Parigi. Ha lavorato per l'Istituto Egiziano per gli studi sociali. Ha scritto sceneggiature per vari film egiziani quali Karnak, Iside a Philae, Giza e altri. Scrive periodicamente articoli e analisi critiche su politica e società in diversi giornali e settimanali egiziani. E' il proprietario e direttore della Nile production company, con la quale produce documentari, film, fiction Tv e animazione per bambini.



Dall’album The Wall dei Pink Floyd, Nàgi ha creato un’opera che si colloca nel reale metropolitano contemporaneo, pur mantenendo legami con elementi leggendari e fiabeschi. Storie, desideri visioni causate dal consumo di hashish e alcol catapultano il lettore in luoghi irreali e in situazioni fantastiche. Il muro, “the wall”, rappresenta l’incomunicabilità, l’alienazione, la follia. Un’allegoria della società sviluppata attorno all’ipotetica costruzione di un muro oppressivo e invalicabile che circonda l’individuo. Un libro per chi è pronto a scoprire le fantasie, le utopie, gli idealismi, ma anche le frustrazioni di un ventenne egiziano.

Ahmed Nàgi è uno scrittore e giornalista egiziano. In Egitto è molto noto come blogger, ma soprattutto per essere uno dei più giovani redattori di Akhbàr el Adab, il prestigioso settimanale letterario diretto da Gamàl al-Ghitàni. Autore d’avanguardia, usa la Rete per scuotere il panorama letterario conservatore. Il suo blog Wasa khaialak (Allarga la tua immaginazione), iniziato nel 2005, parla di sociologia, pop art, diritti umani e cultura: "sperimento un diverso livello di linguaggi per avvicinare la gente alla letteratura".


Un testo visionario. Un racconto spettacolare, inaspettatamente avvincente, ricco di tensione e curiosità per il destino della misteriosa protagonista.
In un oscuro regno del petrolio un’archeologa scompare senza lasciare traccia. La polizia che indaga si chiede se fosse una ribelle o una donna dalla dubbia morale, in un paese nel quale nessuna donna ha mai osato abbandonare casa e marito, disobbedendo alle regole. Quando finalmente riappare lascia il marito per stare con un altro uomo… Una storia d’amore intrigante e insospettabile, densa di mistero. Un’educazione sentimentale e un viaggio di autocoscienza di una donna araba in un paese autoritario.

“Partì alla ricerca del suo orgoglio perduto. Aveva l’orgoglio di un animale che si impunta con le zampe e non vuole più camminare. Lei non era una donna né per la cucina né per il letto, non conosceva a memoria le canzoni che le donne cantano quando stanno in bagno. Non capiva nemmeno la passione che poteva suscitare nel cuore del marito l’osservarla mentre cucinava il cavolo ripieno. Inoltre, non sbatteva le ciglia quando il datore di lavoro, o Sua Maestà, la guardavano.”
« Più di ogni altra donna, Nawal El Saadawi incarna le sofferenze del femminismo arabo. » San Francisco Chronicle

Nawal al-Saadawi, paladina dei diritti delle donne e della democratizzazione nel mondo arabo, è conosciuta internazionalmente come scrittrice e psichiatra. I suoi libri sulla condizione della donna nel mondo arabo hanno avuto un profondo effetto sulle ultime generazioni. A seguito delle sue pubblicazioni scientifiche e letterarie ha dovuto affrontare numerose difficoltà. Nel 1972 ha perso il suo lavoro presso il governo egiziano; "Health" il giornale da lei fondato è stato chiuso dopo 3 anni di attività. Nel 1981, sotto il governo del presidente Sadat è stata incarcerata, fu rilasciata un mese dopo l'assasinio di Sadat. Dal 1988 al 1993 il suo nome era tra quelli segnati su una lista di morte di un gruppo terroristico fondamentalista. Alcuni suoi romanzi tra cui "l'amore ai tempi del petrolio" sono stati banditi e censurati dalla massima istituzione religiosa Egiziana Al Azhar, che ha ordinato il ritiro da tutte le librerie egiziane. Il 15 giugno del 1991 a seguito di un decreto del governo egiziano è stata chiusa l'AWSA (Arab women's solidarity associationn) che Nawal presiedeva. Tre mesi prima della chiusura dell'associazione il Governo chiuse il giornale dell'associazione "Noon" di cui Nawal Al Saadawi era capo
redattrice. Nawal ha vinto numerosi premi letterari e ha presieduto diverse conferenze in giro per il mondo. L'8 dicembre del 2004 si era presentata come candidata alle prime libere elezioni presidenziali in Egitto.


