A volte succede di sentirsi debitori nei confronti di qualcuno. Se questo può accadere tra le parole e le pagine dei libri, ecco che io mi sento debitore di Erminio Ferrari. Ci sono libri che ci capitano fra le mani per i disegni di un segreto e insondabile destino o per gli scherzi di incontrollabili circostanze. Esistono libri che, quasi fossero essi stessi gli artefici di quei destini e di quelle circostanze, decidono loro se e quando finirci tra le mani. Raramente mi è successo. Fransè è uno di questi. Ogni libro, ogni storia, ogni narrazione è una scoperta, un viaggio, un percorso. Ma quando aprii le sue pagine e cominciai a leggerlo, capii di essere approdato ad una terra sconosciuta, che mai avevo vista prima e che, difficilmente, ritroverò.
Erminio Ferrari ha una rara capacità. Ed è quella di saper costruire una storia partendo dalle parole e dallo stile, con la stessa geniale capacità che un cesellatore usa nel creare un gioiello prezioso.
Ho letto libri dalle trame mirabolanti, ma nei quali l'elemento fondante era una totale e sfiancante e piatta espressività. Fransè lo porterò sempre con me. Ne porterò con me lo stile. Ne porterò con me l'asciuttezza. Ne porterò con me la tensione e la forza evocativa. Ma soprattutto non potrò mai dimenticarne quel mirabile e intenso ritmo sincopato che dà un valore inestimabile ad ogni sua singola parola.
Un libro.
Fransè, di Erminio Ferrari (Casagrande).
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