giovedì 30 giugno 2011

Sostenete L'Indice!

Tante sono le storie (le trame) che amalgamano la parola scritta con le vite dei lettori. Molte cose, molti ricordi, mi legano a "L'Indice"; ne ho scritto soprattutto qui, dove la pagine di quella rivista si mescolano indissolubilmente al mio rapporto con i libri, con la lettura. Negli anni, poi, ho avuto modo di conoscere Giorgio Luzzi (poeta, traduttore e componente del comitato editoriale de "L'Indice"). Giorgio presentò Notte di nebbia in pianura alla Fiera del Libro di Torino nel maggio del 2009 e qui trovate il suo intervento.
Leggo sul blog fogli sparsi un post che riguarda questa rivista e che riporto integralmente:

Cari lettori, abbonati, recensiti, recensori, amici tutti,
voi conoscete da vicino il valore dell’Indice, la sua unicità nel panorama editoriale italiano, lo avete letto, forse ci avete scritto, forse conoscete le persone che ci lavorano. Ora il giornale, che in vario modo ha fatto parte delle nostre vite da oltre 26 anni e che ha pubblicato 37.500 recensioni, è in grave pericolo e rischia di morire. Malgrado un’economia all’osso e le prestazioni volontarie di molti di voi, dobbiamo riuscire a rifinanziare “L’Indice” che ha un debito accumulato negli anni di 150.000 euro di cui deve liberarsi. Il 30 giugno è una prima scadenza importante per non trovarmi costretto a portare i libri in Tribunale.
Alcuni hanno già risposto con solerzia e siamo loro grati. Una parte di questo macigno verrà finanziata attraverso contributi più cospicui contributi che sommati arrivano a 70.000 euro. Gli altri 80.000 euro devono e possono essere raccolti attraverso più piccole e meno piccole, comunque numerose contribuzioni. In pochi giorni abbiamo ricevuto sottoscrizioni per 30.000 euro, ma ancora non bastano, servono altri 50.000 euro. Quello che dobbiamo avere, entro e non oltre la data fatidica di fine mese, non è ancora il denaro in contanti, ma un elenco di finanziatori che s’impegnano a versare una quota entro un paio di mesi. Solo quando, sommando tutte le quote offerte, raggiungeremo la fatidica soglia dei 50.000 euro, saremo fuori pericolo e liberi di alzare il capo e riorganizzare meglio l’impresa. Se la superassimo potremo fare qualche ulteriore investimento sul futuro. Non importa l’entità della cifra (tutto fa), non importa se questa cifra la si può versare in prima persona o reclutando altri finanziatori (che tra l’altro, con soli 25 euro diventerebbero soci della cooperativa), da ciascuno secondo le proprie possibilità si diceva un tempo. Non importa neppure, purtroppo, in questo caso, averci provato. Questa volta conta solo il risultato finale: vivere o morire.
Poiché so bene che neanche il più generoso dei mecenati è disposto a tappare un buco destinato a riaprirsi, è bene aggiungere un po’ di dettagli.
L’indebitamento attuale è dovuto a molti fattori: in primo luogo il calo della pubblicità. Noi abbiamo ridotto i costi al minimo, ma non possiamo farlo a spese di quelli che lavorano in redazione che sono diventati i principali creditori della rivista. Possiamo, invece, incrementare le entrate:
- con la pubblicità a sfondo culturale ma non editoriale, con gli accordi già raggiunti con il gruppo Espresso per scambi pubblicitari e abbonamenti congiunti;
- con gli abbonamenti di un’edizione on line;
- con un sito meglio rispondente alle esigenze dei tempi a cui alcuni di voi si accingono a lavorare;
- promuovendo la rivista all’estero;
- con una più razionale ed efficiente distribuzione;
- mettendo a frutto il nostro archivio (le 37.500 recensioni preziosamente accumulate mese dopo mese);
- possiamo diventare una cooperativa di lavoratori, con accesso alle ingentissime provvidenze dello Stato, ma è un percorso che richiede più tempo.
Per ora basta una mail a daniela.innocenti@lindice.net e a g.gmigone@libero.it che vi saluta.
Mimmo Càndito

mercoledì 29 giugno 2011

Gli ultimi giorni di Mussolini, di Pierre Milza (Longanesi)

Riconosciamolo: noi italiani non possiamo (non dobbiamo, forse) fare i conti serenamente con il nostro passato. E quel passato, quando ci riferiamo al presente della prima o seconda o terza repubblica (e chi ne ha più ne metta), è sempre quello rappresentato dal ventennio fascista e dal cupo e orribile biennio della Repubblica Sociale Italiana.
Un passato ancora troppo prossimo al quale molti (troppi?) si ispirano (anche) inconsapevolmente (in certi gesti, in certi modi di dire e di porsi, mimetizzati nel divenire quotidiano). Già Piero Gobetti sosteneva lucidamente che il fascismo era l’autobiografia degli italiani e Pierre Milza, in questo saggio, pur con qualche sensazionalismo, apporta un altro mattone a quella costruzione ancora incompiuta (nonostante i monumentali sforzi di De Felice) rappresentata dall'inquietante rapporto di una nazione (l’Italia) con quella sua creazione totalitaria (il fascismo) che, dai primi anni Venti, esportò in quasi tutta Europa, trovando tragici imitatori e discepoli.
C’è un passo significativo che Milza riporta, tratto da un’opera di ricordi del generale Cadorna (capo del "Corpo Volontari della Libertà"), pubblicata nel 1948, in cui è lo stesso Cadorna a scrivere: “Avrebbe forse giovato all’Italia la cattura di Mussolini da parte degli Alleati e il conseguente spettacolare processo che sarebbe diventato fatalmente il processo alla politica italiana di oltre un ventennio, nel momento in cui era necessario si facesse il silenzio su fatti e circostanze nei quali sarebbe stato estremamente difficile separare la responsabilità di un popolo da quelle di un capo?”.
Un passato che non passa mai è quindi quello con il quale dobbiamo fare i conti. E inevitabilmente (fatalmente, forse) leggendo Gli ultimi giorni di Mussolini, non possiamo sottrarci, in quel continuum che necessariamente unisce ogni espressione artistica, al ricordo dei visi di Rod Steiger (Mussolini), di Lisa Gastoni (Claretta Petacci) e di Franco Nero (il colonnello Valerio), personaggi di quel grande affresco sull’agonia di un regime che è Mussolini ultimo atto, di Carlo Lizzani.
Un libro.
Gli ultimi giorni di Mussolini, di Pierre Milza (Longanesi).