martedì 15 febbraio 2011

Avrei voluto parlare con Nick Hornby

Io quella sera lì, avrei tanto voluto parlare con Nick Hornby. E se ci avessi potuto parlare gli avrei chiesto un sacco di cose, magari sugli Ultravox o su Marvin Gaye o anche sui Clash. Ma quella sera lì doveva essere una sera dell'Epifania, una sera così sfigata che non c'era in giro nemmeno la befana. E sono quelle sere lì quelle che finisci a berti una birra con un paio di amici che almeno uno dei due la morosa lo ha appena mollato. E sono quelle sere lì che i locali sono più vuoti del solito e il minimo che ti può capitare è che ti viene un gran magone e che il magone ti viene così, d'ufficio, mica perché pensi all'amico che è stato appena mollato dalla morosa.
E in quel locale lì, proprio quella sera lì, di fianco a noi era seduto Max Pezzali. E Max Pezzali rideva e scherzava e non aveva proprio l'aria di avere il magone. In più stava descrivendo una parte della provincia dove abita (che è la parte dove abito io) e stava dicendo che gli sembrava peggio della Louisiana e che c'erano dei paesi dove si aspettava di vedere qualcuno che suonasse il banjo seduto sulla porta di casa.
Anni dopo ho letto un libro di Gabriele Dadati che si intitolava Quando saremo veri. E mi son detto che era il libro che mi sarebbe servito proprio quella sera lì.
Proprio quella sera lì che avrei tanto voluto parlare con Nick Hornby.

lunedì 14 febbraio 2011

Quattro chiacchiere con...Gianni Biondillo

Gianni Biondillo architetto
dialoga con Michele Monina scrittore e critico musicale
Giovedì 17 febbraio 2011 ore 17,30 - Loft 10 Piazza Cavagneria - Pavia
“Tangenziali”
Due viandanti ai bordi della città

coordina: 
Marianna Bruschi - giornalista

Tangenziali  
Esistono molti modi per conoscere una città, e molti modi per raccontarla: Gianni Biondillo e Michele Monina, il primo milanese di nascita e il secondo d'adozione, entrambi appassionati di psicogeografia, decidono di intraprendere insieme un viaggio programmatico. Un pellegrinaggio attorno alla città, camminando in un territorio dimenticato dai viaggiatori abituali. Seguendo il margine delle tangenziali di Milano, usato come una sorta di filo d'Arianna, i due scrittori cercano di mappare la città a partire dai suoi bordi sfrangiati, finendo per scrivere un libro in cui il viaggio da raccontare è uno solo, ma i racconti di viaggio sono due, come due sono gli sguardi, i vissuti, le voci.

Gianni Biondillo è nato a Milano, dove vive, nel 1966. Architetto, ha pubblicato saggi su Figini e Pollini, Giovanni Michelucci, Pier Paolo Pasolini, Carlo Levi, Elio Vittorini. Fa parte della redazione di "Nazione Indiana".

Michele Monina è nato ad Ancona nel 1969 e vive e lavora a Milano. Scrittore e critico musicale, ha pubblicato, tra gli altri, presso Rizzoli: “Ultimo stadio” (2008), “Saghe mentali”, con Caparezza (2008),
“Vasco. La Biografia” (2007); presso Tropea: “Costantino e l’Impero”, con Giuseppe Genna (2005), “Vasco chi?” (2004); presso Mondadori: “God less America”, con Cristina Donà (2003); e presso Zorro Editore, “Il Vasco che vorrei” e “Vale va ancora veloce” (2009). Scrive per la televisione e per le principali riviste italiane musicali e di viaggi.

venerdì 11 febbraio 2011

Tre domande a Paolo Di Stefano

La storia dell'editoria italiana è quasi una storia di convivialità. Un tempo gli editori si riunivano a pranzo con i loro più stretti collaboratori e con gli autori. E da lì nascevano le scelte editoriali che hanno segnato la nostra cultura. Poi, a partire dagli anni Ottanta, le scelte editoriali sono state sempre di più affidate ai manager.
Così esordisce Paolo Di Stefano nella interessante presentazione del suo libro Potresti anche dirmi grazie (gli scrittori raccontati dagli editori) avvenuta ieri nell'Aula Scarpa dell'Università di Pavia.
Ho approfittato dell'occasione per fargli qualche domanda e lo ringrazio ancora per la sua cortesia e disponibilità.

