mercoledì 30 marzo 2011

Intervista a Piersandro Pallavicini

Piersandro Pallavicini (Vigevano 1962), lavora come ricercatore nel campo della Chimica supramolecolare, presso l’Università di Pavia. Dopo una lunga militanza nel campo delle riviste di musica underground e fumetto, intorno alla metà degli anni novanta ha cominciato a pubblicare narrativa nell’area delle nuove riviste letterarie. Nel 1998 è uscito il saggio-cronaca Quei bravi ragazzi del rock progressivo (Theoria). Nel 1999 ha esordito nella narrativa con il romanzo Il mostro di Vigevano (Pequod). Dal 1997 si è dedicato anche all’analisi della nuova scena letteraria italiana, collaborando con riviste come "Pulp", "Addictions", "Versodove", "Palazzo Sanvitale", "Fernandel". Ha fatto parte della formazione originaria di Nazione Indiana. Nel 2002 ha pubblicato la raccolta di racconti Anime al Neon (Fernandel). Con Feltrinelli ha pubblicato i romanzi Madre nostra che sarai nei cieli (2002), Atomico Dandy (2005) e African Inferno (2009). Nel 2010 è uscito il romanzo A braccia aperte, edito da Verdenero.
Collabora con "TuttoLibri", il supplemento culturale del quotidiano "La Stampa".

Piersandro, tu sei sempre stato molto attento al panorama della espressività narrativa. E, a questo proposito, voglio citare un tuo saggio del 1999 Riviste anni ’90. L’altro spazio della nuova narrativa (edito da fernandel), nel quale illustravi un vero e proprio universo, forse parallelo a quello delle case editrici. Oggi, secondo te, quel mondo si è riversato nel web? I blog letterari, quelli dei singoli autori o quelli delle riviste letterarie che dalla versione cartacea sono passate (più o meno forzatamente) alla versione online, sono ancora in grado di svolgere una funzione attiva e propositiva per quanto riguarda la scoperta di nuovi autori?
Non vorrei deluderti ma ho smesso di guardarmi intorno alla ricerca di dove nascano le novità. Non che non mi interessi più o che non mi sembri interessante quel (poco) che vedo. E’ che non ho più tempo. Quindi posso darti un parere che si ferma a qualche anno fa (e alle poche incursioni che faccio oggi nel mondo dei blog/webzine). Il punto, ovvio, è che la fatica che si fa per farsi un blog e pubblicare sé stessi o altri è talmente imparagonabile a quella che si faceva (e si fa) a fare l’analogo su carta, che è inevitabile metterla in questa prospettiva: ognuno è libero di farsi la propria webzine/blog e non c’è filtro, dunque c’è un’inflazione di solipsismo e bassa qualità. Poi rimangono i casi che funzionano (per esempio Carmilla, Primo Amore, per esempio il blog di un bravo scrittore e intellettuale come Giorgio Fontana, per esempio il blog su cui pubblichiamo queste righe…) ma temo che per la più parte si abbia a che fare con semplice spazzatura. Tra la quale è difficile e faticoso andare a cercare le cose buone, quindi non so quanto bene faccia tutta questa libertà di “pubblicare”.

Ti faccio una domanda che si collega in qualche modo a quella precedente. Stiamo assistendo ad una affermazione (lenta per il mercato italiano, ma più accentuata negli Stati Uniti) dell’ebook. Alcuni autori italiani stanno già confrontandosi con questa realtà (penso ad Alessandro Zaccuri che ha appena pubblicato Il deposito con la 40kBooks). Credi che il libro digitale muterà la percezione dei lettori? Credi che muterà lo stesso stile degli autori o pensi anche tu, parafrasando Stefano Bartezzaghi, che sia del tutto inutile infarcire romanzi e racconti con i link?
E’ del tuttto inutile infarcire romanzi e racconti con link (più o meno tanto quanto è inutile fare romanzi e racconti con le note. Ce l’ha fatta Arbasino ne L’Anonimo Lombardo, ma c’era un bel coefficiente di sperimentalismo, erano gli anni giusti per farlo, e Arbasino era il genio che era. Ci abbiamo riprovato un po’ tutti, affascinati da quel sommo esempio, e credo che tutti alla fine abbiamo rinunciato a portare la cosa a compimento, perché sentivamo che non funzionava).
A parte, però devo anche ammettere che sia inevitabile che l’e-book muti almeno in parte la percezione del lettore. Pensa solo a come la pratica di downloadare musica abbia fatto a pezzi la sacralità del concetto di “album”.