venerdì 24 giugno 2011

E' ancora "Notte"

Notte di nebbia in pianura recensito da Libri e Recensioni.
"La breve trama rispecchia in modo quasi perfetto i contenuti del duro romanzo di A. Ricci: sprazzi di vite trascinate senza una reale partecipazione, senza motivazioni forti che spingano ad andare avanti, mostrando uomini e donne che si incrociano brevemente senza incontrasi davvero, nemmeno quando si parlano, ciascuno rinchiuso nella propria desolata solitudine.
I capitoli passano da una storia all'altra raccontando del ragazzo obeso rimasto orfano e delle giovani straniere; della donna innamorata che per ingenuità finisce in carcere e dell'ex avvocato che fa il venditore in televisione per sbarcare il lunario; di pseudo-amici, alcuni che trascorrono le serate giocando a carte e pianificando i prossimi loschi affari e altri che passano le notti a bere e dar fastidio agli altri, consumando le ore notturne in attività sterili e insensate.
La ripetitività che l'autore usa come linguaggio dei propri personaggi, esprime quel senso di vuoto profondo presente nelle vite di ciascuno di loro, vuoto che cercano forse di riempire con parole ripetute ossessivamente come una nenia, magari per sentirsi meno soli e dare un significato ad un'esistenza altrimenti inutile.
Un filo sottilissimo, che si palesa solo per un breve istante, lega i protagonisti del romanzo, ricordandoci che molto spesso il destino si diverte a collegare in modi insospettabili le esistenze di ciascuno di noi." 

http://www.librierecensioni.com/libri2/notte-di-nebbia-in-pianura-angelo-ricci.html
E grazie anche alla lettrice che ha scritto questo bel commento su Ibs.

mercoledì 22 giugno 2011

L'invenzione del romanzo, di Rosamaria Loretelli (Laterza)

"Timeo hominem unius libri", sosteneva San Tommaso d’Aquino. Tuttavia due sono i modi per intendere questa affermazione: temo l’uomo che sa tutto di un solo libro perché è un fanatico che non si abbevera ad altra fonte oppure perché ha, di quel solo libro, una sapiente e imbattibile conoscenza?
Quel libro può essere stato un rotolo di papiro, un codice miniato e trascritto nel silenzio di qualche monastero altomedioevale, oppure (oggi) può essere anche un libro in formato “codice”, che è il formato al quale, da Gutenberg in poi, siamo avvezzi (e in futuro, ci sarà sempre e comunque da temere qualcuno che sa tutto di un solo libro in formato ebook).
Muta quindi la forma, muta la struttura, ma sempre di libro si parla e si parlerà.
Rosamaria Loretelli, con L’invenzione del Romanzo, ci svela che l’approccio al libro e alla lettura ha subìto, nel corso dei secoli, trasformazioni radicali.
L’epoca della classicità greca e romana non considerava per nulla formativa la lettura, in quanto inutile e sterile acquisizione di idee altrui; mentre la vera conoscenza si apprendeva solo dalla viva voce di filosofi e maestri che, in tal modo, sviluppavano nei discepoli la capacità di far nascere in se stessi la vera consapevolezza.
Addirittura l’epoca romana non riusciva a concepire l’idea che qualcuno potesse trarre giovamento da un testo di storia, in quanto la storia doveva essere letta solo da politici e generali.
Il tutto poi, per secoli, in una continua declamazione a voce alta, nel trionfo dell'oralità, perché la lettura era tale solo se avveniva in forma pubblica e ad alta voce, con un oratore e con un pubblico. Al massimo, nel medioevo, si ammettono sommessi borbottii da parte di monaci, ma borbottii sempre delle stesse massime e degli stessi testi, perché la lettura non aveva ancora la funzione di acquisire informazioni, bensì quella di appropriarsi completamente, per mezzo di una ripetizione quasi mantrica, di un solo testo o di pochi altri (ed ecco, forse, a cosa si riferisce la massima dell’Aquinate).
Dobbiamo aspettare il Seicento e il Settecento perché nasca il concetto di autore e, con esso, anche quello di lettore per come oggi li conosciamo. La lettura diviene affare privato (non si legge più ad alta voce, ma silenziosamente con il pensiero). Nasce il mercato librario (gli autori cominciano a sfornare libri e ad essere considerati come narratori e romanzieri), aumenta il numero dei libri (i lettori non si accontentano più di ascoltare un solo libro declamato ad alta voce da un fine dicitore, ma vogliono leggere storie e vogliono leggerne sempre di più) e degli editori.
È a questo punto che l’Autrice ci illustra quella vera e propria trasformazione che ha portato alla nascita di quella tecnica narrativa che oggi consideriamo del tutto familiare.
La lettura personale, effettuata con il pensiero, muta sia il rapporto del lettore con il testo che il testo stesso. Gli autori non possono più utilizzare quei metodi di composizione narrativa che hanno un senso per la declamazione a voce alta di fronte ad un pubblico. Per la prima volta nasce quel sottile e invisibile rapporto che lega lo scrittore al lettore. Rapporto che provoca un’autentica rivoluzione nella tecnica di costruzione del romanzo.
Ora il libro in formato codice si vede affiancare dal libro in formato digitale. Sarà una nuova rivoluzione, non solo di formato, ma anche di tecnica narrativa? 
Un libro.
L'invenzione del romanzo (Dall'oralità alla lettura silenziosa), di Rosamaria Loretelli (Laterza).

