martedì 30 novembre 2010

La pelle dopo Kaputt

C'è un sottile elemento, a noi a volte del tutto sconosciuto, che ci tiene legati a certe parole, a certe immagini, a certi libri, a certi autori. Certamente le visioni dell'immaginario cinematografico rendono esposta questa nostra segreta predilezione. E come non ricordare l'atteggiamento mollemente fatalista di Marcello Mastroianni che impersona Malaparte nel film La pelle di Liliana Cavani. Dopo aver letto Kaputt mi sono ricreduto sulla mia personalissima idea che avevo del suo autore. I libri sono come le persone. Ne sentiamo parlare, nel bene e nel male, e ce ne facciamo un'idea che, il più delle volte, è mutuata da queste informazioni de relato, influenzate inoltre, per quanto riguarda le narrazioni, dalle presenze, più o meno fatiscenti, sedimentate nel nostro percorso di formazione.
Su Kaputt e su Malaparte avevo già espresso qui alcune note. Ora, complice la mia frequentazione di librerie, scopro che Adelphi, che meritoriamente ha in corso di pubblicazione le opere di Curzio Malaparte, porta in libreria La pelle. Per ora la copertina ocra se ne sta in cima al cumulo dei miei sensi di colpa, rappresentato dai libri da leggere che, come un insistito atto d'accusa, mi guarda con insistenza. Ma La pelle è lì e, al più presto, inizierò il confronto con i fantasmi che racchiude.

venerdì 26 novembre 2010

Il nocciolo della questione (goodreads e anobii)

Tempo fa ho scritto un post che aveva per argomento l'esigenza, ormai comune a noi tutti, di rendere pubbliche le nostre librerie per mezzo di anobii. Poi, subito dopo, per ironia della sorte o a causa del destino cinico e baro, il social network libresco, ubicato nel lontano Oriente, ha cominciato a dar segni di preoccupante rallentamento e malfunzionamento, mettendo a dura prova la mia fede in lui. Al punto che, sul mio tumblr, pochi giorni fa mi sono messo a comporre, da seguace tradito, una semiseria lettera aperta a Greg Sung, il fondatore di anobii. E quindi, dopo tanto faticare per costruire le nostre librerie anobiane, è sorta sul web l'esigenza di ricercare alternative. Per carità, nulla è eterno, tantomeno i social network. E il web, nella sua frequentazione quotidiana, dà una parvenza di eternità anche all'effimero. Se poi calcoliamo che anche l'Impero Romano è caduto, allora c'è veramente da cominciare a guardarsi intorno.
Sono così diventato titolare di una doppia cittadinanza da social network libresco. Da una parte anobii (questa strana struttura che nasce a Hong Kong e trova il suo maggior numero di adepti in Italia) e dall'altra goodreads (oggetto ancora misterioso, dove la community italiana è decisamente minoritaria).
Se volete provare anche voi l'ebbrezza della scoperta di nuovi continenti andate qui (e, come me, ringraziate la rivista Finzioni).
All'inizio farà freddo, abiterete in una tenda, dovrete scavare un fossato e costruire una palizzata per difendervi dagli attacchi degli indiani e, soprattutto, scoprirete che solo una parte della vostra biblioteca anobiana verrà importata. Ma, niente paura: si dice che le cose miglioreranno. 
Se poi tutto questo andare e venire servirà a svegliare i vertici di anobii e a migliorare il funzionamento del sito, ben venga. 
Pensate che noia se alla Microsoft non dovessero guardarsi da Steve Jobs, o se alla Coca Cola non avessero da pensare alla Pepsi. Un po' di migrazione verso goodreads non può che far del bene anche ad anobii, sempre però che ad Hong Kong se ne accorgano.

giovedì 25 novembre 2010

World Wide We, di Mafe de Baggis (Apogeo)