L'editoria digitale e gli ebook sono ormai considerati come una sorta di rivoluzione copernicana. Quale sarà il rapporto fra il libro cartaceo e l'ebook? Il secondo si affiancherà al primo o lo sostituirà?
E' un argomento di notevole complessità. Dieci anni fa partecipai ad un incontro con editori americani che si occupavano dell'ebook. E già allora si diceva che, nel giro di pochissimo tempo, l'ebook avrebbe soppiantato completamente il libro cartaceo. Poi non successe nulla.
Dopo dieci anni si è affermato che il Natale scorso è stato quello dell'ebook. Ma gli ebook rappresentano solo lo 0,5 per cento del mercato librario italiano. Questo non significa che l'ebook non debba essere preso in considerazione. Tutti gli editori si stanno attrezzando in questo senso. Credo però che, almeno per il mercato editoriale italiano, le cose avranno uno sviluppo molto lento.
Saranno soprattutto i libri che sono anche strumenti di lavoro e i manuali ad avere grande successo come ebook. Per la narrativa credo che non sarà così.

L'ebook modificherà il rapporto autori/lettori e quello autori/editori? E se sì, come?
Se l'ebook avrà successo, credo che l'anello debole sarà rappresentato dalla figura dell'editore. Il marchio e la riconoscibilità dell'editore ne usciranno senz'altro scalfiti. Anche lo stesso concetto di riconoscibilità editoriale, quello che passa attraverso la grafica delle copertine, muterà. La copertina di un libro Einaudi (tanto per fare un esempio), la sua identificabilità con quella particolare struttura grafica divenuta negli anni familiare ai lettori, semplicemente non la noteremo più.
Sarà invece la figura dell'agente letterario ad essere sempre più insostituibile. E il caso di Andrew Wylie è un primo esempio.

Tornando alla "classica" editoria cartacea, quali sono gli editori che, dal punto di vista culturale, hanno i cataloghi più rappresentativi, più ricchi?
Credo che il catalogo dell'Adelphi rappresenti un vero e proprio pantheon della produzione culturale ed editoriale. E certamente, in questo senso, vanno citati anche i cataloghi dell'Einaudi e della Garzanti.

giovedì 10 febbraio 2011

Il ritorno di Hakim Bey

Ricevo e pubblico questa segnalazione della Shake.
Il giardino dei cannibali.
Hakim Bey dà il meglio di sé. Una cornice straordinaria di personaggi, filosofi di strada, guru e hippie, adoratori di Shiva e saggi sufi, sorprendenti riti induisti a noi sconosciuti, basati sul cannibalismo o il culto della ganja, si succedono nella narrazione, in una sospensione temporale tutta sua, in un libro affascinante e unico.

Per oltre vent’anni, Hakim Bey ha vagabondato curioso e famelico per le città e le campagne dell’Asia centrale e meridionale, alla ricerca di guru e illuminazioni spirituali, per lo più esoteriche, fuori dai “consueti” percorsi battuti anche dagli altri esponenti della controcultura quali Ginsberg o Kerouac. 
È nel corso di questi viaggi radicali tra India, Afghanistan e Iran, tra fame e povertà estreme, che Hakim Bey incontra la filosofia sufi e l’eredità spirituale del grande filosofo arabo Ibn Arabi. Era il tempo in cui il sufismo giocava ancora un ruolo importante nella cultura e nei costumi dell’Asia centrale, dove rivestiva un’importante funzione di tolleranza, prima dell’esplosione dell’uragano jihadista. 

In questo libro Hakim Bey dà il meglio di sé. Una cornice straordinaria di personaggi, filosofi di strada, guru e hippie, adoratori di Shiva e saggi sufi, sorprendenti riti induisti a noi sconosciuti, basati sul cannibalismo o il culto della ganja, si succedono nella narrazione, in una sospensione temporale tutta sua, in un libro affascinante e unico. 