giovedì 16 giugno 2011

Il futuro del libro, di Robert Darnton (Adelphi)

Avreste mai immaginato che l’abbonamento ad una sola rivista scientifica o letteraria potesse arrivare a costare, per la biblioteca di una qualsiasi università statunitense, decine di migliaia di dollari l’anno? E che questa biblioteca, considerando le centinaia di riviste alle quali deve abbonarsi per mantenere aggiornato il corpo docente e studentesco, non avrebbe avuto più denaro sufficiente per l’acquisto delle monografie? E che, mentre il contenuto di queste riviste è fornito gratuitamente dai ricercatori, i loro editori ricavano un profitto superiore al 40 percento del prezzo di copertina?
Avreste mai ipotizzato che Google, una volta iniziato il suo progetto di digitalizzazione dei libri (Google Book Search), sarebbe stata obbligata da una class action in difesa del copyright, promossa da autori ed editori, a firmare un compromesso che, tra le altre conseguenze, avrebbe costretto le biblioteche che avevano fornito i libri gratuitamente proprio a quel progetto di digitalizzazione, a dover pagare per accedervi?
Avreste mai creduto che la notizia, circolata per decenni fra gli addetti ai lavori, che tutta la carta creata dalla polpa di legno si sarebbe autodistrutta nel giro di un secolo (notizia che ha portato le biblioteche statunitensi ad eliminare dai propri archivi decine e decine di milioni di dollari in libri e giornali e a riversarli su microfilm, ora in gran parte resi inutilizzabili dalle muffe e dall’usura del tempo) fosse in realtà priva di ogni fondamento?
Avreste mai pensato che Voltaire (sì, proprio il Françoise-Marie Arouet autore del Candide), una volta consegnati i propri manoscritti all’editore ufficiale, si facesse in quattro per trafficare con editori clandestini ai quali consegnava gli stessi manoscritti con aggiunte e modifiche? (Singolare caso di autore pirata che, in più, guadagna dalle proprie opere piratate da sé medesimo).
Avreste mai supposto che nel Seicento raggiungesse l’apice la consuetudine, da parte dei lettori, di creare una raccolta con le citazioni e i brani più interessanti tratti dai libri che avevano letto? (E chissà se David Karp si è ispirato a questo quando ha creato Tumblr).
O che un apparentemente pacifico libraio settecentesco di Montpellier utilizzasse metodi degni di un gangster della Chicago anni Venti per far chiudere le librerie concorrenti?
Robert Darnton, nella raccolta di articoli cha vanno a comporre questo saggio, ci parla di storia, di costume, di passato, presente e futuro non solo del libro, ma anche di quello che il libro, la lettura, i contenuti hanno rappresentato, rappresentano e rappresenteranno per l’umanità.
Con un occhio di riguardo alla digitalizzazione e ai problemi legati alla conservazione della nostra memoria (gli evanescenti supporti digitali riusciranno a resistere all’obsolescenza, alle mutazioni della tecnologia, alla loro stessa intrinseca fragilità o, come già per la distruzione operata nel patrimonio letterario e giornalistico delle biblioteche americane, c’è lo zampino di qualche multinazionale che deve digitalizzare tutto per fare profitto?), l’Autore ci consegna un rapporto del quale tutti quelli che si occupano di libri e di editoria e i lettori appassionati dovrebbero avere conoscenza.
La realtà non è mai come appare e, spesso, dietro alla rilassante immagine di uno scaffale pieno di libri, si celano autentici duelli all’ultimo sangue.
D’altra parte, è lo stesso Darnton a ricordarci che una sua collega bibliotecaria, quando le chiedono in cosa consista il suo lavoro, risponde sempre: “Il denaro e il potere”.
Un libro.
Il futuro del libro, di Robert Darnton (Adelphi).

lunedì 13 giugno 2011

Intervista a Giovanni Agnoloni

Giovanni Agnoloni è saggista, traduttore e blogger (la sua è una delle firme del blog letterario collettivo La Poesia e lo Spirito). Le sue ultime opere sono: Nuova letteratura fantasy Tolkien e Bach. Dalla Terra di mezzo all'energia dei Fiori. Ha inoltre recentemente curato e tradotto la raccolta di saggi Tolkien. La Luce e l'Ombra.

