martedì 31 agosto 2010

Il suo nome è Beat

La nascita di una nuova casa editrice è sempre una buona notizia. Riporto il post di Andrea Coccia, pubblicato ieri da booksblog. L'articolo originale lo trovate qui.


Secondo un’indiscrezione del sempre affidabile Antonio Prudenzano di Affaritaliani.it, pare che di qui a qualche giorno una nuova casa editrice specializzata in tascabili sarà presentata al pubblico italiano.
Battezzata con il nome di Beat, questa nuova etichetta, costola di Neri Pozza, non si limiterà a pubblicare le ediozioni da tasca della casa madre, ma – sempre secondo l’indiscrezione di Prudenzano – allargherà il proprio catalogo anche al serbatoio Minimum fax e a quello de La nuova frontiera. 
Le prime uscite di questa nuova creatura editoriale saranno“Cattedrale”, la celebre raccolta di racconti di Raymond Carver, “La ragazza con l’orecchino di perla”, di Tracy Chevalier e “Caramelo” di Sandra Cisneros.
Secondo il già citato Antonio Prudenzano di Affaritaliani.it: Per adesso ci sono alcune pile di libri nei megastore Feltrinelli di Milano (vedere per credere in quello di Corso Buenos Aires, ad esempio...). In più c'è la conferma sul portale www.lafeltrinelli.itdove si possono già acquistare i primi titoli, una decina, di una nuova (misteriosa) casa editrice...
Aggiungo mistero al mistero. Da impenitente e curioso indagatore di libri e librerie, questi tascabili mi pare di averli già visti da qualche giorno, nel loro relativo scaffale, griffato dal simbolo del nuovo editore, in una nota libreria universitaria di un'altrettanto nota città universitaria, in riva al Ticino. E mi sembra di aver proprio avuto tra le mani una copia di Cattedrale. Mistero!

lunedì 30 agosto 2010

Lezioni castelnovesi (ovvero consigli ai naviganti da un marinaio di terra), di Roberto Carlo Delconte (Quaderni della Biblioteca "P.A. Soldini)

E' affascinante il modo in cui questa raccolta di riflessioni appare così contemporanea. Quasi come un blog. Quasi come un fluire di pensieri che segue la strada della "pagina infinita di internet", come direbbe José Saramago. Contemporanea nei suoi modi e classica invece nella sua forma cartacea, quasi riservata, che vuole arrivarti vicino senza disturbare. Roberto Delconte, tra le altre cose, si è impegnato moltissimo per far riscoprire il suo illustre concittadino, Pier Angelo Soldini, le cui opere sono ora pubblicate dall'interessante editore novarese Interlinea.
Queste sue Lezioni castelnovesi che, fin dal titolo, presentano quella riservatezza, quell'understatement che oggi, anche nel mondo della letteratura e dell'editoria, sono merce rara, vanno a costruire un vero e proprio bagaglio. Ogni viaggio ne ha bisogno. E un buon bagaglio deve essere sì completo, ma anche leggero, facile da portare con sé. Delconte porta con sé un bagaglio fatto dalle sue riflessioni e dai suoi rimandi a Norberto Bobbio, Italo Calvino, James Joyce, Albert Einstein, Alessandro Manzoni, Marguerite Yourcenar, Giuseppe Pontiggia e (naturalmente) Pier Angelo Soldini tanto per citare solo alcuni dei suoi autori preferiti.
Ma le sue note, le sue riflessioni, le sue citazioni non sono fredde, accatastate, senz'anima. Sono invece composte da chi sa che la parola scritta e i pensieri sono la merce più preziosa per cercare di comprendere la nostra vita, per cercare di trovare meglio la nostra meta. Come scrive Laura Bosio nella presentazione: (...)dobbiamo cercare di capire l'"oggi" che ci è dato e, soprattutto, impegnarci a fare la nostra parte.
Cito una frase del suo libro, tratta dal capitolo "Saper viaggiare": Il fatto è questo: sono partito senza l'ambizione (o il progetto) di arrivare fino a Genova eppure ho raggiunto lo stesso la piacevole meta.
Ecco, se tutti noi leggessimo qualche bestseller in meno e qualche lezione castelnovese in più, giungeremmo anche noi dove ci eravamo prefissati di arrivare. E quasi senza accorgercene.
Un libro.
Lezioni castelnovesi (ovvero consigli ai naviganti da un marinaio di terra), di Roberto Carlo Delconte (Quaderni della Biblioteca "P.A. Soldini")

domenica 29 agosto 2010

Torna l'appuntamento annuale con "Parole nel Tempo"