L’AUTORE:
Hakim Bey è uno scrittore politico americano, saggista e poeta, conosciuto soprattutto per il concetto di TAZ (Zone Temporaneamente Autonome), basato sul riesame dell’utopia nel mondo dei pirati. Hakim Bey ha passato vari anni in India, Pakistan e Afghanistan e sette anni in Iran, che lasciò durante la Rivoluzione islamica. Suoi altri testi pubblicati da ShaKe: TAZ (1993-2008); Via radio. Saggi sull’Immediatismo (1995); Millennium (1997); Le repubbliche dei pirati (2008). Inoltre, ha curato l’antologia di fantascienza radicale Strani attrattori (2009) insieme a Robert A. Wilson e Rudy Rucker.

mercoledì 9 febbraio 2011

Il graphic novel che ha anticipato la rivolta in Egitto

Il fumetto di un autore egiziano che ha anticipato l'esplosione della rivolta di questi giorni in Egitto, censurato in patria e condannato alla distruzione di tutte le copie. 
L'immoralità della politica e del regime di Mubarak messi alla berlina. La rivolta egiziana anticipata in un graphic novel.

Dal 25 gennaio 2011 la società civile egiziana manifesta per le strade dell’Egitto come mai si era visto negli ultimi 30 anni. In contemporanea con le manifestazioni che stanno sconvolgendo il mondo arabo, la casa editrice “il Sirente” pubblica il primo graphic novel del mondo arabo, “Metro” di Magdy El Shafee, che catapulta il lettore negli scontri tra polizia e manifestanti nelle piazze del Cairo e denuncia le ingiustizie, la corruzione, l'oppressione che il popolo egiziano subisce ogni giorno.
Romanzo a fumetti, ambientato al Cairo, nel bel mezzo dell’insicurezza che investe la sfera finanziaria, ma non risparmia neanche quella sociale. Il protagonista è il signor Shihab, un software designer che, non riuscendo a pagare il debito contratto con uno strozzino, organizza una rapina in banca per risolvere definitivamente i problemi finanziari. Per realizzare l’impresa si avvarrà della complicità dell’amico Mustafà il quale lo lascerà a bocca asciutta e fuggirà con la refurtiva. Nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni, cadenzati dalle fermate della metro che portano il nome dei presidenti egiziani: Nasser, Sadat e Mubarak. Metro è un thriller, una storia d’amore e un romanzo politico metropolitano che si anima dietro le quinte e nei sotteranei dell’affascinante e decadente Cairo.
Magdy El Shafee è un artista, autore di fumetti e illustratore egiziano. Dopo aver lavorato nei campi più disparati, ha cominciato la sua carriera di fumettista nel 2001, in occasione del Comic Workshop Egypt, tenutosi presso l'Università Americana del Cairo. Si è inserito nel filone narrativo del realismo sociale, ambientando le sue opere nei luoghi più tradizionali del Cairo e descrivendo gli aspetti della vita popolare cairota per affrontare i temi caldi dell'Egitto - politica, economia, sanità, istruzione e povertà. A tal proposito va citato Metro (2008), graphic novel che gli è costato un processo conclusosi con una condanna alla distruzione di tutte le copie e al pagamento di un'ammenda di 5.000 lire egiziane (ca. 700 euro).
"Non ci bastano i cambiamenti decisi da Mubarak – afferma Magdy El Shafee in un'intervista da piazza Tahrir al Cairo, dove partecipa alle manifestazioni – non ci basta la nomina di Omar Suleiman come suo vice. Entrambi fanno parte dello stesso governo di corrotti. Noi vogliamo un cambiamento vero". Il Cairo, 29 gen. - (Adnkronos/Aki).


martedì 8 febbraio 2011

Beirut come L'Aquila

Avevo già scritto questo post sui problemi della ricostruzione di Beirut, preda della speculazione edilizia e della distruzione del suo storico paesaggio urbano.
Ora segnalo questo interessante convegno.

Beirut/L'Aquila: dalle transenne alla città. Gestire la distruzione: ricostruire lo spazio pubblico: un dialogo tra due città attraverso una mostra e un dibattito.


Un dibattito e una mostra fotografica organizzati su iniziativa dell'Ordine degli Architetti di Bologna e in collaborazione con Urban Center Bologna, con il sostegno di Banca Popolare dell'Emilia Romagna.