Giovanni, come nasce la tua passione per Tolkien?
Credo che sia stato uno di quei miracolosi incontri che la vita riserva. Un po’ come quando ci s’innamora a prima vista. La cosa buffa è che circa un anno prima che mi succedesse avevo iniziato a leggere Lo Hobbit, ma dopo una trentina di pagine l’avevo messo da parte, perché non mi catturava, e riuscivo a vederne solo gli aspetti più di superficie, quelli che lo caratterizzano (anche) come un bellissimo libro per ragazzi. In seguito mi sarei ricreduto. Comunque, il fatto è che un giorno, in biblioteca, m’imbattei per “caso” nel Signore degli Anelli – che naturalmente conoscevo di fama, anche perché da ragazzo facevo spesso dei giochi di ruolo di ambientazione fantasy –; cominciai a leggerlo con una certa “diffidenza”, sia pur accompagnata dal velato timore che nascondesse qualcosa di molto importante e potenzialmente decisivo, per me. Dopo circa trecento pagine, all’altezza della notte passata dagli Hobbit a Brea, fui folgorato dalla possibilità di scrivere un libro nel quale confrontassi temi e passi delle opere di Tolkien con motivi consonanti dei classici, a partire dai Greci, passando per i Latini, Dante, il Rinascimento, il Romanticismo, il Realismo e il Neorealismo. Non che avessi questa “mappa” chiara in testa fin dall’inizio, certo, ma l’intuizione di fondo era nitida. Da lì sarebbe nato il mio primo saggio, Letteratura del fantastico – I Giardini di Lorien (Spazio Tre, 2004), e sempre su quell’onda letterario-comparativa sarebbe poi venuto Nuova letteratura fantasy (Sottovoce, 2010), dove il confronto era con autori della contemporaneità. Scopo comune alle due opere: evidenziare i tratti del fantasy tolkieniano che dimostrano come il suo mondo non sia assolutamente “diverso” dal nostro, perché è fatto della stessa sostanza energetico-emotiva, espressa attraverso un linguaggio e delle situazioni inequivocabilmente mitici. Su questa base, sono passato alle riflessioni più “ardite” di Tolkien e Bach. Dalla Terra di Mezzo all’energia dei fiori (Galaad, 2011), dove il confronto – su basi di psicologia junghiana, fisica quantistica e spiritualità – è tra i luoghi, i personaggi e gli oggetti della Terra di Mezzo e i tipi psicologici della floriterapia di Edward Bach, lo scopritore dei Fiori di Bach, e quindi ai temi filosofici di fondo del mio contributo alla raccolta di saggi (da me curata e tradotta) Tolkien. La Luce e l’Ombra (Senzapatria, 2011).

L’opera di Tolkien ha avuto, almeno in Italia, differenti riletture “politiche”, da destra come da sinistra. Secondo te queste interpretazioni hanno comunque un senso nella comprensione dei suoi lavori? Hanno tolto o aggiunto qualcosa?
Aggiunto sicuramente no, anzi. Le interpretazioni “destrorse” hanno portato a clamorosi fraintendimenti, e a caratterizzazioni di questo Grande della letteratura universale come autore improntato a una visione del mondo reazionaria – che non ha alcun fondamento filologico. Al contrario, certe “mode” affermatesi” al tempo della rivoluzione hippie in America l’hanno dipinto come “alfiere” del pensiero libertario. Tolkien non era niente di tutto questo. Se di “reazione” in lui si può parlare, ciò vale per il rifiuto di quanto, nella modernità, vi è di anti-umano, della macchina e della tecnologia in quanto strumenti di distruzione della natura e della vocazione più profonda dell’uomo, che è e resta un tesoro di sostanza spirituale. Se di “liberazione” in lui si può (e in effetti, si deve) parlare, questo è vero per la raggiunta pace e realizzazione che derivano dall’evasione dalla prigione di una vita sempre uguale e annichilente, che la sua letteratura fantastica riesce a produrre attraverso il meccanismo di Evasione-Ristoro-Consolazione, ovvero i tre momenti della creazione (e credenza) secondaria che le storie fantastiche ben scritte sanno innescare: Tolkien lo spiega molto bene nel suo saggio Sulle fiabe, dove sottolinea come il fine ultimo di questo processo sia il recupero di una visione della vita non più velata dal tetro grigiore della quotidianità.

Hai pubblicato con diversi editori. Quali sono stati i motivi che ti hanno portato a collaborare con loro?
Circostanze legate a collaborazioni con professori, giornalisti e scrittori culturalmente avvertiti, ai quali sono affezionato. E, naturalmente, il fatto che questi editori hanno creduto nei miei progetti. Sono molto grato a tutti coloro che mi hanno aiutato perché hanno creduto in me come persona e come autore. In generale, poi, mi ha giovato la mia attività in rete, attraverso il blog collettivo “La Poesia e lo Spirito” (http://lapoesiaelospirito.wordpress.com) e il mio blog personale (http://giovanniag.wordpress.com), oltre che su “Nazione Indiana” (http://www.nazioneindiana.com), sul sito di viaggi “AlibiOnline” (http://www.alibionline.it) e sul Progetto Letterario Internazionale di Marco Milani (http://www.domist.net), e la presenza su Facebook, LinkedIn, Netlog e Youtube, che mi ha permesso di farmi conoscere come autore.