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando Jacques Séguéla pubblicava quel libro il cui titolo è diventato un vero e proprio tormentone nel mondo delle citazioni: Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario...Lei mi crede pianista in un bordello. Ed è passata altrettanta acqua dai tempi delle notti dei pubblivori, delle nonsolomoda, dalle Milano da bere, da quello sdoganamento molto anni Ottanta, che fece assurgere la pubblicità a vette di protagonismo. Si girava per case editrici e le parole chiave erano advertising e marketing (o marchetting, come sibilavano i maligni, costretti ad una espressività clandestina, degna di un samizsdat). La pubblicità era diventata succedanea della filosofia e quei tempi le demandavano tutte le risposte ai quesiti fondamentali della vita. Non che le cose fossero state differenti in passato, per carità. Edward Louis Bernays (nipotino di un certo zio di nome Sigmund Freud) applicò sin dagli anni Venti del secolo scorso le tecniche di persuasione occulta e inconscia per influenzare gli acquisti. Ma, insomma, era tutto un agire in silenzio. Negli '80, invece, i persuasori occulti se ne vengono allo scoperto e fanno di loro stessi un rutilante mito.
E poi che cosa è accaduto? E' arrivato il web duepuntozero. Luogo digitale, ma anche luogo vivo, paritario. Luogo dove non è più ammesso far scendere dall'alto il proprio messaggio, ma è vitale produrre contenuti e condivisioni. Chi vuole imporre un prodotto non può più limitarsi a scrivere "Ubik lava più bianco" (come nel claustrofobico romanzo del buon vecchio Phil Dick), ma deve produrre contenuti interessanti e condivisibili. Deve, insomma, colloquiare e non limitarsi a ordinare. 
Worl Wide We non è un manuale e nemmeno un saggio. World Wide We è una vera e propria narrazione, sostenuta da un linguaggio e da uno stile tagliente.
Se il web duepuntozero è una religione, con World Wide We ha trovato il suo profeta (anzi la sua profetessa) e, come tutte le religioni che si rispettino, anche il suo Libro. 
C'è però ancora un piccolo problema irrisolto e che è comune a tutti noi che siamo immersi nel web 2.0: capire da quale parte dell'interfaccia (per dirla alla Dr. Adder) ci troviamo. 
Un libro.
World Wide We, di Mafe de Baggis (Apogeo).

lunedì 22 novembre 2010

Librerie indipendenti

Salvare le librerie indipendenti non è un esercizio fine a se stesso, un po' come la piccola buona azione quotidiana di un boy scout benintenzionato. Sarebbe bello se in gioco ci fosse soltanto questo. Salvare le librerie indipendenti ha invece un significato molto più profondo. Non voglio fare la solita tiritera della libreria piccola che è così bellina, mentre la grande catena libraria è spersonalizzata e non c'è rapporto con il libraio, ecc. ecc.
Il fatto, in sé molto semplice e concreto è che, nella libreria che tutti abbiamo conosciuto e che va sparendo, i libri ti "parlano" e tu li puoi "ascoltare". Mentre i libri degli ipermercati o delle grandi catene se ne stanno "zitti" e tu, quando gli passi di fronte, vai per la tua strada e basta. E, credetemi, questa è una ragione più che sufficiente per cominciare a fare qualcosa per le piccole librerie.

Linko questo post dal sito Libri su libri (il vizio di leggere).
Andate, segnalate, scrivete.
Un elenco di librerie indipendenti in Italia. Per segnalarne una dovete scrivere a camillacannarsa [at] yahoo.it e inviare:
  • nome della libreria
  • indirizzo
  • numero di telefono
  • breve descrizione
  • foto (se possibile)
Questa directory nasce con l’intento di dare visibilità alle piccole librerie indipendenti e dell’usato, sparse ovunque e assolutamente meritevoli di fiducia e di ammirazione. Se vi va di segnalarne qualcuna, verrà pubblicato un post con il vostro nome e la vostra descrizione. Se avete una libreria, segnalatecela, creeremo un post e la mappa con le indicazioni per raggiungerla.

sabato 20 novembre 2010

Che fine faranno i libri? Se ne discute nella nuova community di culturability

Apre la nuova community di culturability
il social network di chi si occupa di cultura e sociale

