venerdì 11 febbraio 2011

Tre domande a Paolo Di Stefano

La storia dell'editoria italiana è quasi una storia di convivialità. Un tempo gli editori si riunivano a pranzo con i loro più stretti collaboratori e con gli autori. E da lì nascevano le scelte editoriali che hanno segnato la nostra cultura. Poi, a partire dagli anni Ottanta, le scelte editoriali sono state sempre di più affidate ai manager.
Così esordisce Paolo Di Stefano nella interessante presentazione del suo libro Potresti anche dirmi grazie (gli scrittori raccontati dagli editori) avvenuta ieri nell'Aula Scarpa dell'Università di Pavia.
Ho approfittato dell'occasione per fargli qualche domanda e lo ringrazio ancora per la sua cortesia e disponibilità.

L'editoria digitale e gli ebook sono ormai considerati come una sorta di rivoluzione copernicana. Quale sarà il rapporto fra il libro cartaceo e l'ebook? Il secondo si affiancherà al primo o lo sostituirà?
E' un argomento di notevole complessità. Dieci anni fa partecipai ad un incontro con editori americani che si occupavano dell'ebook. E già allora si diceva che, nel giro di pochissimo tempo, l'ebook avrebbe soppiantato completamente il libro cartaceo. Poi non successe nulla.
Dopo dieci anni si è affermato che il Natale scorso è stato quello dell'ebook. Ma gli ebook rappresentano solo lo 0,5 per cento del mercato librario italiano. Questo non significa che l'ebook non debba essere preso in considerazione. Tutti gli editori si stanno attrezzando in questo senso. Credo però che, almeno per il mercato editoriale italiano, le cose avranno uno sviluppo molto lento.
Saranno soprattutto i libri che sono anche strumenti di lavoro e i manuali ad avere grande successo come ebook. Per la narrativa credo che non sarà così.

L'ebook modificherà il rapporto autori/lettori e quello autori/editori? E se sì, come?
Se l'ebook avrà successo, credo che l'anello debole sarà rappresentato dalla figura dell'editore. Il marchio e la riconoscibilità dell'editore ne usciranno senz'altro scalfiti. Anche lo stesso concetto di riconoscibilità editoriale, quello che passa attraverso la grafica delle copertine, muterà. La copertina di un libro Einaudi (tanto per fare un esempio), la sua identificabilità con quella particolare struttura grafica divenuta negli anni familiare ai lettori, semplicemente non la noteremo più.
Sarà invece la figura dell'agente letterario ad essere sempre più insostituibile. E il caso di Andrew Wylie è un primo esempio.

Tornando alla "classica" editoria cartacea, quali sono gli editori che, dal punto di vista culturale, hanno i cataloghi più rappresentativi, più ricchi?
Credo che il catalogo dell'Adelphi rappresenti un vero e proprio pantheon della produzione culturale ed editoriale. E certamente, in questo senso, vanno citati anche i cataloghi dell'Einaudi e della Garzanti.

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