Hai una grande esperienza anche con l’editoria estera. Trovi che esistano delle differenze, rispetto al panorama italiano, in relazione alle scelte delle opere e al rapporto con gli autori?
Dipende dai paesi. Credo che nell’universo anglofono, e in particolare nel mondo americano, l’elemento fondamentale di distinzione sia la prevalenza degli agenti letterari, nel rapporto tra autori ed editori. È difficile che un singolo autore collochi una sua opera rivolgendosi direttamente a una casa editrice. Nel mondo di lingua spagnola e francese, per l’impressione che ne ho tratta, mi pare che ci sia una particolare sensibilità verso le avanguardie e le novità stilistiche apportate dagli scrittori giovani. E lo stesso credo si possa dire del mercato tedesco. In generale, tutti questi paesi beneficiano del fatto che, in media, hanno molti più lettori dell’Italia. Purtroppo, questo condiziona le scelte degli editori italiani, che cercano di non correre rischi, puntando su nomi stranieri o su autori italiani già noti. Credo che sia necessario avere più coraggio, un po’ come succede in certi grandi club calcistici, che, puntando sul settore giovanile (il “vivaio”), sono arrivati a creare squadre fortissime (come il Barcellona, con la sua cantera, o l’Ajax di qualche anno fa, con la sua brillante scuola-calcio). In questo potranno svolgere un ruolo fondamentale le tecnologie, e in particolare gli e-book, che possono permettere di abbattere molte spese e ampliare il bacino di lettori, oltretutto rispettando l’ambiente. Senza, naturalmente, dimenticare la bellezza del libro cartaceo, di cui sono anch’io un fan. Comunque, esistono piccoli editori che hanno questo coraggio, e sanno investire responsabilmente e promuovere novità. Galaad Edizioni, di Paola Vagnozzi e Paolo Ruggieri, ne è un esempio, così come Senzapatria Editore, di Carlo Cannella. E mi piace ricordare anche Kipple Officina Libraria, la casa editrice ligure di Luca “Kremo” Baroncinij, la cui collana “Avatar” (diretta, oltre che da Kremo, da Francesco Verso e Sandro Battisti) oggi è il principale punto di riferimento del movimento letterario connettivista (di cui faccio parte), una delle pochissime avanguardie italiane attuali – se non l’unica –, nata come corrente fantascientifica ma oggi pronta ad affacciarsi sul mondo editoriale come letteratura tout court, perché portatrice di una visione del mondo imbevuta di archetipi e miti interpretati in chiave moderna, attraverso il prisma delle tecnologie, delle esperienze virtuali e dell’interazione uomo-macchina.

Tu sei anche traduttore. Come viene visto e considerato questo ruolo dall’editoria straniera e da quella italiana?
Dipende sempre dalle persone con cui lavori (e questo, del resto, in tutti i campi). C’è chi non rispetta questo mestiere, sottopagandolo o non pagandolo affatto, e c’è invece chi lo remunera congruamente e lo incoraggia e supporta attraverso un dialogo costruttivo. Naturalmente sto parlando dell’Italia, dove ho avuto la positiva esperienza di tradurre dall’inglese e dal francese i saggi della raccolta Tolkien. La Luce e l’Ombra per Senzapatria; poi, per lo stesso editore, sto ultimando, insieme a Marino Magliani, la revisione finale della nostra traduzione di Bolaño salvaje, raccolta di saggi di autori internazionali sul geniale scrittore cileno Roberto Bolaño, pubblicata in Spagna da Candaya e in prossima uscita in Italia. Per quanto riguarda l’estero, i miei contatti sono stati finora soprattutto con agenzie di traduzione tecnica (lavoro anche a traduzioni legali, commerciali e turistiche), che si sono dimostrati estremamente precisi e rispettosi del mio lavoro. Però intrattengo anche rapporti con qualche autore straniero, di cui cerco di promuovere le opere in Italia, come lo scrittore cubano Amir Valle, autore di noir e saggi illuminanti sulla realtà della sua isola, e con qualche agenzia letteraria e casa editrice del mondo spagnolo. Tornando all’Italia, mi piace infine ricordare la mia collaborazione con il blog di traduzione (http://www.traduzione-testi.com/traduzioni/agenzie-di-traduzione/il-blog-di-easy-languages-compie-un-anno.html) legato all’agenzia Easy Languages. Le lingue e i viaggi sono, insiema alla letteratura, le altre mie grandi passioni e le mie principali fonti d’ispirazione (spero che possa presto uscire un mio mémoir di viaggi in Europa).

La saggistica, per motivi direi strutturali alla creazione dell’opera stessa, presenta una produzione ridotta rispetto alla narrativa, almeno in Italia. Che cosa ti senti di consigliare a chi ha un saggio nel cassetto e vuole tentare la strada della pubblicazione?
È sempre difficile dare consigli, in una professione che segue logiche personalissime. Ogni esperienza può essere molto diverse dalle altre. Quel che conta è credere nel proprio lavoro e non scoraggiarsi mai. Proporre le opere agli editori a volte può essere frustrante, agli inizi, perché spesso le risposte non arrivano e, se arrivano, sono negative. Questo, del resto, vale anche per la narrativa. Però i saggi presentano una particolarità. Un taglio di analisi nuovo e, in qualche modo, spiazzante, può arrivare a colpire un editore per le sue potenzialità d’impatto, per la forza di introdurre o incoraggiare una nuova idea. Più difficile è scrivere una storia di fiction che abbia questa caratteristica, unita a uno stile convincente e appassionante. Non che scrivere saggi sia necessariamente più facile. Ma credo che sia un’ottima scuola per arrivare a prendere consapevolezza dei propri mezzi tecnici e affinarli. Certo, non ci vuol fretta, e serve grande umiltà. Attenzione, non mancanza di coscienza del proprio talento. Ma il talento serve a ben poco, se non si lavora quotidianamente e con impegno serio. La scrittura, presa come hobby, ben difficilmente porta a qualcosa. D’altronde, presa solo come un lavoro meccanico, perderebbe la sua anima. Bisogna ricordarsi – e questo anche se si scrive saggistica – che si tratta prima di tutto di arte, perché ha a che fare con le dinamiche interiori della nostra natura, e con esse interagisce. Poi, nella fase di revisione, diventa una raffinatissima opera di artigianato, e soprattutto uno splendido mestiere. Per me, il più bello del mondo.