Nel tuo narrare sei sempre partito dalla realtà, per poi creare una sorta di mondo parallelo, leggermente sfasato rispetto alla realtà stessa. Un po’ come se la durezza del presente potesse essere rappresentata attraverso un filtro quasi onirico. Indaghi frammenti della società forse elitari, li confronti con le difficoltà e il dolore quotidiani, sei attento alla provincia ma non te ne fai inghiottire, fai in modo che le dinamiche collettive facciano i conti con singoli a loro volta travolti da queste stesse dinamiche. Da tempo scrivi, Piersandro. Com’è la realtà oggi? Come va descritta?
Va descritta immergendovisi e tornando a galla con tutto quello che abbiamo visto, anche le cose più sordide, anche le più sgradevoli. Viene da chiedersi - data la logorrea mediatica, e la logorrea dei social network - cosa rimanga di non detto, anzi meglio di indicibile. Qualcosa c’è (la morte? La vecchiaia? Il razzismo di chi pensiamo abitualmente vittima di discriminazione? L’egoismo sfrenato? L’insopportabile dannosità delle religioni?). Ma forse il punto è semplicemente: raccontare questa realtà così apparentemente sovraesposta con ragionevolezza, sincerità, autenticità. Cioè fuori dai luoghi comuni. Riconoscendo e dicendo la verità, non importa se scandalosa (che nessuno più si scandalizza di niente), ma anche non importa se noiosa, non importa se scarsamente commovente, se antipatica. Per stare sull’ultimo paio di libri che ho scritto, mi importa molto meno raccontare che un immigrato nero in Italia faccia una vita dura, disprezzato dalla più parte degli italiani, e così muovere a commozione un certo numero di lettori, di quanto mi importi invece mettere in luce i meccanismi che portano questo immigrato a disprezzare il nostro paese e a comportarsi di conseguenza. Cioè cercando di fregare sistematicamente le istituzioni. Rendendomi però così odioso alla più parte dei lettori (e quanto ciò è seccante!).

Tu hai iniziato con la piccola editoria. Trovi ancora che nei piccoli e nei medi editori italiani ci sia spazio per la vivacità culturale?  Per la voglia di scoprire nuove narrazioni, nuovi autori?
Sì, sì, assolutamente. Per motivi di lavoro (le recensioni che scrivo per TuttoLibri) mi capita ancora di leggere/vedere molta narrativa di esordienti (o di autori poco oltre l’esordio) pubblicata da piccoli editori, e continuo a vedere belle cose. I grandi editori sono comunque pochi, e non hanno una politica editoriale (e nemmeno un’estensione di uscite) che consenta di coprire tutti i buoni esordi. Che dunque vanno anche nella piccola editoria. “Nuove narrazioni” però mi sembra più uno slogan da marketing che non una categoria critica. Scrivere comporta, per la più parte, essere dentro il proprio tempo e testimoniarne (elaborarne) ogni risvolto, come si diceva più sopra. Il tempo cambia e il mondo è sempre nuovo. Dunque anche il narrare, automaticamente, giorno dopo giorno, anno dopo anno.

Ultima domanda. Che cosa consigli a chi ha il fatidico (o fatale) libro nel cassetto?
Di lasciarlo chiuso nel cassetto per sei mesi. Poi di riaprire il cassetto, rileggerlo. E se quel che si legge sembra entusiasmante, cominciare il giro dei piccoli, medi e grandi editori. Magari cercando di andare a portare il manoscritto di persona, cercando di conoscere prima le persone che se ne occuperanno in casa editrice, e poi chiedendo loro conto di quel che gli si è sottoposto. Oggi non è poi così difficile, c’è FaceBook, c’è Google, i nomi e luoghi si trovano. E se quel che si legge dopo sei mesi nel cassetto invece non ci sembra poi così entusiasmante? Ecco, allora consiglio di avere la modestia e l’onestà di spostarlo dal cassetto alla pattumiera. Noi siamo i nostri primi lettori. Dobbiamo essere più che convinti di quel che scriviamo. Nessuna indulgenza, con noi stessi. E pietà, invece, per stuoli di poveri redattori e lettori costretti a subire pagine e pagine di certe nostre povere menate.

martedì 29 marzo 2011

Quattro chiacchiere con...Giuliano Turone

Giuliano Turone, ex magistrato,
dialoga con Virginio Rognoni, ex ministro
Giovedì 31 marzo 2011 ore 17,30 - Università di Pavia - aula Foscolo
“Il caffè di Sindona”
Un finanziere d'avventura tra politica, Vaticano e mafia

coordina: Laura Cesaris - docente di Diritto dell'esecuzione penale


Il caffè di Sindona Ristabilire la verità dei fatti è un debito che sentiamo nei confronti della memoria di Ambrosoli. Inoltre ci sembra che in questo nostro paese, dove troppi misteri rimangono ancora avvolti nella nebbia più fitta, possa essere utile un contributo che getta uno spiraglio di luce su circostanze che misteriose non sono più, ma sulle quali permangono disinformazione e pregiudizio. 

Giuliano Turone, ex magistrato, si è occupato per molti anni di criminalità mafiosa e di criminalità economica. Come giudice istruttore ha condotto, insieme con Gherardo Colombo, l'inchiesta giudiziaria milanese sull'omicidio Ambrosoli nel corso della quale vennero scoperti gli elenchi della Loggia massonica P2. 
Insegna tecniche dell'investigazione all'Università Cattolica di Milano. Il suo libro più recente è “Il delitto di associazione mafiosa” (Giuffrè, 2008) . “Il caffè di Sindona Un finanziere d'avventura tra politica, Vaticano e mafia”, edito dalla Garzanti, l’ha scritto a quattro mani con Gianni Simoni.

giovedì 24 marzo 2011

Vizio di forma, di Thomas Pynchon (Einaudi)