In una videointervista Umberto Eco parla del futuro dell’editoria digitale

Le nuove frontiere dell’editoria digitale e il futuro dei libri: esordisce con al centro questo tema la nuova community on-line di culturability. Il la alla discussione lo dà Umberto Eco con una videointervista rilasciata per l’occasione. Il libro di domani è già alle porte ed è necessario interrogarsi su come, non solo il settore editoriale, ma le forme stesse della cultura siano destinate a mutare. Per questo, culturability ha deciso di aprire la sua community proponendo e ospitando un dibattito su questi temi, mettendo a disposizione contenuti speciali, interviste e video.  
La community di culturability è un vero social network rivolto a cittadini, studiosi ed esperti, professionisti, operatori culturali e sociali, istituzioni, imprese e associazioni. Uno spazio aperto al confronto e ai più diversi contributi, attraverso il quale dare vita a relazioni, condivisione delle conoscenze e delle esperienze. A partire dal 15 novembre, sarà possibile ufficialmente iscriversi, tramite il modulo di iscrizione disponibile on-line, e partecipare alla discussione.
Culturability – la responsabilità sociale della cultura è un progetto di Fondazione Unipolis che si propone allo stesso tempo come luogo di approfondimento e confronto, strumento attivo per promuovere nella società e nel territorio iniziative culturali che abbiano come obiettivo la crescita sociale e civile delle comunità, nell’ottica della sostenibilità. Culturability si serve di un sito web dedicato a questi temi, al quale ora va ad affiancarsi anche l’attività del social network.

Per partecipare alla discussione pubblica basta collegarsi a:


venerdì 19 novembre 2010

Save Beirut Heritage

Ho un interesse particolare per Beirut. Letture, sensazioni, persone conosciute in passato. Beirut è il paradigma dei sogni impossibili. Beirut è il segno lasciato da un passato e da un presente che da sempre cercano con difficoltà un futuro. Beirut è il luogo dove le crisi del medioriente inevitabilmente sfociano. Beirut è il conflitto stridente tra l'orrore di una lunga guerra civile e l'ostentazione di una normalità forzata. A Beirut ogni cosa trova il suo opposto e le nostre bussole socio-politiche occidentali sono del tutto inadeguate; anche soltanto per fare un timido tentativo di comprensione.
Ho già scritto a proposito di alcuni romanzi e saggi che hanno Beirut come argomento: un post dedicato alla città, uno dedicato a Ya, salam!, uno dedicato a Beirut, i  love you e uno al bellissimo saggio di Samir Kassir.
Ora, venuto a conoscenza dei nuovi problemi che minano l'identità e la memoria storica di Beirut, ho trovato in rete questo illuminante articolo che pubblico integralmente (l'originale è qui).