Dibattito: giovedì 10 febbraio alle ore 17 presso l'Auditorium Enzo Biagi, Salaborsa
Fare parte di una città "distrutta" è qualcosa che segna profondamente. Vuol dire condividere la tragedia umana di ogni abitante, il presente e  il passato di queste città, e quella di uno spirito urbano in rovina. Ma lo sforzo per preservare le memorie, gli spazi pubblici, l'identità, mantiene sempre vivo uno spirito di ricostruzione, con atteggiamenti sempre diversi a seconda del  rapporto instaurato con la storia. Beirut e L'Aquila pongono importanti temi di riflessione mostrandoci scenari simili ma per qualche aspetto opposti. È un'opportunità di confronto sui principi universali e fondamentali che possono guidare il pensiero e gli interventi di gestione della distruzione e della ricostruzione degli spazi pubblici, a partire da temi chiave quali memoria e responsabilità.

Intervengono:
da Beirut, il Prof. George Arbid, American University of Beirut, architetto e storico dell'architettura, sta conducendo una battaglia di sensibilizzazione sul patrimonio architettonico libanese, oggi ancora in serio pericolo;
da L'Aquila, Arch. Marco Morante, fondatore di Collettivo 99 - giovani tecnici aquilani, impegnato a dotare la ricostruzione aquilana, dopo il terribile terremoto dell'aprile 2009, di un dibattito ampio e portatore delle istanze e delle necessità locali della cittadinanza attuale e futura;
modera: Prof.ssa Matilde Callari Galli, Università degli studi di Bologna, antropologa e coordinatrice dell'Associazione Mappe Urbane.

Giovedì 10 febbraio presso l'Urban Center (secondo piano Salaborsa), nello spazio esposizioni temporanee, viene inaugurata la mostra fotografica BEIRUT/L'AQUILA: fotografie di Marco Manfredini e Pierluigi Caputo che sarà possibile visitare fino a sabato 26 febbraio.
Nell'ambito della mostra sarà proiettato un estratto dal documentario Case abbandonate di Alessandro Scillitani e Mirella Cazzotti.
Brindisi di inaugurazione il 10 febbraio alle ore 19, a chiusura del dibattito.

lunedì 7 febbraio 2011

Quattro chiacchiere con...Paolo Di Stefano

Paolo Di Stefano giornalista, scrittore
Giovedì 10 febbraio 2011 ore 17,30 - aula Scarpa Università di Pavia
“Potresti dirmi grazie”
Gli scrittori raccontati dagli editori

Presenta: Anna Modena - docente di Storia dell’editoria


Potresti anche dirmi grazie - Nelle officine di Mondadori e di Rizzoli, di Einaudi e di Bompiani, di Garzanti e di Feltrinelli, fino ai microlaboratori di e/o e di minimum fax. Quarant’anni di lavoro editoriale raccontati dalle voci dei protagonisti. Nel retrobottega dell’editoria troviamo i maggiori scrittori italiani e stranieri, più spesso al ristorante o in trattoria che in redazione, con le loro debolezze e le passioni, gli umori e i malumori. Leggere questa memoria orale della letteratura contemporanea è come trovarsi faccia a faccia con Oriana Fallaci che in cucina prepara un fritto di pesce, con Allen Ginsberg che si lancia su un piatto fumante di ravioli, con Sciascia che mette mano al portafogli prima di chiunque, con Simenon che aborre gli oggetti di colore verde, con Ellroy che in piena notte, a Milano, urla: “Sono il cane pazzo della letteratura!”, con Kerouac sbronzo tra le braccia di mamma-Nanda (Pivano), con Terzani che saluta un amico per l’ultima volta. E poi: Moravia, Morante, Bufalino, Gadda, Calvino, Soldati, Kundera, Rushdie, Harris, Grisham, Eco, Biagi, Manganelli, Bunker, Tamaro, Allende, Tabucchi, Vázquez Montalbán, Doris Lessing, Arbasino, Tondelli, Ammaniti e tanti altri. Tutti scrittori che non avete mai visto così da vicino.