Il Castello di Belgioioso

Si torna dalle vacanze.
Si abbandonano a malincuore mari e monti. Si ripensa alle letture fatte sotto l'ombrellone o stesi sulla verde erba di una collina. Ma, per tutti gli amanti del libro e della parola scritta, ritorna un appuntamento obbligato.
Manca ancora quasi un mese, ma sono sicuro che ne prenderete nota fin da ora. E soprattutto ricordate che quest'anno ricorre la ventesima edizione. Quindi, a settembre, è d'obbligo partecipare a:


PAROLE NEL TEMPO

25 - 26 settembre 2010
Editori in mostra al Castello di Belgioioso

Torna al Castello di Belgioioso il consueto appuntamento di fine settembre con l’editoria.
Giunge al ventesimo anniversario la mostra mercato, nata in un isolato castello pavese, che da sempre costituisce un punto di riferimento per l’editoria di qualità. Lettori ed editori si danno ogni anno appuntamento per un incontro eccezionale e sempre ricco di sorprese. Nelle belle sale del castello, si assiste ad un lento e pacato via vai di lettori e appassionati, che scelgono di venire per rintracciare titoli altrimenti introvabili o per scambiare due chiacchiere con gli editori sul perché di una pubblicazione.



La mostra osserverà il seguente orario:
sabato e domenica: orario continuato dalle ore 10,00 alle 20,00.
Costo del biglietto d'ingresso: intero 
8,00 euro - ridotto 5,00 euro
Giovani e studenti max 25enni possono usufruire del biglietto ridotto - 5 euro
Per informazioni
Castello di Belgioioso
tel. 0382.969250 - 970525 - fax 0382.970139 
info@belgioioso.it
Ufficio stampa
Guido Spaini
Tel 050.36660 / 36985 – Cell. 347.1419507
e-mail: 
guido.spaini@belgioioso.it
www.belgioioso.it

giovedì 26 agosto 2010

L'ostensione del significato nascosto. New Thing, di Wu Ming 1 (Einaudi)


"Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia", dice William Shakespeare. E ci sono più cose nell'universo della cultura pop e underground di quante se ne possano trovare sui libri di storia.
C'è una sottile, ma tenace, linea che unisce certe espressività nascoste in quel "luogo della mente" (cito i "Titoli di coda" del libro) che può essere Brooklyn, così come possono essere gli USA, intesi come luogo d'elezione dell'immaginario occidentale. E c'è come un sigillo che passa dalla blaxploitation, attraversa Libra di DeLillo, fino ad arrivare alla trilogia americana di Ellroy, senza dimenticare JFK di Oliver Stone. E che passa senz'altro vicino a certi ambiti misconosciuti e dimenticati come Tin Pan Alley o come tutto il bagaglio sonoro dei musicisti afroamericani "itineranti". Piero Scaruffi  direbbe: "dalla subcultura alla controcultura".
Ed è a questa linea, a questo sigillo che Wu Ming 1 si rivolge per trovare gli strumenti più adatti alla comprensione della realtà. New Thing, come Stella del mattino, è un'altra delle opere "soliste", dei componenti del collettivo. Strategie narrative che imitano la tecnica della documentazione e dell'inchiesta; un romanzo scritto imitando questa imitazione (cito sempre i "Titoli di coda"); i rimandi alla presenza della figura borgesiana del doppelganger, i "Titoli di coda" (vero e proprio backstage narrativo/descrittivo, dove si richiama documento, ma anche finzione); un sapiente dosaggio fra una scrittura tagliente ed essenziale e un po' di hardboiled. Un gioco di specchi che descrive e documenta un altro gioco di specchi. Il libro che diviene strumento di analisi di un mondo sottotraccia, ma che è esso stesso espressione di una sottotraccia o forse è la  sottotraccia stessa. L'oscuro scrutare verso le zone d'ombra e demoniache del potere può essere compiuto solo da un neocronomicon. E New Thing, a suo modo, lo è.
Un libro.
New Thing, di Wu Ming 1 (Einaudi).