Scordatevi subito gli arcobaleni della gravità, le V., le linee Mason e Dixon, i lenti apprendistati e le entropie. Vizio di forma è un Vineland rivisitato dalle allucinazioni di un Ellroy strafatto di acido. Vizio di forma è il sole californiano che scende a picco sulla piscina che apre le inquadrature di Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo. E' la collina rocciosa che circonda la residenza dove le sexy carceriere Bambi e Tamburino tengono prigioniero Willard White, in 007 Una cascata di diamanti (residenza che non a caso, data la sua forza evocativa, pare fosse la stessa della sequenza apocalittica di Zabriskie Point). E' la polvere sulle strade e l'ombra del tempio utilizzato dalla finta setta che fa da copertura al traffico di clandestini messicani, in Detective's Story. E' un Moses Wine che si è scordato un bel po' dei suoi ideali. E' una piscina con qualche orgia di bionde attricette stile Boogie Nights, il tutto condito con qualche snuff movie e, magari, lo sguardo sornione di Anton La Vey. E' la bolgia di Altamont, con gli Hell's Angels inferociti e Jagger che dice:"ci fosse stato Gesù Cristo, lo avrebbero crocifisso".Vizio di forma è un film di Kennet Anger, è i Beach Boys, Charlie Manson, la Amok Press, Timothy Leary, il beach punk, l'industria hard della San Fernando Valley. Vizio di forma è una Tijuana bible, è Helter Skelter, Ed Wood, Tura Satana. Vizio di forma è il festival di Monterey che precede di due anni la tre giorni di fango di Woodstock, è la fine dei figli dei fiori, è l'inizio di Scientology.
Pynchon mette in scena un grande spettacolo che prende a mani basse da tutta la cultura pop e underground e mescola il tutto sul fondo di un caleidoscopio visionario. Una pletora di personaggi che entrano ed escono da storie che si intrecciano e vanno verso un finale chiaro e, nel contempo, nebbioso. Spiagge, surf, una Los Angeles fantasma, una contea di Orange che ritorna un paio di volte, quasi come involontaria citazione a Philip Dick (o volutamente involontaria, in perfetto stile pynchoniano).
Spesso ci siamo chiesti cosa sia il postmoderno. Non penso che Vizio di forma risponderà alla nostra domanda, ma credo che le visioni noir che contiene ci diano la sufficiente vertigine per perderci ancora una volta tra le parole di Pynchon; parole che sezionano un pezzo di storia americana con l'apparente levità di una trama hard boiled, levità che invece nasconde la terribile e claustrofobica mancanza di una qualsiasi via di fuga dalla realtà. Probabilmente il vero Pynchon è quello che appare in un episodio dei Simpson. Forse noi tutti non siamo altro che burattini brancolanti nel sogno di un ex hippie che ha appena assunto del peyote, credendosi uno sciamano.
Un libro.
Vizio di forma, di Thomas Pynchon (Einaudi).

mercoledì 23 marzo 2011

Quattro chiacchiere con...Giuliano Scabia

Giuliano Scabia scrittore, poeta, drammaturgo
Giovedì 24 marzo 2011 ore 17,30 - Ridotto Teatro Fraschini - Pavia
“Nelle foreste della scrittura”

Presenta: Roberta Gandolfi - docente di Discipline dello spettacolo

Nane oca rivelato. Un rompicapo a tinte gialle porta scompiglio nella pacifica comunità dei Ronchi Palù: il cavallo Saetta è trovato morto dissanguato nel campo dei Gu. Come se non bastasse, poi, il colpevole si è macchiato anche di un altro delitto: il furto del prezioso manoscritto delle Foreste sorelle... Capitolo conclusivo della trilogia di Nane Oca, in questo nuovo romanzo di Scabia ritroviamo l'ambientazione e i personaggi delle precedenti avventure. Dunque siamo nel mitico Pavano Antico, in cui si muovono come su una scena teatrale Guido il Puliero, la bella Rosalinda, don Ettore il Parco, suor Gabriella e tutta la folle compagnia di buffi e saggi individui (umani, angeli, animali parlanti) che popolano lo sghembo universo fantastico di Nane Oca.

Giuliano Scabia è nato a Padova nel 1935. Attualmente vive a Firenze. Scrittore, poeta, drammaturgo, narratore dei propri testi, è protagonista di alcune tra le esperienze teatrali più vive degli ultimi decenni. Nel 1964 scrive per Luigi Nono il libretto dell’opera Diario Italiano.
Fra i suoi libri: “La luce di dentro. Viva Franco Basaglia. Da Marco Cavallo all'accademia della follia”, Titivillus - 2010, “Nane Oca rivelato”, Einaudi, 2009, “Il tremito. Che cos'è la poesia?”, Casagrande, 2006, “Le foreste sorelle: nuove straordinarie avventure di Nane Oca”, Einaudi, 2005, “Il drago di Montelupo: cronaca del teatro e dello storico incontro fra il Drago e Marco Cavallo” Titivillus, 2004 (con Pilade Cantini), “Lettere a un lupo, con nuove lettere”, Casagrande, 2001, “Lorenzo e Cecilia”, Einaudi, 2000, “Il poeta albero”, Einaudi, 1995, “Nane Oca”, Einaudi, 1992, “In capo al mondo,” Einaudi, 1990.