sabato 11 giugno 2011

Oggi ho cercato

Fortezza quadrata, dai fregi egizi che hanno un vago sapore massonico. Cellette tutte uguali, che vagheggiano un passato da città ideale, con la linea delle tegole rosse che fissa un limite alla caduta del cielo.
Il cimitero sta in mezzo alla campagna. A debita distanza napoleonica dall’abitato.  
Ci sono andato oggi. A trovare il mio passato. A cercare le risposte che non ho saputo (voluto) dare a voci che non ci sono più.
Un armistizio di sole interrompe per qualche ora la pioggia monsonica (monito di mutazioni, di punizioni bibliche, forse).
Mi segue l’eco metallica dei miei passi, amplificata da portici deserti e da varchi ordinati che portano al vuoto. Scricchiola la ghiaia, al passaggio verso territori dominati da tombe immobili. Sprofondano le suole, offendendo il riposo senza fine.
Alzo lo sguardo verso lastre di marmo freddo. Mi rimandano i nomi che mi hanno dato la vita.
Quella vita che trascino fuori, poi, a sentire il silenzio dei campi deserti.

giovedì 9 giugno 2011

Nuova letteratura fantasy, di Giovanni Agnoloni (Sottovoce)

Esistono creazioni dell'immaginario che si assumono il compito di sondare, di esplorare ambiti sconosciuti delle nostre anime e del nostro comune sentire. Giovanni Agnoloni con Nuova letteratura fantasy ci regala una disamina completa dell'opera di Tolkien. Ma non lo fa nel modo classico, bensì partendo egli stesso per un lungo viaggio di esplorazione di quella Terra di Mezzo che rappresenta non solo un luogo narrativo, ma anche e soprattutto un luogo del nostro inconscio collettivo. Già Wu Ming 4, in Stella del mattino (Einaudi), aveva proposto un'interessante metalettura dell'opera tolkieniana, attraverso la rappresentazione narrativa di un Tolkien trasfigurato in personaggio e strumento della genesi e della rilettura della sua stessa opera, creatore di un mito letterario e fantastico che ha il compito di operare una sorta di salvazione dell'uomo, in contrapposizione ai miti di orrore e violenza, sempre prodromici alle guerre e alle sopraffazioni.
Giovanni Agnoloni va alla ricerca di ambiti sconosciuti e inquietanti, di insospettati e insospettabili punti di tangenza fra Tolkien e quel mondo fantastico, ma non certo irreale, che è la rappresentazione narrativa. E lo fa cercando quei punti di tangenza nel confronto fra le parole di Tolkien e quelle di Herman Hesse, José Saramago, Joseph O'Connor, Cees Nooteboom, Gabriel Garcìa Màrquez, Paulo Coelho, Manuel Vàsquez Montalbàn, Jostein Gaarder, Banana Yoshimoto. Alla fine quello che apparirà ai nostri occhi, come frutto di questa analisi e di questo confronto, sarà un vero e proprio paesaggio onirico nel quale lentamente riconosceremo stralci delle nostre stesse anime. Al termine di questo viaggio scopriremo che il bisogno (la necessità) che l'umanità ha di raccontare e di raccontarsi ha lo scopo ultimo della catarsi. Di quella catarsi che le parole operano e creano e che ci fa comprendere, come dice Stephen King, che "La vita non è un supporto per l'arte. E' il contrario".
Un libro.
Nuova letteratura fantasy, di Giovanni Agnoloni (Sottovoce).

martedì 7 giugno 2011

Italia suxxx a Milano

 Oggi 
dalle 18 alle 20 
Fnac, via Torino (Milano) 
con: Reset!, Luca De Gennaro, Marco Philopat e altri...

"Sparatissimi, tagliamo Milano come un macellaio fa con la carne. Un po’ di ansia mi viene, l’autoradio suona musica house che ad Angelo sembra piacere, a me non dice niente. Non riusciamo a parlare per via del volume. Posso solo guardare fuori, con batticuore, Milano questa cazzo di Milano. Corso Como. L’Hollywood, il Tocqueville, il Gasoline, l’Anteo, il Luminal, il Blue Note, il Frida, l’ex Pergola, la Stecca, il Tunnel, l’Alcatraz, Moscova, la libreria Utopia, l’isolato del “Corrie- re”, le case dei vip della televisione, il The Club, il Just Cavalli, i mega loft dei calciatori, le stanze doppie subaffittate, Cador- na, il palazzo di “Vogue", "GQ” e “Vanity Fair”, i sushi-bar, la Triennale, il Teatro Piccolo, via della Spiga, i mega negozi, il building di Armani, Montenapoleone, i prezzi disumani, il Leoncavallo, l’Old Fashion, il Castello Sforzesco, il Plastic, il Divina, i Magazzini Generali, la Casa 139, il Rocket, il Cox18, i luoghi sconosciuti per i secret concerts, viale Padova, Linate, l’Idroscalo, il Magnolia, Porta Romana, i Navigli, gli uffici per i model casting, le finte agenzie di star machine, lo Ied, la Naba, lo Iulm, le lacrime di notte delle studentesse straniere trattate come delle pezze, la fiera di Senigallia, il Codice a Barre, la Bocconi, la Statale, il Politecnico, il mix di via Tortona, gli squali del business, Ticinese, i modellari, i tavolari, i pierre, i promoter, i tutor, gli opinion leader, le Colonne di San Loren- zo, le gallerie d’arte, gli show room, i temporary store, gli ape- ritivi radical chic, gli open bar, le piscine comunali, chilometri di carta stampata e tagliata a forma di migliaia di flyer, le scene che non esistono anche se qualcuno ancora ci crede, l’electro che è l’unica vera novità, quelli vestiti dalla testa ai piedi H&M, lo stadio di San Siro che è la quarta cosa più visitata dai turisti, la metropolitana che fa un rumore devastante, i pulciosi e i fighetti, i designer, gli scrittori, gli stylist, i cantautori frustrati, il tempio dell’insicurezza piazzato dentro il monumento della fama e della gloria."