martedì 24 agosto 2010

Jonathan Franzen non cinguetta

Jonathan Franzen
Jonathan Franzen dichiara di non usare Twitter. Lo riporta il Sole24Ore. La sua analisi è, a mio avviso, molto americana. Molto americana nella misura in cui l'America (intesa come USA, secondo la figura retorica "il tutto per la parte") è il luogo per eccellenza dove le cose accadono, nel bene e nel male. Una nazione che si è trasformata (che ha saputo trasformarsi) in una sorta di immaginario permanente, che si racconta, che si inventa, che si impone culturalmente, come culturalmente si era imposta la Francia del Settecento. Con una fondamentale differenza. Che questo suo raccontarsi, questo suo descriversi con qualsiasi mezzo (cinema, televisione, narrazione) si è trasformato in un enorme business. Hollywood non è altro che la pietra di paragone più evidente. Se è il business (calvinista o selvaggiamente capitalista) a dominare, è evidente che le logiche mercantili hanno il sopravvento. Tuttavia, i maggiori anticorpi contro la deriva puramente commerciale della cultura, l'America li ha trovati proprio in una parte importante della sua narrativa. Don DeLillo, tanto per citare un autore che mi appassiona profondamente, da sempre si pone come una sorta di voyeur (in senso ovviamente positivo) che osserva tutto ciò che di inquietante si nasconde sottotraccia nella vita americana. Ed è forse questo fiume carsico che attraversa la vita di quella nazione, quello che più spaventa Franzen. Questo fiume carsico che si amplifica a dismisura, nel bene e nel male, creando un gigantesco white noise. Quello che lui definisce propriamente "il fast-food della cultura" o "lo sciame di mosche in una sala di lettura". Quel fiume carsico che è così difficile da controllare e che può essere portatore di mutazioni positive, così come può farsi interprete delle peggiori pulsioni. In questo senso definisco l'analisi di Franzen "americana". Nel senso di un'analisi ossessionata e spaventata da quel continuo mutare del presente che, nelle sue declinazioni positive e in quelle più follemente negative e paranoiche (“La violenza è americana come la torta di ciliegie", affermò H. Rap Brown), è la causa/effetto dell'America intesa come luogo dell'immaginario.
Ma se McLuhan ci ha insegnato che "il mezzo è il messaggio", sta a noi assumerci il compito di definire questo messaggio, senza farci usare dal mezzo. Sta a noi assumerci il compito di riempire questo messaggio di contenuti validi. I soli che, con la loro pregnanza, rappresentano la salvezza.
Usiamo Twitter (intaso come web, utilizzando qui la figura retorica "la parte per il tutto") per diffondere la nostra visione del nostro immaginario. Non consideriamolo l'unico mezzo possibile, ma utilizziamolo in sintonia con tutti gli altri, in primis, ovviamente, il libro. Magari, in questo modo, la "Vecchia Europa" ha ancora qualcosa da dire e da insegnare. Anche alla patria dell'immaginario dominante.

sabato 21 agosto 2010

Wired, la morte del Web e Carlo Formenti

C'è un certo fascino retrò nell'apprendere notizie che riguardano il web dall'ascolto mattutino delle rubriche radiofoniche dedicate alla lettura dei giornali. Una doppia valenza, forse negativa agli occhi di qualcuno, ma per me affascinante: una radio dove si leggono giornali. Un mezzo quasi obsoleto, a suo tempo ucciso da un mezzo oggi forse ancor più obsoleto ("video killed the radio stars", ça va sans dire), ai microfoni del quale si leggono addirittura giornali in forma cartacea. Robe da far impallidire per il disgusto mezza blogosfera.
Ebbene è proprio dalla radio della mia auto (un'auto con il motore a scoppio inventato nel XIX secolo; ma, quand'ero piccolo, non si diceva che nel 2000 avremmo usato futuristiche capsule mosse da fantascientifici combustibili?) che la voce raffreddatissima di un giornalista mi annuncia che Wired ha proclamato la morte del web.
Sul Corriere della Sera di venerdì 20 agosto 2010, Carlo Formenti produce un'interessante esegesi. Secondo Formenti: ciò di cui si annuncia la fine è il Web in quanto "applicazione": quell'insieme di tecnologie-dai software di navigazione ai motori di ricerca-che, dall'inizio degli anni 90, hanno consentito a milioni di utenti privi di competenze tecnologiche di "navigare" in quell'immane deposito di informazioni che è la Rete.
Sempre secondo Formenti ciò sarebbe avvenuto perché la maggioranza degli utenti dedicherebbe ormai la propria attenzione a quelle piattaforme "chiuse" (leggi: Social Networks) che costituirebbero una vera e propria alternativa al Web originariamente inteso.
Sembra proprio che siano passati secoli dal buon vecchio cyberpunk. Non siamo diventati (non ancora almeno) dei cyborg. Però ci siamo rinchiusi, di nostra spontanea volontà, in un bel recinto. E abbiamo lasciato, con il sorriso sulle labbra, che i guardiani chiudessero a chiave la porta. Forse siamo già in un romanzo di William Gibson o di Bruce Sterling. E se, forse, il guardiano è il Dr. Adder, non c'è più speranza.