lunedì 21 marzo 2011

Ancora consigli ai naviganti

Roberto Carlo Delconte ha pubblicato, qualche tempo fa, una interessante e curiosa raccolta di impressioni. Ne avevo già scritto qui.
Mercoledì 23 Marzo (alle ore 21.15) presso il Collegio universitario "Cairoli", a Pavia, potrete incontrarlo mentre dialoga con Pierangela Fiorani, direttore de "La Provincia Pavese".




giovedì 17 marzo 2011

17 Marzo 2011

Oggi ho preso l'auto e ho fatto un giro per la pianura. Pioveva oggi. Sono tre giorni che piove e i campi sembrano fatti solo di fango. Ogni tre o quattro chilometri qui c'è un paesino. Uno stradone che lo attraversa, una piazza, un paio di bar, il tabaccaio, la banca (sempre), la farmacia (ogni tanto) e qualche centinaio di abitanti.
Oggi la piazze sono vuote, ma sono vuote quasi sempre (per fortuna, forse). Auto parcheggiate ce ne sono sempre. Ai lati delle stradine, davanti alle case, a pochi metri dagli stop degli incroci, perfino. Sembrano carcasse lucide  e abbandonate. Lucide anche quando piove, perché il lavaggio dell'auto è un rito costante e non chiedetemi il perchè, chè non lo so. Qualche tricolore sventola ai davanzali di qualche casa. Davanti alle porte chiuse dei municipi, manifesti con gli orari della cerimonia mattutina, con il sindaco, gli assessori, i bambini delle elementari e il parroco.
Ogni piazza ha il suo monumento ai caduti della Grande Guerra. Mi ricordo mio nonno, ferito sul Carso nel 1916 e costretto per tutta la vita a camminare con due stampelle. Quando ero piccolo mio nonno mi diceva sempre:"mai pagürä! (non avere mai paura!).
Ecco, questo oggi volevo dire.
Viva l'Italia!.

mercoledì 16 marzo 2011

16 Marzo 1978

Il 16 Marzo 1978 era un giovedì. Io stavo in una scuola, una scuola media del mio paese. Seduto al banco di formica verde, in ultima fila. A guardare le macchie d'inchiostro del buco del calamaio. Sì perché, all'epoca, i banchi avevano ancora il buco per il calamaio, anche se il pennino ce lo avevano fatto usare una volta sola in prima elementare, nell'anno del signore 1970.
La nostra professoressa di francese era di Nizza e si lamentava spesso: "In francese non si dice Nis. La e va comunque fatta sentire, anche se dolcemente". Aveva una cinquantina d'anni, era alta, con i capelli lunghi, ed era comunista.
Si stava tutti mezzi addormentati, in un'attesa di quel niente che è l'andare a scuola e passarci le mattine a tredici anni.
Non era nemmeno la sua ora, di francese intendo. In classe c'era infatti la professoressa d'italiano, magra, con i capelli biondi e gli occhiali.
La professoressa di italiano era cattolica e ospitava ogni tanto qualche scrittore russo che era scappato dall'Unione Sovietica di Breznev.
A nessuno era importato un granché quando la professoressa di francese era entrata improvvisamente e aveva detto a quella d'italiano: "Hanno rapito Moro e hanno ucciso tutti gli agenti della sua scorta".
Eravamo troppo giovani, piccoli ancora, forse. E poi, da anni, ogni giorno c'era un magistrato, un poliziotto, un carabiniere che venivano feriti o ammazzati. Br, Nar, Nap, Prima Linea. Era come sentire i nomi delle squadre di calcio che partecipavano alla serie A.
Nei telegiornali, per giorni, dopo il 9 Maggio, quando fu ritrovata la famosa Renault 4 in via Caetani, i Bruno Vespa, i Frajese e tutti gli altri giornalisti avrebbero continuato a pronunciare il nome di quella fatale automobile come Renolt.
La nostra professoressa di francese per giorni disse:"Le lettere B,D,E,G,P,S,T,X,Z in finale di parola non si pronunciano mai".

Fransè, di Erminio Ferrari (Casagrande)

A volte succede di sentirsi debitori nei confronti di qualcuno. Se questo può accadere tra le parole e le pagine dei libri, ecco che io mi sento debitore di Erminio Ferrari. Ci sono libri che ci capitano fra le mani per i disegni di un segreto e insondabile destino o per gli scherzi di incontrollabili circostanze. Esistono libri che, quasi fossero essi stessi gli artefici di quei destini e di quelle circostanze, decidono loro se e quando finirci tra le mani. Raramente mi è successo. Fransè è uno di questi. Ogni libro, ogni storia, ogni narrazione è una scoperta, un viaggio, un percorso. Ma quando aprii le sue pagine e cominciai a leggerlo, capii di essere approdato ad una terra sconosciuta, che mai avevo vista prima e che, difficilmente, ritroverò.
Erminio Ferrari ha una rara capacità. Ed è quella di saper costruire una storia partendo dalle parole e dallo stile, con la stessa geniale capacità che un cesellatore usa nel creare un gioiello prezioso.
Ho letto libri dalle trame mirabolanti, ma nei quali l'elemento fondante era una totale e sfiancante e piatta espressività. Fransè lo porterò sempre con me. Ne porterò con me lo stile. Ne porterò con me l'asciuttezza. Ne porterò con me la tensione e la forza evocativa. Ma soprattutto non potrò mai dimenticarne quel mirabile e intenso ritmo sincopato che dà un valore inestimabile ad ogni sua singola parola.
Un libro.
Fransè, di Erminio Ferrari (Casagrande).