lunedì 6 giugno 2011

Gli incroci e le ibridazioni di Dino Audino editore

Sono affascinato dagli incroci fra discipline, dalle ibridazioni fra stili e argomenti. Questi due libri, una novità e una ristampa, studiano entrambi degli incroci. Nel primo caso fra due media, il teatro e la televisione, nel secondo fra due discipline, il cinema e la psicoanalisi. L'ibridazione fra linguaggi e saperi ha indubbiamente arricchito la forma d'espressione destinataria di questa operazione, e questi libri spiegano come e con che regole sia avvenuta.

Spesso si è detto che la televisione è incompatibile con il teatro e che le regie tele-teatrali possono essere utili soltanto in quanto documentazioni di eventi effimeri, ma non possiedono alcun rilievo estetico perchè il teatro, quando giunge allo spettatore filtrato dalla telecamera, svilisce le proprie potenzialità espressive. Eppure esistono alcune importanti opere di frontiera tra teatro e tv in cui viene esaltata la specificità dei diversi linguaggi espressivi. Alla scrittura teatrale si sovrappone una scrittura audiovisiva che non riproduce e non sostituisce la prima, ma interagisce con essa suggerendo inedite prospettive dell'evento spettacolare sia video sia teatrale. Questo libro prende in considerazione unicamente quelle opere televisive che costituiscono la traduzione di testi ideati e scritti per il teatro in messinscene studiate appositamente per il mezzo elettronico. La televisione dimostra in questi casi di poter essere utilizzata come scena artificiale, virtuale, elettronica, autonoma da quella teatrale eppure legata a essa da alcune trasversalità, alcuni interfaccia che fanno interagire le due scritture, audiovisiva e drammatica. Il libro riprende, a quasi vent'anni di distanza, la tematica affrontata in La nuova scena elettronica. Il video e la ricerca teatrale in Italia (scritto con Andrea Balzola, Rosenberg & Sellier 1994), attualizzandola e integrandola con gli sviluppi artistici degli ultimi anni. Su questi argomenti intervengono anche personalità che con i loro spettacoli e i loro scritti hanno operato in questo campo: da un lato registi e attori quali Marco Baliani, Carmelo Bene,Giuseppe Bertolucci, Ascanio Celestini, Eduardo De Filippo, Davide Ferrario, Dario Fo, Ugo Gregoretti, Mario Martone, Marco Paolini, Carlo Quartucci, Luca Ronconi, Giorgio Strehler, Gabriele Vacis; dall'altro studiosi di teatro e televisione come Paolo Gobetti, Gigi Livio, Antonella Ottai, Maurizio Grande, Rubbero Bianchi.

Franco Prono, studioso di cinema e televisione, insegna Storia del cinema italiano e Organizzazione e produzione dello spettacolo cinematografico presso il DAMS di Torino. Ha pubblicato diversi libri, tra i quali Bernardo Bertolucci. Il conformista (Lindau 1998) e Torino città del cinema (con Davide Bracco, Stefano Della Casa, Paolo Manera; Il Castoro 2001).
Franco Prono, Il teatro in televisione, (Dino Audino editore).

La forza di un grande film, come di una buona serie televisiva, non è quasi mai negli effetti speciali, nel ritmo serrato dell’azione, negli scenari. Questi sono elementi in più, optional che possono potenziare il racconto. Ciò che rende un film memorabile è lo spessore umano dei personaggi e della vicenda in cui sono coinvolti. Questo significa che una storia può essere ambientata dovunque nel mondo e interpretata da attori di ogni razza, se a rendere comprensibile la loro vicenda sono sentimenti universali e archetipi più o meno conflittuali che affondano in ogni cultura. Questo libro indaga su come, da Freud a Jung, da Campbell a Erikson, le teorie psicologiche e psicoanalitiche siano state usate nel Cinema e come possano servire a costruire storie che facciano sentire il pubblico “raccontato” nel profondo. Non un saggio, ma un testo pratico corredato da esercizi utili a maneggiare quelle teorie nella scrittura di tipologie umane drammaturgicamente efficaci.
William Indick è ricercatore in Psicologia al Dowling College di New York e collabora con diverse università americane. Sceneggiatore e scrittore, si è specializzato sui rapporti tra la psicologia e il cinema.
William Indick, Psicoanalisi per il cinema, (Dino Audino editore).

sabato 4 giugno 2011

DonaBol prosegue a Pietrasanta

Poco prima del Salone del Libro di Torino, avevo dato notizia di DonaBol-I libri donati dalla Rete, l'iniziativa di Bol.it che ha per scopo quello di raccogliere 4800 libri da donare alle biblioteche di quattro scuole delle città di Milano, Napoli, Palermo e Torino. Libri individuati sulla base delle liste dei libri preferiti create dai navigatori della Rete.
Ora l'iniziativa è stata prorogata fino al 15 Giugno, in occasione di Anteprime, il festival letterario che si tiene a Pietrasanta dal 10 al 12 Giugno, in cui gli autori vengono chiamati a raccontare al pubblico il libro che stanno scrivendo.
Il progetto Donabol ha già raccolto più di 44.000 liste di libri indicati dagli utenti della Rete.
Cliccando qui, potrai creare anche tu la lista dei tuoi cinque libri preferiti.