giovedì 19 agosto 2010

La mia recensione a "Banda randagia" su La poesia e lo spirito (LPELS)

Vincenzo Pardini




Vincenzo Pardini è uno dei più interessanti e incisivi scrittori italiani contemporanei. Magistrale poi nella creazione di racconti. La mia recensione al suo ultimo libro, Banda randagia (Fandango) è da oggi disponibile anche su La poesia e lo spirito e sul blog di Giovanni Agnoloni, Writing and Travelling.

mercoledì 18 agosto 2010

Su Wikipedia la mia intervista a Vincenzo Pardini

Collaborazioni incidentali, condivisioni infinite, moltiplicazione di contenuti. Questa è la bellezza (e anche il fascino) di quella che Saramago ha definito "la pagina infinita di internet".
Tempo fa ho intervistato Vincenzo Pardini. Oggi Vincenzo mi avvisa, tramite mail, che questa intervista è stata pubblicata anche sul suo profilo in Wikipedia.
Pagine infinite, contenuti, condivisioni...

martedì 17 agosto 2010

Todo Modo para buscar la voluntad divina. In morte di Francesco Cossiga

La strategia della tensione, le P38, la P2, Giorgiana Masi, il '77, il convegno sulla repressione, i blindati a Bologna, le BR, i NAP, i NAR, la strage di Bologna, il sequestro Moro, Licio Gelli, la solidarietà nazionale, il pentapartito, il CAF, via Gradoli, la mitraglietta Skorpion, la Renault 4 lasciata a metà strada tra Piazza del Gesù e Botteghe Oscure, i Servizi deviati, frezza bianca, Roma blindata, le retate che non portano a nulla, il generale Dalla Chiesa, la mafia, la Sicilia, Andreotti, la marcia dei 40.000, l'occupazione della Fiat, Berlinguer, Craxi, le lettere dalla prigione, il partito della fermezza, Zaccagnini, la trattativa, forza di governo e di opposizione, la Sardegna, il settennato, il picconatore...Todo Modo para buscar la voluntad divina.

lunedì 16 agosto 2010

La Libreria Bonardi

Lo sappiamo tutti. Il confronto della nostra produzione letteraria ed editoriale con il resto del mondo è durissimo.  Pochi sono i nostri autori, libri, riviste, idee che riescono a superare i confini della nostra penisola, a parte alcuni casi eclatanti. Eppure ogni nazione, ogni popolo, ogni lingua (intesi in senso ovviamente esteso e per nulla nazionalista) sono portatori di sentimenti e di narrazioni. Ogni comunità esprime se stessa attraverso la parola e la letteratura e questo a prescindere dalla sua importanza geopolitica (anzi, il più delle volte, l'eccellenza letteraria di uno stato è indirettamente proporzionale alla sua grandeur).
Ad Amsterdam, da oltre trent'anni (per la precisione dal 1977), c'è la Libreria Bonardi. Unica libreria italiana in Olanda, è da sempre impegnata nella diffusione della nostra produzione editoriale. Con un ricchissimo catalogo online di titoli italiani, la Libreria Bonardi è anche un centro per la diffusione e la conoscenza della nostra cultura, dove è possibile incontrarsi e discutere sui temi della nostra letteratura.
Marino Magliani ne è un assiduo frequentatore. Su Nazione Indiana potete leggere questa sua intervista a Marina Warners, proprietaria della Bonardi.

In questo periodo di vacanze, se qualcuno passa da quelle parti, ecco i riferimenti necessari per visitare un un'affascinante isola di cultura italiana all'estero:
Libreria Bonardi
Entrepotdok 26
1018 AD Amsterdam
Tel. 020-6239844
 
Fax 020-6223754
e-mail: lb@bonardi.nl



sabato 14 agosto 2010

Comunicare con Twitter, di Luca Conti (Hoepli)