Conosciuta in passato come la “Parigi del Medio Oriente”, è stata poi martoriata da una lunga e sanguinosa guerra civile. Beirut, “metropoli araba mediterranea e occidentalizzata” nelle parole dell’intellettuale Samir Kassir, è la città dei contrasti: chiese e moschee convivono vicine, divise tra Achrafieh, il quartiere cristiano, e Hamra, quello musulmano.
Donne chiuse nel velo passeggiano su La Corniche, la suggestiva promenade panoramica sul lungomare, accanto a coetanee in attillate vesti occidentali. NelDowntown, il centro storico della capitale, moderne residenze sorgono gomito a gomito con edifici storici segnati dalla guerra. Molte delle palazzine in stile ottomano, dai caratteristici balconi di marmo, si trovano in stato di rovina o sono andate oramai perdute a causa dei bombardamenti. Quel che rimane del patrimonio architettonico della città, oggi deve, però, far fronte a un nuovo nemico: gli immobiliaristi.
La demolizione degli edifici storici è un evento che si ripete quotidianamente a Beirut, dove, nello stesso tempo, grattacieli di dubbio gusto e giganteschi parcheggi auto si diffondono sempre più rapidamente. Le gru sono sempre in attività: non per riparare ma per abbattere[1]. Si demoliscono anche le case antiche, con i tetti rossi e le tipiche finestre a tre archi, che in piedi ci starebbero benissimo. Al loro posto sorgeranno costosissimi alberghi e centri commerciali. Ricchissime società immobiliari saudite, fiutando l’affare della ricostruzione, approdano a Beirut per costruire cattedrali di cemento dai costi proibitivi con vista mare su La Corniche. Da ultimo, alcune società del Golfo, come l’Abu Dhabi Investment House e la Roads Holdings del Qatar, si occuperanno dello sviluppo di un gigantesco progetto immobiliare, circa 100mila metri quadrati nel centro storico, denominato Beirut Gate. Il progetto prevede la costruzione di unità residenziali e commerciali, luoghi di ritrovo e hotel[2]. Laddove un tempo, nel cuore della città, sorgevano i caratteristici souks con i loro profumi e la confusione delle voci, oggi sorge Beirut Souks, un enorme complesso commerciale con oltre 200 prestigiose boutiques, ristoranti e sale cinematografiche. 
Il modello di ricostruzione promosso da Solidere, la Compagnia Libanese per la Sviluppo e la Ricostruzione, è stato quello di azzerare il passato e ricostruire la città in forme nuove, trasformando anche la rete stradale[3]. Il progetto Solidere è stato spesso definito come una novella Disneyland. E’ la Beirut dei ricchi del Golfo che rischia di trasformare la ‘Parigi del Medio Oriente’ nella ‘Dubai del Levante’. Anche a seguito della crisi finanziaria globale, che ha dirottato in Libano ingenti capitali provenienti dalle monarchie del Golfo, Dubai sembra essere il modello da emulare. A suggello del rapporto tra la città e i ricchi petrolieri è stato recentemente presentato il progetto ‘Cedar Island’, di cui si è fatta promotrice la Noor International Holding, sede a Beirut e capitale ad Abu Dhabi. Il progetto prevede la costruzione di una futuristica isola a forma di cedro lungo la costa, a sud della capitale, per far spazio a hotel e ville di lusso, country club e impianti sportivi, seguendo l’esempio delle isole artificiali di Dubai[4]. La distruzione del patrimonio architettonico della città ha suscitato la reazione sdegnata di molti libanesi: negli ultimi mesi è nato su Facebook un movimento, chiamato “Save Beirut Heritage”[5], nel tentativo di salvare quel che rimane della vecchia Beirut. Oltre alla campagna di affissione massiva per le strade della capitale, questi cittadini, in collaborazione con l’APSAD (l’Association pour la protection des sites et anciennes demeures), dopo aver recensito tutte le case tradizionali di Beirut, contano di proporre delle interessanti alternative finanziarie ai vecchi proprietari decisi a vendere. L’obiettivo dichiarato è rinnovare il patrimonio invece che distruggerlo. 
L’anima della città è “mille volte morta, mille volte rinata”, come scrisse la poetessa Nadia Tueni, a testimoniare le tante vite di Beirut. Multi-religiosa, crocevia di differenti identità e culture, Beirut è sempre stata un luogo in trasformazione. Lo scempio urbanistico del distretto centrale, però, rischia di snaturarne per sempre lo spirito e l’identità, trasformando la “città dei giardini” in un residence per ricchi turisti. L’amnesia e la rimozione del proprio patrimonio architettonico e culturale sembrano essere gli imperativi sottesi ai progetti urbanistici di ricostruzione, laddove invece il recupero del proprio passato sarebbe la chiave per salvaguardare il presente e il futuro della città. La speculazione edilizia sta distruggendo le ultime aree verdi della città e le abitazioni in stile tradizionale. Poche ancora resistono, come assediate nei loro giardini, dove fioriscono buganvillea, oleandri e fiori d’arancio. Nel vecchio quartiere di Achrafieh sorge rue Sursock, famosa per le sue storiche ville, i giardini e gli alberi secolari. Presto qui sarà costruito un grande parcheggio auto. All’inizio della via un cartello scritto in caratteri arabi recita: “Strada a carattere tradizionale”. Un passante, con un pennarello, ha pensato bene di aggiungere il termine “Kana”: “Lo era”.[6]. 



[1] Robert Frisk, Beirut Is Determined to Kill Its Rich Ottoman Past, in ‘The Independent’, 22 May 2010.
[2] Notizia ANSA del 25 febbraio 2009, in http://www.freelypress.com/freelypress_beirut.html
[3] Elena Pirazzoli, Locali Notturni e Macerie Abitate: La Ricostruzione Ambigua di Beirut, Rivista dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici On-line, 15 marzo 2006.
[4] Vedi ‘In Libano, Periodico d’Informazione Economico-Commerciale’, maggio 2009. Il numero è reperibile all’indirizzo www.ambbeirut.esteri.it
[5] http://www.facebook.com/group.php?gid=106647959367804
[6] Francesca Caferri, Pace e Turismo, la Rinascita di Beirut e la Città Diventa un Cantiere, in “La Repubblica” del 22 luglio 2010

mercoledì 17 novembre 2010

Maledetti Francesi, di Giangilberto Monti (NdA Press)