martedì 15 marzo 2011

Quattro chiacchiere con...Mario Isnenghi

Mario Isnenghi storico e saggista
Giovedì 17 marzo 2011 ore 12,00 - Istituto Bordoni
Presenta: Arianna Arisi Rota docente di Storia dell’Italia contemporanea
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Giovedì 17 marzo 2011 ore 17,00 - Salone Teresiano Biblioteca Universitaria - Via Strada Nuova 65 - Pavia
Presenta: Marina Tesoro docente di Storia contemporanea

“I luoghi della memoria dell’Italia unita”
I Centocinquant’anni dell’Unità d’Italia



I luoghi della memoria. Lo spirito animatore del libro è l’intento civile di reagire a quella sorta di distruzione del passato che oggi sembra così di moda e di riaffermare con forza l’identità della nazione italiana.
Un grande viaggio dentro il patrimonio di memorie diffuse accumulato dagli italiani dall’Unità a oggi. Come tutte le storie viste dal lato ‘minore’, anche quest’opera è in bilico sul filo di un affetto autoironico, a tratti un po’ disperato e perfino nostalgico. Quasi che quella ‘umile Italia’ che si nutriva di aneddoti vissuti, saporite banalità, infatuazioni ed equivoci collettivi, entusiasmi mal riposti, venga oggi guardata dall’alto (o dal basso)
di un paese diventato di plastica. Una storia d’Italia, scritta a più voci, che a centocinquant’anni dall’Unità riafferma l’identità della nazione attraverso la nostra memoria collettiva.

Mario Isnenghi ha insegnato nelle università di Padova, Torino e Venezia. È presidente dell’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea, condirettore di “Belfagor” e direttore di “Venetica”. Tra le sue opere, più volte ristampate: “Il mito della grande guerra da Marinetti a Malaparte” (1970); “Le guerre degli italiani” (1989); “L’Italia in piazza” (1994); “La Grande Guerra 1914- 1918” (con G. Rochat, 2000); “Garibaldi fu ferito” (2007). Ha diretto per UTET l’opera in sette volumi “Gli italiani in guerra”. “Conflitti, identità, memorie dal Risorgimento ai nostri giorni” (2008-2009).

venerdì 11 marzo 2011

I luoghi di Ozana

Credo che ogni storia debba avere radici in qualche luogo. Mi pare fosse Hemingway ad aver scritto a Faulkner dicendogli "metti sempre il fottuto tempo in quello che scrivi" (tempo nel senso di weather, ovviamente), tanto per far capire che le parole devono sempre rimandare ad una qualche visione scenica, tanto più se questa visione è essa stessa in grado di valere ben più di tante parole.
Noi abitiamo e influenziamo i luoghi, ma i luoghi, a loro volta, abitano e influenzano le nostre anime.
Per chi vuole farsi un'idea dei luoghi che fanno da sfondo al mio racconto Ozana, è sufficiente cliccare qui.

giovedì 10 marzo 2011

Nero Lombardia, AA. VV. (Perrone Lab)

Ogni cosa deve avere un inizio. L'inizio di questa avventura comincia un paio di giorni prima del solstizio d'estate dello scorso anno. Chiara Bertazzoni mi chiese di scrivere un racconto per questa antologia. Naturalmente accettai con grande interesse e, dopo le classiche domande che si fanno in questi casi (quante battute? qual è il termine per la consegna? ecc. ecc.), è nata Ozana, cioè il personaggio femminile che dà il nome al mio racconto che è entrato a far parte di Nero Lombardia.

Il Nero Lombardo ha la caratteristica proprio di porsi come una voragine, una sabbia mobile fatta di speranze e illusioni che, in questi anni, ha visto comparare nuovi soggetti che si sono sovrapposti senza cancellarli a quelli della vecchia mala. Più violenza, ferocia, avidità. Contraddicendo chi pensava che l’Italia non è uno scenario adatto al thriller, possiamo sicuramente trovare ogni genere di spunto adatto a creare una storia nera in Lombardia.
(Stefano Di Marino)

Non so se quello che troverete vi piacerà, quello che so è che troverete racconti e suggestioni per tutti i gusti: dal noir metropolitano, al male della periferia, fino a spingerci ai confini con il Piemonte o in provincia di Varese. Racconti, personaggi, voci, storie, luoghi… riconoscibili per chi li frequenta e tutti da scoprire per chi da queste parti non è mai stato.
(Chiara Bertazzoni)

Ecco l'incipit di Ozana:

– Stai attento. Perché lo sanno che sei stato te.
L’aveva trovata dentro ad un fosso prosciugato. Di notte.
Aveva seguito lo squittio dei suoi lamenti, le note del suo pianto, il silenzioso maledire delle sue parole. Parole incomprensibili.
Schiacciato dal gracidio delle rane, immerso nella foschia appiccicosa dell’afa, perso nel ronzio molesto e continuo delle zanzare.
Seguiva il suo udito. Seguiva il suo senso dell’orientamento. Liberi entrambi per qualche ora dall’abbraccio forzato delle pastiglie e delle gocce.
Scivolava sulle erbacce bagnate dal caldo umido e si riempiva le narici con l’odore dolciastro delle nutrie in decomposizione, morte in qualche chiusa dai bordi lisci di cemento grigio.
Percorreva sentieri familiari, guidato dalla sua conoscenza del verde forte dei campi di meliga e delle risaie mature e del nero spesso della notte.
Sentiva il rotolio lontano di una littorina sui binari della linea Vercelli-Pavia, che tagliava in due, come una cicatrice, la Lomellina.

Nero Lombardia è in libreria dal 10 marzo.

racconti di: Francesco Gallone, Alessandra Arcari, Daniela Basilico, Matteo Fraccaro, Andrea Bosco, Paolo Franchini, Fabrizio Canciani, Sergio Paoli, Matteo Di Giulio, Angelo Ricci, Luca Ducceschi, Eugenio Tornaghi, Alex Panigada, Maria Chiara Signorini, Marina Visentin.

mercoledì 9 marzo 2011

Due appuntamenti a cura di :duepunti edizioni

:duepunti edizioni ha il piacere di segnalarVi e invitarVi: 

1. alla giornata di studi, organizzata in collaborazione con l'Università degli Studi di Palermo - Dipartimento di Scienze Filologiche e Linguistiche e con la Società Siciliana per la Storia Patria.
L'evento dal titolo "Marzo 2011. Letteratura italiana e identità nazionale" che si inserisce nelle celebrazioni per l'anniversario dei 150 anni dell'Unità d'Italia, si svolgerà a Palermo il 10 marzo 2011 (alle ore 9.00 e alle ore 15.00 nella sessione pomeridiana) presso la sede della Società Siciliana per la Storia Patria, Piazza S. Domenico, n° 1.
Al saluto (ore 9,00) del Magnifico Rettore, prof. Roberto Lagalla; del Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, prof. Mario Giacomarra; del Direttore del Dipartimento di Scienze Filologiche e Linguistiche, prof.ssa Laura Autieri e del Segretario Generale della Società Siciliana per la Storia Patria, dott. Salvatore Savoia, faranno seguito - introdotti da Michela Sacco Messineo - gli interventi di Andrea Cortellessa, Domenico Scarpa, Davide Dalmas, mentre nella sessione pomeridiana (ore 15.00) diretta da Novella Bellucci, si avvicenderanno: Giancarlo Alfano, Matteo Di Gesù e Stefano Jossa.

2. alla presentazione del volume Dove siamo? Le istituzioni della Letteratura in Italia, oggi (:duepunti edizioni, marzo 2011) che si terrà venerdì 11 marzo alle 18.15 alla Libreria Garibaldi (via A. Patreniostro, 46 / P.zza Cattolica, 1 - Palermo). Introduce e modera  l'incontro Clotilde Bertoni, insieme ai sei autori del libro e direttori della collana :posizioni di :duepunti:  Giancarlo Alfano, Andrea Cortellessa, Davide Dalmas, Matteo Di Gesù, Stefano Jossa e Domenico Scarpa.

:duepunti EDIZIONI
via Siracusa 35 - 90141 Palermo | tel. +39 091 7300553 | fax +39 091 6258614 |  www.duepuntiedizioni.it | info@duepuntiedizioni.it 

martedì 8 marzo 2011

Un articolo de La Provincia Pavese e Nero Lombardia

La Provincia Pavese, quotidiano locale del Gruppo L'Espresso, mi dedica oggi un articolo.
Eccone un riassunto.

Il titolo del racconto è Ozana. Fa parte dell'antologia Nero Lombardia (Perrone Lab), curata da Chiara Bertazzoni. Il racconto l'ha scritto Angelo Ricci, chiamato a partecipare al progetto insieme ad altri autori, progetto che prevede l'uscita di un'antologia dedicata ad ogni regione d'Italia. Dopo la Toscana, il Piemonte con la Valle d'Aosta e il Lazio, è la volta della Lombardia.
"Prima di questo racconto ho scritto e pubblicato nel 2008 il romanzo Notte di nebbia in pianura (Manni Editori). E visto che si trattava di una storia ambientata tra le nebbie della provincia di Pavia, la curatrice di questa bella iniziativa mi ha invitato a scrivere un racconto di ambientazione noir dove fosse ben riconoscibile il luogo. Credendo che bisogna scrivere di ciò che si conosce, ho ambientato la storia in Lomellina che, come tutta la pianura, considero un luogo letterariamente proficuo."
"Di cosa parla il racconto?"
"Ozana è un nome slavo. La storia narra di un uomo con problemi psichici che incontra fortunosamente una donna dalla vita piena di ombre."