Come nella migliore tradizione manualistica sette-ottocentesca, Luca Conti ci propone un manuale completo, che sviluppa anche una serie di analisi approfondite e interessanti. L'editore (Hoepli) è, ça va sans dire, una garanzia. Memore del detto di Marshall McLuhan che "il mezzo è il messaggio", Luca Conti è consapevole che comunque il messaggio deve essere fondamentale. Fondamentale, corretto e curato. E, in questa sua opera, Luca Conti ci presenta un'analisi esaustiva di Twitter, inteso come vero e proprio strumento con una sua automia all'interno del web duepuntozero. Apparentemente dedicato ai professionisti del web, questo libro è invece utilissimo per tutti quelli che si vogliono avvicinare a Twitter o, già presenti, vogliono essere resi più consapevoli delle sue potenzialità. Veramente interessante è il capitolo dedicato ai rapporti fra Twitter, l'informazione e il giornalismo. Luca Conti ha un'azione orientata, ovviamente, al quadro internazionale. Ma non mancano i tanti riferimenti anche al panorama italiano. Due fra tutti, le interviste a due protagonisti italiani del web: Caterina Policaro (catepol) e Marcello Cividini. Un libro, quindi, per tutti. Come scrive Luca De Biase nella prefazione: "Twitter è un ecosistema diverso dagli altri, a disposizione del pubblico che gli conferisce il suo vero valore."
Un libro.
Comunicare con Twitter, di Luca Conti (Hoepli).

venerdì 13 agosto 2010

L'egemonia sottoculturale - L'Italia da Gramsci al gossip, di Massimiliano Panarari (Einaudi)

I libri, le storie, i saggi, insomma la parola scritta, altro non sono se non segnali che delimitano un percorso. Come le persone, i libri non sono, non possono essere, soli. Portano idee che si intersecano con altre, fino alla delimitazione, all'apertura di sentieri nella foresta intricata del tempo. E' questo il caso di L'egemonia sottoculturale, di Massimiliano Panarari, edito da Einaudi. Sì, perché questo libro, questo saggio ha un punto di partenza. Un punto di partenza in un altro libro. Ed è un punto di partenza non solo ideale, ma un vero e proprio punto di partenza temporale. Nel febbraio dello scorso anno è uscito infatti, edito da Laterza, Dancing days (1978-1979 i due anni che hanno cambiato l'Italia), di Paolo Morando.
Arrivati fin qui, come nella migliore tradizione manzoniana, è necessaria però una digressione.
In uno dei tanti canali digitali dalla Rai, ho visto la riproposizione di un interessante programma giornalistico del 1980, dedicato al fenomeno nascente delle discoteche e del divertimento notturno inteso come oggetto di indagine sociologica, in un momento significativo della storia del costume (per semplificare, tra la contestazione a De Gregori e Santana da parte degli Autonomi e la vigilia della ripresa dei grandi concerti negli stadi). Alcuni ricorderanno quando, tra la fine dei '70 e gli inizi degli '80, L'Espresso aveva iniziato a dedicare pagine e pagine alla divisione del mondo giovanile di allora, fra "impegnati" (legati alla totalizzazione dell'impegno politico, nato dalla contestazione sessantottesca e arrivato fino al "settantasette") e "travoltini" (affascinati dal nuovo mito della discomusic e delle discoteche). Sembra preistoria, lo so. E in quel programma giornalistico del 1980, si cercava di capire il recondito motivo per cui, lentamente, i giovani stavano cambiando interessi, in una analisi che cominciava a comprendere che la mutazione del costume, il rifiuto della politica rappresentavano, anche e soprattutto, una mutazione (guarda un po') politica.
Dancing days, di Paolo Morando illustra quei due anni nei quali si è verificato il passaggio dalla sbornia del "tutto è politica", a quella che sarebbe stata la sbornia del "rifugio nel privato", con gli annessi inquietanti di una campagna giornalistica iniziata dal Corriere della Sera (allora obiettivo di trame piduistiche) con una serie di lettere al direttore dedicate al tema del tradimento sentimentale. Lettere che erano in realtà scritte dalla redazione e il cui fine era proprio quello di spostare l'interesse della pubblica opinione da ciò che accadeva di preoccupante (strategia della tensione, P2, tentazioni golpiste) nel mondo politico a ciò che invece accadeva sotto le lenzuola.
Fine della digressione manzoniana.
L'egemonia sottoculturale, di Massimiliano Panarari è invece il racconto di quello che siamo oggi, dopo la vera e propria vittoria del "privato" e la mercificazione totale di una società e di un paese a metà strada tra arcaicismi e postmodernismi. Seguito ideale del saggio di Morando, L'egemonia sottoculturale racconta di un'Italia trasformata in un enorme casting, dove le strategie politiche vincenti sono diventate lo sbocco naturale di una strategia culturale e comportamentale che ha avuto nel mezzo televisivo il suo "braccio armato". Questo saggio di Panarari è il disperante autoritratto di una nazione (verrebbe quasi voglia di dire gobettianamente: "l'autobiografia"). Una nazione che ha subìto una trasformazione potentissima e forse irreversibile. Già Pasolini aveva compreso i primi segni di una mutazione sociale che, passando dapprima attraverso le pietre (la distruzione del paesaggio rurale e la speculazione edilizia), sarebbe arrivata fin dentro alle anime. Ecco, quella mutazione è ora completa. Panarari può soltanto prenderne atto, con una motivata presa di coscienza che attesta la vittoria della follia situazionista, paradossalmente applicata al capitalismo più aggressivo che ci sia attualmente in circolazione.
In un bellissimo film di Alberto Sordi (Fumo di Londra) di fronte ad una rissa tra mods e rockers, due compassati gentlemen in ombrello e bombetta dicono: "Noi abbiamo fatto di peggio. Abbiamo fatto la guerra."
Noi, che abbiamo assistito alla "tamarrizzazione" e alla "velinizzazione" di quasi tutto quello che ci circonda, non possiamo nemmeno dire quello.
Un libro.
L'egemonia sottoculturale - L'Italia da Gramsci al gossip, di Massimiliano Panarari (Einaudi).