Un viaggio nel mondo musicale, anarcoide e innovativo dei più acclamati chansonnniers francofoni. Dai precursori Aristide Bruant e Yvette Guilbert fino all’attualità di Renaud, passando per Léo Ferrè, Boris Vian, Georges Brassens, Jacques Brel e Serge Gainsbourg, senza dimenticare le note sulfuree di Jean Ferrat, la disperata poesia di Barbara, le voci senza tempo di Juliette Gréco ed Edith Piaf, la poliedricità scenica di Yves Montand ed Herbert Pagani o le scorribande rock del performer Johnny Hallyday. Una manciata di vite da chansonnier dedicate a quell’incrocio tra musica, poesia e teatralità che ha fatto la fortuna di molta discografia e la gioia di chi ha condiviso i percorsi di questi cantanti d’assalto. Racconto musicale di un’epoca, ma anche dirompenti storie di vita in una Parigi che si fa centro culturale di un’Europa bisognosa di ideali e valori nuovi. La Saint-Germain des Près di Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, il jazz di Charlie Parker e Miles Davis, o il cinema di Brigitte Bardot e François Truffaut, si intrecciano con le voci dell’esistenzialismo e del maggio, mentre perfino nelle ultime rivolte delle banlieues più dimenticate sembrano riecheggiare i “maudits” di un tempo. Non solo le vite e le parole più belle di questi caustici e poetici cronisti in musica, ma anche le atmosfere di chi ancora oggi cerca una “Parigi canaglia” che non esiste più, ma che sotto il pavé coltiva quelle anarchiche utopie che la loro arte ha reso possibile. 

L’AUTORE: Chansonnier e scrittore, Giangilberto Monti pubblica una decina di album, dall’esordio con L’ordine è pubblico? (1978) al più recente Comicanti (2009). Studia da ingegnere, si diploma in mimo e teatro, studia interpretazione vocale con Cathy Berberian e recita con Franca Rame e Dario Fo, del quale metterà in scena l’intero repertorio musicale. Negli anni della Milano da bere frequenta l’ambiente dello Zelig di Milano, come autore e interprete. Firma poi il Dizionario dei Cantautori, Garzanti, 2003) e il Dizionario dei Comici e del Cabaret (Garzanti, 2008), traduce e pubblica brani di Léo Ferré, Serge Gainsbourg e Boris Vian, scrive radiodrammi, come La Belle Époque della Banda Bonnot (Prix Suisse, 2004) e mette in scena ironici recital, fra musica e teatro.

lunedì 15 novembre 2010

Quattro chiacchiere con...Don Gallo

don Andrea Gallo fondatore della Comunità di base di San Benedetto al Porto
Giovedì 18 novembre 2010 ore 17,30 - Loft 10 Piazza Cavagneria
“Così in terra come in cielo”
La sua cattedrale è la strada, i suoi insegnanti prostitute, barboni, tossiciPresenta: don Franco Tassone - parroco di san Mauro

Così in terra come in cielo Il Vangelo secondo Don Gallo - Don Andrea Gallo, il prete da marciapiede che da decenni lavora con e per gli ultimi, riprende i suoi racconti di vita vissuta raccolti in “Angelicamente anarchico”. Attraverso le storie e gli incontri che scandiscono le sue giornate prende posizione sulla liberalizzazione delle droghe, sull’accoglienza ai clandestini, sulle ipocrisie dei politici, sullo stato di abbandono in cui versano i casi psichiatrici, sulla questione del testamento biologico dopo l’incontro con Beppino Englaro, sulla firma del rogito per acquistare un terreno a Vicenza ed evitare l’ampliamento della base americana, sul finanziamento del calendario dei viados di Genova e sulle piccole grandi vicende di prostitute, transessuali, vittime della tratta, tossicodipendenti, matti e barboni che transitano nella sua scalcagnata canonica. Storie spesso a lieto fine, più spesso tragiche, ma di rara consistenza umana.