Paolo Di Stefano (Avola, 1956) è inviato del “Corriere della Sera”. Ha lavorato per Einaudi e per “la Repubblica”. È autore di inchieste “La famiglia in bilico”, 2001) e di numerosi romanzi, tra cui: “Baci da non ripetere” (1994), “Tutti contenti” (2003), “Aiutami tu” (2005, premio SuperMondello) e l’ultimo “Nel cuore che ti cerca” (Rizzoli 2008, premio Selezione Campiello).

giovedì 3 febbraio 2011

Guardando Il Divo

Una processione di grosse berline ministeriali blu. Giacche scure, cravatte anonime, portate su camicie rigorosamente bianche. Occhiali dalle spesse lenti da miope, con la montatura pesante e squadrata. Mani giunte e sguardi di sofferente e compiaciuta condivisione del mistero. Del mistero del potere. Le foto in bianco e nero delle pagine di cronaca politica de L'Espresso ci hanno, per tutti gli anni Settanta, Ottanta e per la prima parte dei Novanta, presentato settimanalmente questa ostensione del potere, questa manifestazione dell'esercizio del potere, questa ritualità reiterata. A volte solo l'arte può sondare e indagare tra le fondamenta del Palazzo di pasoliniana memoria (penso a Sciascia, tanto per citare un nome fra i tanti).
Ieri sera (su La7) ho visto Il Divo, di Paolo Sorrentino. E, guardando questo film curioso e interessante, ho scoperto che la nostra storia, la storia recente della nostra nazione, può essere raccontata solo attraverso le immagini oniriche di Elio Petri (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Todo Modo), quelle rigorose di Francesco Rosi (Il caso Mattei, Cadaveri eccellenti), quelle didascaliche di Giuseppe Ferrara (Cento giorni a Palermo, Il caso Moro).
Paolo Sorrentino fa tutto questo. Il suo lavoro richiama, in qualche modo, tutte queste immagini. Ma le reinterpreta con tocco da maestro e ne fa la fonte ispiratrice di un'analisi impietosa, di un'allegoria del potere e le avvinghia ad una colonna sonora dall'ironia sanguinante, che ci fa capire come la narrazione della tragicomica e recente storia nazionale vada condita con un po' di irridente, doloroso e (soprattutto) doveroso sarcasmo alla Renato de Maria (Paz!) e alla Guido Chiesa (Lavorare con lentezza).
Sorrentino è perfettamente conscio che la nostra storia patria, i suoi riti ridicoli, i suoi misteri inquietanti, vivono da sempre in quella linea d'ombra dove il confine tra la ragion di Stato, l'interesse personale e la gestione della cosa pubblica diviene così labile da risultare totalmente evanescente. E la sua genialità sta nell'aver dipinto questo stato di cose per mezzo di una trasfigurazione quasi caricaturale dei suoi protagonisti; caricatura che però, al contatto con il divenire storico, perde lentamente il suo carattere allegorico dimostrando di essere la realtà stessa.
E questo è il dramma senza rimedio che, da sempre, caratterizza la nostra storia.

martedì 1 febbraio 2011

Quattro chiacchiere con...Sandro Lagomarsini

Sandro Lagomarsini ha aperto un doposcuola per i figli dei contadini di montagna
Giovedì 3 febbraio 2011 ore 17,30 - Santa Maria Gualtieri - Pavia
“Ultimo Banco”
Per una scuola che non produca scarti

Presenta: Gipo Anfosso - insegnante impegnato nell’associazionismo

Ultimo Banco Il libro raccoglie gli articoli che Sandro Lagomarsini ha scritto per la rubrica settimanale "Ultimo banco", pubblicata sul quotidiano Avvenire. La raccolta, divisa per blocchi tematici, è presentata dalla prefazione di Mario Lodi.

"L'ultimo banco" è un simbolo della vecchia scuola dove sedevano gli ultimi, quelli che non capivano e erano destinati alla selezione. In questo momento particolarmente difficile, don Lagomarsini spiega il suo lungo lavoro per contribuire a una scuola che rimuova l'ultimo banco e trasformi gli scolari in cittadini. L'esperienza raccontata in questo libro si può considerare un corso di aggiornamento per genitori, maestre, dirigenti... o meglio, un progetto di riforma della scuola.

Sandro Lagomarsini è parroco a Càssego, piccolo borgo sull’Appennino ligure nell’entroterra di La Spezia, dove dagli anni ’70 ha aperto un doposcuola per i figli dei contadini di montagna con lo stesso spirito e lo stesso fine di don Lorenzo Milani.