mercoledì 11 agosto 2010

Agosto, libro o ebook non ti conosco

Quella perturbazione gelida che apre L'uomo senza qualità, di Musil e Posizione di tiro, di Manchette, lentamente, ma inesorabilmente, è arrivata anche nella diatriba libro cartaceo vs ebook. Il comandante Heriberto Cienfuegos (Roberto Santachiara), da buon guerrillero, per primo dà fuoco alle polveri
Umberto Eco, su La bustina di Minerva espone interessanti teorie legate anche all'affascinante problema della archiviazione della memoria storica
Massimo Mantellini espone una completa analisi del problema, molto dotta e anche un po' disincantata. Bookrepublic contrattacca il guerrillero Santachiara, cercando di rispedirlo nella jungla cartacea da dove è uscito, e promettendo gloria e onori ai seguaci del libro digitale. Nel frattempo Andrew Wylie cerca di portarsi via tutta la torta da solo, una cosa che non si era mai vista nemmeno in un romanzo di Doctorow o di DeLillo e anche Ellroy lo sa che poi certa gente fa una brutta fine. Il problema è però sempre legato al numero dei lettori, in particolare al numero dei lettori italiani. Numero che non solo non aumenta, ma rimane legato a percentuali infime. Riuscirà l'ebook, nella titanica impresa di rendere la lettura qualcosa di socialmente friendly? 
Cito Roberto Santachiara, riportando le parole da lui dette a Loredana Lipperini: ...bisogna ancora capire molte cose, soprattutto per quel che riguarda l’Italia. Siamo un paese di pochi lettori, e quei pochi sono lettori forti che hanno come caratteristica la passione per l’oggetto libro. Ammetto di non saper prevedere il futuro. Ma per quanto riguarda il presente abbiamo un problema, e grave, di diffusione della lettura”. 
Cito le parole di Massimo MantelliniMa se domani leggere un libro elettronico diventerà un esercizio di assoluta normalità, quello che invece possiamo vedere oggi, maneggiando i primi lettori di ebook disponibili sul mercato, è che sarà probabilmente bello come leggere un libro di carta, anche se sarà differente. Avremo ancora cosi tanto da leggere e cosi poco tempo per farlo. In un ricorso gattopardesco nel quale tutto cambia, perfino l’oggetto-libro, per restare uguale a se stesso.
Concludo con quello che Giuseppe Granieri ha scritto su La Stampa.itMa forse le buone domande che dovremmo porci oggi possono essere altre. Come possiamo immaginare un mondo in cui grazie al digitale aumenta la passione per la lettura? Oppure: come possiamo migliorare la nostra capacità di trovare i libri che ci piacciono ma che non conosciamo? Come possiamo far circolare la cultura in modo più accessibile, economico ed efficace?
Ai posteri l'ardua sentenza, magari letta su un iPad.

lunedì 9 agosto 2010

Immobile è l'immagine del tempo

La ragazzina avrà al massimo quindici anni. Il bianco dei fianchi scoperti contrasta con il blu navy della Lacoste. Sta seduta, immobile, sulla bicicletta appoggiata al muro di una tabaccheria. I piedi ripercorrono al contrario lo scorrere della catena. Così, tanto per passare il tempo. Arrivi a vederla dopo un breve tratto di pochi chilometri. Tra il verde, che si trasforma lentamente in giallo, delle risaie quasi mature e cotte dalla pesantezza dell'afa. Il mare a quadretti non c'è più. E' sparito alla fine di aprile, per lasciare inesorabilmente il posto a tutto questo verde e a questo giallo, stanchi del caldo. I paesi sono soltanto macchie bianche, che riflettono il sole. Macchie bianche deserte. Abitate soltanto da decine di auto senza padrone. Ferme ai lati delle stradine, ammonticchiate nelle piazze senza alberi. Macchie rosse sono invece le cascine. Quelle abitate e quelle diroccate. Macchie rosse del rosso della pietra scrostata. Non c'è nessuno. Forse non c'è mai stato.