Don Andrea Gallo, sacerdote dal 1959, da decenni lavora a Genova con e per gli ultimi, i diseredati, gli emarginati; superati gli 80 anni, dopo “Angelicamente anarchico” (2005), oggi presenta “Così in terra, come in cielo”, le storie, gli incontri e le riflessioni di una vita passata sempre dalla parte dei più deboli. Dal 1975 è organizzatore e animatore della Comunità di base di San Benedetto al Porto, gruppo di frontiera specializzato nell’intervento ed assistenza per le situazioni di disagio psichico e fisico, promotore e co-fondatore, nel 1982, con il Gruppo Abele di don Luigi Ciotti del CNCA – Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza.

sabato 13 novembre 2010

Un altro Bloody Mary (Arturo Robertazzi again)

Le cose non devono mai essere lasciate in sospeso. Prima o poi, noi lettori vogliamo sapere come una storia continua. E non c'è suspence che tenga. I finali mi piacciono molto, così come mi piacciono le cose non dette. Credo che, a volte, in una storia, il non detto crei nel lettore interessanti aspettative. Aspettative che alimentano attese e sogni.
Ho già scritto della interessante iniziativa di Arturo Robertazzi che nel suo blog ha dato avvio ai Mondi in una pagina, una vera e propria sfida lanciata ad altri scrittori: scrivere un microracconto in dieci righe. Una sfida che, a suo tempo, ho raccolto anch'io.
Dopo Bloody Mary Arturo Robertazzi ritorna con il seguito di quel suo microracconto che fece da apripista. Lunedì 15 Novembre seguite i "Mondi in una pagina" perché esce Un altro Bloody Mary. Le attese e i sogni hanno sempre un seguito.

venerdì 12 novembre 2010

"Senza scrittori". O senza libri?

                               “Senza scrittori”. O senza libri?
                       Fondazione Unipolis e librerie.coop presentano
       il documentario ‘Senza scrittori’ di Andrea Cortellessa e Luca Archibugi
                                Venerdì 12 novembre, ore 17.00
                                   Biblioteca dell’Archiginnasio
                                   Piazza Galvani, 1 - Bologna

Venerdì 12 novembre a Bologna, Fondazione Unipolis e librerie.coop, in collaborazione con la Cineteca, promuovono l’incontro “Senza scrittori”. O senza libri?, in occasione della proiezione del documentario “Senza scrittori” di Andrea Cortellessa e Luca Archibugi. Al termine, ne discuteranno con gli autori la scrittrice Benedetta Cibrario, il giornalista e critico letterario Piero Dorfles e il direttore letterario della Feltrinelli Alberto Rollo.

“Senza scrittori” è un atto d’accusa contro alcune dinamiche dell’industria del libro e la presenza di un apparato che tende a valutare e a selezionare gli scrittori solo in base alla loro capacità di vendere. Attraverso interviste a editori, critici, librai, il documentario denuncia il predominio della macchina editoriale dei grandi gruppi, che rischia di cancellare il valore di opere e scrittori per lasciare spazio solo alla solo produzione industriale. Una ‘fiera delle vanità’ di cui il Premio Strega diviene in buon parte simbolo. Il documentario, prodotto da RAI Cinema e Digital Studio, non è ancora in distribuzione, ma le proiezioni effettuate privatamente e nel corso di festival letterari hanno suscitato un grande dibattito e scatenato una vera polemica, svoltasi in larga misura on-line.

Nel corso dell’appuntamento “Senza scrittori”. O senza libri?, si discuterà dei mutamenti in atto nel mercato editoriale anche in relazione alla diffusione delle nuove tecnologie web e di strumenti come gli e-book, i quali stanno già modificando, e sempre più cambieranno, l’intera filiera di ideazione, produzione, distribuzione e lettura dei libri. Si tratta di questioni tutte strettamente connesse non solo alla qualità delle opere letterarie, ma che mettono in discussione il futuro stesso del prodotto libro così come finora è stato concepito. Lo scenario dell’incontro sarà non a caso un luogo amato e fra gli ultimi rifugi di tutti i bibliofili: la Sala dello Stabat Mater dell’Archiginnasio,

Le nuove frontiere dell’editoria e il futuro che attende i libri sono i temi scelti per il lancio della community on-line di “culturability – la responsabilità della cultura per una società sostenibile (http://culturability.fondazioneunipolis.org), che avverrà in concomitanza con l’appuntamento del 12 novembre. Culturability è un progetto di Fondazione Unipolis che si propone come luogo di approfondimento e confronto sui temi della responsabilità sociale della cultura, affiancando a interventi sul territorio un sito web dedicato e ora anche un vero e proprio social network volto a promuovere incontri e riflessioni.

Ufficio stampa librerie.coop - tel. 051.6041431 - ufficio.stampa@ibrerie.coop.it – www.librerie.coop
Roberta Franceschinelli - tel. 339.2660670 - roberta.franceschinelli@fondazioneunipolis.org.www-
fondazioneunipolis.org