lunedì 7 marzo 2011

Un'interessante analisi sui blog letterari

Pubblico questo grafico che illustra in modo chiaro la diffusione e il seguito dei blog letterari.
L'analisi completa la potete trovare qui.
Fonte: jumpinshark.blogspot.com

domenica 6 marzo 2011

22 anni con Pynchon

E' dal 1989 che seguo Thomas Pynchon. In quell'anno cominciai ad interessarmi alla letteratura postmoderna e alla cultura pop e underground. Se le date hanno una rilevanza nelle vite degli uomini, sono convinto che il 1989 sia stato un anno fondamentale. La caduta del muro di Berlino e il crollo della Churchilliana cortina di ferro provocarono un vero e proprio rimescolamento nelle vite di chi era abituato ad un mondo cristallizzato dalla guerra fredda e dal confronto immobile fra Usa e Urss. Sono convinto che gli avvenimenti della grande Storia abbiano inevitabilmente un riflesso sulle vite quotidiane di ciascuno di noi. E che, il venire meno di una certezza immobile come la guerra fredda, abbia provocato un interessante rimescolamento politico, sociale ed anche letterario. Il primo ad accorgersene fu John Le Carré, che infatti comprese come una intera produzione letteraria, basata sul confronto fra le superpotenze, dovesse essere, da un giorno all'altro, archiviata come una sorta di dinosauro letterario. E, se Graham Greene fosse ancora tra noi, ne converrebbe certamente.
Pynchon invece ci sorprende ancora. In attesa di parlare diffusamente di Vizio di forma, segnalo questo sito che, in perfetto stile postmoderno, affastella nozioni, interpretazioni filologiche e memorabilia sul suo ultimo romanzo.
Il libro diventa uno strumento, un mezzo, una variabile impazzita che prescinde dal suo contenuto per confondersi con significati nascosti, teorie del complotto e cointelpro.
Lunga vita al postmoderno.

giovedì 3 marzo 2011

Il letto di formiche, di Donato Dallavalle (excelsior 1881)

Questa mia recensione è stata pubblicata sul numero 259 de L'Immaginazione, storica rivista culturale e letteraria della Manni Editori.
Inoltre qui è possibile leggere la mia intervista a Donato Dallavalle.

Tante sono le zone d’ombra che si nascondono nelle nostre vite. E più sono mimetizzate nella banalità del quotidiano, più sono inquietanti. Il compito della letteratura (comunque di una certa letteratura attenta alla realtà delle cose) è quello di stanarle. E, una volta stanate, portarle alla luce, divaricando il più possibile la cesura fra inquietudine e normalità.
Donato Dallavalle ci consegna un’opera che, a differenza di tante altre prigioniere di un genere, con i generi invece ci gioca; al punto da farci capire che le facili categorizzazioni sono per lui un mezzo e non un fine.
Una storia apparentemente semplice, quasi lineare, ma che sin dalle prime parole lascia trasparire la preoccupante presenza di una limpidezza interrotta.
Emilio, ex terrorista di secondo piano dal passato non privo di ombre, durante un permesso dal carcere si reca alla casa del fratello morto da poco, per assistere al funerale e per ritrovare la nipotina Lucia, alla quale è legato da un rapporto morboso.
A casa troverà la compagna del fratello, Anna, donna dal carattere chiuso e difficile, che si rivelerà, a poco a poco, artefice di un gioco ambiguo e terribile.
Da subito ci viene presentata la comparazione semantica e sintattica fra la descrizione di un viaggio in treno e il territorio onirico di una favola. Favola che si trasforma ben presto nella chiave per comprendere la storia narrata e accompagnarci nello sviluppo degli avvenimenti.
La presunta ordinarietà degli stessi e la tranquilla vicenda del viaggio in treno sono soltanto i prodromi del confronto fra i due personaggi di Emilio e di Anna (che sosterranno in seguito gran parte dei dialoghi dell’intero romanzo) e la galleria dei fantasmi di un passato difficile, che allunga la sua ombra su di un presente complesso da decifrare, e che, alla fine, trasformerà in fantasmi gli stessi due protagonisti.
L’Autore è senz’altro debitore di una formazione cinematografica. La sua prosa presenta una forte visionarietà, specialmente nella costruzione dei luoghi. Luoghi che non hanno una mera funzione di contorno o di scenografia, ma che lentamente si trasformano in un vero e proprio manto soffocante, che a poco a poco si stenderà sopra tutto e tutti.
I colori dominanti di tutta la narrazione sono il nero e il marrone, colori che rivelano il progressivo avanzare di una marcescenza che dalla terra si trasmetterà lentamente anche alle anime.
E questo si comprende non tanto dal resoconto diretto, ma soprattutto da quello che ne dicono, ne pensano e ne sentono (anche olfattivamente) i protagonisti.
Anche i raggi del sole non scaldano, non asciugano, non risanano e, quando si cammina all'aperto, è necessario quasi spostarli, come fossero oggetti ingombranti. Sembra di assistere all'affannarsi dei personaggi nel mezzo di una pianura o di una brughiera descritta e filmata da Tarkovskij (Stalker, tanto per fare un esempio).
Significativa è la continua presenza di fluidi umani (sangue, urina, sperma), che "sporcano" lo spazio circostante, quasi a negare l'umanità degli esseri dai quali provengono. Anche la grappa, bevuta in un momento di relax, sporca il mento di chi la beve e poi, una volta caduta a terra la bottiglia, inonda il pavimento (un altro fluido che sporca). Gli oggetti, gli ambienti, le case, le stoviglie sono sudici, il cibo è insapore. Tutto è ridotto al rango di mera e inconsistente suppellettile che non ha nemmeno la funzione di arredare una realtà, ma soltanto quella di fare da cornice ad un sogno che, a poco a poco, assume i contorni di un incubo.
L’Autore ci descrive un vero e proprio universo che cade a pezzi, una vera e propria entropia degli oggetti che altro non è se non il paradigma orribile di una entropia delle anime.
Non c’è mai il facile abbandono stilistico ad un genere letterario. Non c’è horror, o noir, o splatter. L’Autore non si accoda pedissequamente ad una qualche moda letteraria ed editoriale.
C’è invece il ricorso ad un uso metaforico della realtà, per mezzo di una sapiente costruzione che coniuga l’orrore dell’incubo con la banalità del quotidiano.
Le formiche del titolo rappresentano il simbolo di questa lenta distruzione (come non ricordare, in questo caso La formica argentina di Italo Calvino). La loro invasione costante e progressiva dei luoghi, degli oggetti, dei letti, la loro presenza sempre più pesante, viene accolta quasi con assuefazione. Ed è proprio questa assuefazione che ci fa intendere come gli stessi personaggi a poco a poco si abituino al crollo del loro mondo. Crollo prima psichico e poi fisico.
È la stessa assuefazione all’orrore più incredibile e indicibile che ognuno di noi sperimenta nei propri sogni e nelle proprie angosce notturne .
Dallavalle ha descritto un incubo, approssimandosi alle atmosfere misteriose di Altra gente di Martin Amis.
Un incubo che nasce dalle piccole imperfezioni degli oggetti, dalle anomalie imperscrutabili della vita, dai segreti inconfessabili che ognuno di noi si porta dentro. 