sabato 7 agosto 2010

La (de)strutturazione dell'eroe - Stella del mattino, di Wu Ming 4 (Einaudi)

C'è sempre una metalettura da compiere nelle parole che ci pervengono dai Wu Ming, sia come collettivo che come autori singoli. Infusori di storie e traslatori di tempi storici, affiancano, alla dimensione creativa, una costante esegesi di fonti e di analisi che loro stessi conducono, nell'affascinante affastellamento di segnali prodromici a quello che poi troverà spazio nelle loro narrazioni.
Si possono amare od odiare, ma non si può essere indifferenti nei loro confronti.
Consapevoli del motto vichiano dei corsi e ricorsi storici, ben conoscono come il divenire della Storia eroica (quella dei re, dei Papi, degli imperatori e delle battaglie) possa influire ed indirizzare il corso della Storia immobile (quella delle manzoniane "genti meccaniche").
A prima vista, Stella del mattino può sembrare un atto di critica (fortemente motivata da un'attenta e profonda preparazione storica) contro la guerra in Iraq, alla luce di tutto ciò che è accaduto dalla fine della Prima Guerra Mondiale in poi. Una sorta di ennesima creazione letteraria ispirata a quel Grande Gioco che domina tuttora i rapporti fra l'Occidente e il resto del mondo.
Tuttavia sono le fortissime presenze umane a caratterizzare questo romanzo. Sono le analisi condotte sull'animo (e, verrebbe da dire, nell'animo) delle voci narranti che danno a Stella del mattino una sua particolarità. Senz'altro è da considerare il fatto che questo libro non è un'opera collettiva, bensì il frutto di uno dei componenti del gruppo. Ma il fascino di questa narrazione nasce dall'opera di destrutturazione vera e propria di un mito, quello di Lawrence d'Arabia. E attraverso questa opera direi quasi di demolizione (con gli ovvi rimandi al potere della propaganda dei mezzi di comunicazione) si arriva però non solo ad una critica dell'azione politica, ma ad una affermazione di vitalità. E' come se, venendo a mancare il forte storicismo che contraddistingue il collettivo, il singolo autore lo abbia sì utilizzato, ma per affiancargli una sua personalissima (e affascinante) visione. Alla demolizione di un mito si unisce (quasi senza soluzione di continuità) la creazione di un altro. Dallo sbugiardamento della realpolitik nascerà forse una speranza. Quella speranza che è nascosta nella parola scritta.
Al crollo del mito bellico di Lawrence, incardinato nella realtà, si sostituirà forse il mito di un universo parallelo, incardinato nel mondo della creazione letteraria. Quello della Terra di Mezzo. Un universo non certo privo di sangue e violenza, ma forse ben più foriero di comprensione e di speranza per l'umanità.
Un Libro.
Stella del mattino, di Wu Ming 4 (Einaudi).

giovedì 5 agosto 2010

Il libro e l'anima. Anobii e la pubblica confessione

-I libri, ad esempio. Se vuoi sapere qualcosa di un uomo, scopri cosa legge.-
Questa frase si trova a pag. 103 di Stella del mattino, di Wu Ming 4. Ed è una frase che dà da pensare. Certamente ognuno di noi, accaniti lettori e possessori di imponenti librerie, spesso, nella propria vita, ha ceduto più di una volta all'impulso narcisistico di mostrare i propri libri ad amici e conoscenti. Perché, inutile nasconderlo, noi siamo i nostri libri, noi siamo le nostre librerie. Nell'accumulo, momento dopo momento, delle nostre letture rivediamo il nostro autoritratto. Ed è un autoritratto che, per di più, muta negli anni e sedimenta quello che siamo e quello che siamo stati. Un autoritratto che, a volte, un po' ci sconcerta, per titoli che ritroviamo, titoli letti in passato, che ci hanno un tempo entusiasmato e che, magari, oggi non degneremmo di uno sguardo. Per questo i nostri libri li si mostra raramente agli estranei, ma, come dicevo, preferibilmente ad amici e conoscenti. Per rafforzarci nell'immagine che hanno di noi oppure per modificarla,.ma il tutto in una relazione circolare che prevede il libro come complemento a ciò che siamo. E allora contempliamo gli scaffali delle nostre librerie, dove ognuno pone i volumi nei modi più svariati: in ordine alfabetico, di lettura, di acquisto, per argomento o, semplicemente, come capita, in quella totale libera scelta che già Italo Calvino aveva teorizzato.
E poi? E poi è arrivato anobii. E tutti abbiamo denudato le nostre anime e ci siamo sottoposti (con gioia) ad una sorta di pubblica confessione.
Ora, se vuoi sapere qualcosa di un uomo, non devi più scoprire cosa legge. E' sufficiente guardare la sua libreria online.

martedì 3 agosto 2010

Elvira Sellerio, la signora dei libri

Quelle copertine dai colori delicati, quel blu che dominava, quella carta che ci faceva capire che leggere era un sogno, un atto d'amore. Elvira Sellerio, con la sua casa editrice, ci aveva fatto capire che la parola e il libro, che la narrazione e lo scrivere andavano al di là di quello che rappresentavano, sino ad essere un vero e proprio atto di coraggio. Per quelli che, come me, hanno cominciato ad innamorarsi della letteratura tra la fine dei '70 e gli inizi degli '80, Elvira Sellerio è stata uno dei rari punti fermi. Ricordo l'ingenuità con la quale, nella mia adolescenza, andavo compilando un elenco dei libri che avrei dovuto leggere. E Sellerio, in qualche modo, non mancava mai. Poi l'ingenuità ha lasciato il posto alla consapevolezza e, forse, anche all'amarezza. Ma Elvira Sellerio è sempre qui con noi. Grazie Elvira, signora dei libri.

lunedì 2 agosto 2010

Strage, di Loriano Macchiavelli (Einaudi)

Questo post esce significativamente oggi, 2 agosto 2010, come piccolo contributo nel trentennale della strage alla stazione di Bologna.
Se un libro è ciò che racconta questo è senz'altro il caso di Strage. Mai, come in questo caso, il noir diviene un pretesto per esercitare il tentativo di una catarsi. Una catarsi che ha per oggetto gli incubi non del singolo lettore, bensì quelli di un'intera collettività. Collettività intesa nel senso giuridico di comunità che vive su un determinato territorio, governato da istituzioni pubbliche. In questo risiede l'utilità di questo romanzo. Sì, perché Strage è un libro utile. Strage è un libro che serve. Che serve a non dimenticare. Che serve a mantenere il ricordo. Non certo un ricordo retorico. No. Strage è un vero e proprio strumento dinamico, nella sua costruzione, nella sua tecnica di composizione, perfino in certi suoi ritmi e soluzioni apparentemente scontati. Una narrazione è a volte ben più utile di un saggio, nel difficile compito di rappresentare uno stato di cose. A maggior ragione, quando questo stato di cose (la storia del nostro paese) ci ha abituati all'adagio che la realtà supera spesso la fantasia e che gli avvenimenti più inspiegabili (e ai limiti dell'umana ragione) sono in realtà il pane quotidiano (o la merce di scambio) del quel divenire storico che, lentamente, inesorabilmente e sempre sottotraccia, inquina la nostra vita, pubblica e privata. Per ben due volte infatti, e non a caso, si cita Elias Canetti: "Il segreto sta nel nucleo più interno del potere".
Come Don DeLillo con Libra, così Loriano Macchiavelli crea un labirinto che, trascendendo la vicenda stessa, la trasfigura e ne diventa il simbolo. La struttura stessa è la storia. Verrebbe da dire, appoggiandosi a citazioni illustri, che il mezzo è il messaggio e che l'intrico della narrazione altro non è se non lo strumento che rappresenta, più che degnamente, lo sviluppo storico e politico di un paese che è stato, ed è, un laboratorio di efferatezze politiche e criminali.
Quelle parti forse scontate nelle quali, a volte, Macchiavelli indulge (un po' alla hard boiled school) lo rendono simile (in un confronto con la narrazione cinematografica) più a Sbatti il mostro in prima pagina, di Marco Bellocchio, che a Cadaveri eccellenti, di Francesco Rosi o al raffinato ed enigmatico Todo modo, di Elio Petri.
Ma, in sottofondo, si sente la tragica e inascoltata eco dell'Io so, di Pier Paolo Pasolini.
Un Libro.
Strage, di Loriano Macchiavelli (Einaudi).