Un libro.
Il letto di formiche, di Donato Dallavalle (excelsior 1881).

mercoledì 2 marzo 2011

Libri e cazzotti, di Tullio Pironti (Pironti Editore)

E a maggio capitava di andare a Torino, al salone o alla fiera del libro (francamente non ricordo più quando si chiamava in un modo e quando nell'altro). E si andava come in pellegrinaggio. Perché non era ancora approdata al Lingotto, ma la si teneva al Valentino, in un'atmosfera molto particolare e non ancora completamente travolta dai gigantismi fieristici.
E si passava davanti agli stand dei soliti Mondadori e Rizzoli e Einaudi e Feltrinelli e Adelphi e Garzanti ecc. ecc. che comunque già conoscevamo, perché vi sfido a non conoscere la loro produzione e i loro cataloghi.
Ma il bello era cercare quegli editori che faticavano (e faticano ancora, purtroppo) a stare sugli scaffali più in vista delle librerie. Quegli editori che magari ti pubblicavano autori che nessuno ancora conosceva. E credo che si debba sempre essere riconoscenti a Tullio Pironti, perché è stato il primo a far conoscere in Italia, tra le altre, le opere di Don DeLillo, di Bret Easton Ellis, di Raymond Carver e di Naghib Mafhuz. E a Torino la Pironti Editore non aveva uno stand suo, ma i suoi libri stavano assieme a quelli di altri editori che si erano associati per dividere la spese e avere un stand comune. E allora ti avvicinavi a quel tavolo e, lentamente, scoprivi le copertine colorate dei libri di quegli scrittori che soltanto dopo anni sarebbero stati pubblicati dalla grande editoria.
Ecco, se penso a Tullio Pironti, ho davanti agli occhi questa immagine: una serie di libri sparsi sul piano di quello stand anonimo, quasi abbandonati, ma che ti aprivano tutto un mondo. Quello stesso mondo che gli altri editori non avevano ancora avuto il coraggio di scoprire, tranne poi, una volta scoperto, autolegittimarsene come i veri e autentici e unici depositari.
Libri e cazzotti è la descrizione della vita di un uomo che ama i libri. Un uomo che ama tutti i libri. Libri e cazzotti è una narrazione che odora di libri, di scaffali, di librerie, di tipografia. Libri e cazzotti è il racconto di una passione totalizzante dove non esistono opere di serie A o di serie B, ma esistono soltanto le storie. Le storie e i loro protagonisti, siano essi reali o inventati.
Libri e cazzotti è a sua volta una storia. La storia di un uomo che ha combattuto la sua personalissima e testarda guerra. Una guerra difficile contro i grandi nomi dell'editoria. Una guerra che lo ha visto spesso vittorioso e altrettante volte sconfitto. Ma che lo ha visto sempre fedele alla sua personale e totalizzante passione per i libri e, soprattutto, per le vite di chi li scrive.
Come scrive Fernanda Pivano nella prefazione: E' vero che i tuoi libri sono cazzotti; ma non è vero che "sempre hai mancato l'ultimo traguardo". Il tuo ultimo traguardo è che i tuoi libri sono cazzotti, cazzotti d'amore, e hanno dato amore a chiunque li abbia ricevuti.
Un libro.
Libri e cazzotti, di Tullio Pironti (Pironti Editore).