giovedì 2 giugno 2011

Intervista ad Arturo Robertazzi

Arturo Robertazzi è l'autore di Zagreb. E' nato a Napoli nel 1977. Ha studiato chimica (è un "chimico computazionale") a Salerno tra il 1996 e il 2002. Nel 2001 ha vissuto il Spagna ad Alcalà de Henares (la città di Cervantes), come studente erasmus. Si è laureato nel 2002. Subito dopo si è trasferito in Gran Bretagna, per un dottorato in chimica, conseguito nel 2006. Tornato in Italia ha lavorato presso la SISSA (un istituto di eccellenza italiano con sede a Trieste) e poi all'università di Cagliari. Infine, si è trasferito a Berlino dove lavora come ricercatore nel gruppo del Prof. E.W. Knapp. Al momento ha una borsa di studio ottenuta dalla Humboldt Stiftung ed è quindi un Humboldt fellow.


Zagreb riguarda fatti avvenuti quando tu eri adolescente. Vuoi spiegarci come mai ne hai tratto spunto per il tuo romanzo? Quale ne è stata la genesi? A quali fonti hai attinto?
Ho cominciato a scrivere Zagreb quando avevo circa vent’anni. Ai tempi dell’università, intorno al ’98. In quel periodo c’era stata la prima guerra del Golfo, la guerra dei dieci giorni in Slovenia, la guerra in Croazia, la guerra in Bosnia, quella in Kosovo, i massacri dell’Uganda… Ti rispondo con una domanda: come potevo non scrivere di guerra?
Oltre alle immagini, i racconti, le statistiche sul numero di morti, quello che mi colpiva era un concetto specifico, un’equazione: “Ieri eravamo amici, oggi siamo nemici”. Ecco, io non capivo come fosse possibile che due persone, un tempo amiche, potessero trovarsi improvvisamente a combattere l’una contro l’altra. Scrivere una storia di guerra mi sembrò l’unica soluzione per venirne a capo. 
All’inizio non pensai a un’ambientazione precisa. Fu quando dovetti scegliere i nomi, che l’ambientazione prese corpo. Igor, Emir, Dražen… E con i nomi anche i luoghi cominciarono a delinearsi. Ero convinto che fosse opportuno creare un legame con la realtà, perché fosse chiaro che dietro il romanzo c’era la Storia vera, persone vere, che quella, cioè, era una guerra vera. È così che il romanzo è diventato Zagreb. Eppure i riferimenti alle guerre nella ex-Jugoslavia sono limitati. Quello che emerge  è che “noi e loro” si combattono, in un quando imprecisato, in un dove quasi sconosciuto. Questo con lo scopo di evocare. Ricordare. Soprattutto in un paese come l’Italia che tende così facilmente a dimenticare…
Le fonti che ho utilizzato sono tante: articoli di giornale, filmati, saggi, testimonianze dirette… sul mio blog ho inaugurato una sezione “Zagreb – La Storia Dietro” in cui racconto, a modo mio, le fonti che più mi hanno aiutato nella stesura di questo romanzo.

Ogni scrittore, nel bene e/o nel male, ha degli autori che lo hanno influenzato o ai quali si sente vicino. Quali sono i tuoi, se ci sono?
C’è un autore che non mi tradisce mai, un maestro. Qualche settimana fa ne ho avuto la conferma. A Napoli, nella libreria dell’aeroporto, entro e scorro gli occhi sui romanzi esposti. Soliti titoli, soliti incipit. Poi, in basso vedo lo scaffale pieno di romanzi di questo scrittore…Ne apro uno a caso, leggo l’incipit: “I was looking for a quiet place to die. Someone recommended Brooklyn”. Come potevo non comprarlo! Il romanzo è Follie di Brooklyn, l’autore, è, chiaramente, Paul Auster.

Quanto conta oggi la presenza sul web per uno scrittore? È un elemento fondamentale o se ne può fare a meno?
Non se ne può fare a meno. Io credo che bisogna “darsi” anche sul web. Credo sia fondamentale. Come sai, sono fan di twitter da un paio d’anni ma ho compreso appieno la potenza di questo mezzo di comunicazione solo al Salone del Libro 2011. In quei giorni, i miei “followers” sono diventati “persone vere” e si sono materializzate allo stand di Aìsara, la mia casa editrice. Si avvicinavano e chiedevano di Zagreb, e chiedevano di me. È stato incredibile incontrarli davvero…
Con alcuni di loro abbiamo deciso di scrivere un “tweet-manifesto” (basato su un’analisi semiquantitativa dell’attività dell’hashtag “#SaloneLibro”) per rivendicare l’importanza di blogger e twitter-users nel successo del Salone del Libro 2011.
Alcuni di noi sono stati contattati dall’organizzazione per collaborare all’edizione 2012. Staremo a vedere…

Il dibattito in Rete sull’editoria digitale e sull’ebook è quanto mai vivace. Pensi che l’ebook possa essere un’opportunità per chi scrive? Credi che l’ebook possa mutare, in qualche modo, la capacità narrativa di uno scrittore o l’approccio dei lettori al testo?
Io sull’ebook ho un’idea molto chiara. La tecnologia va avanti, le potenzialità crescono, l’informazione esplode. Non può essere un male. Bisogna adeguarsi, sfruttare le nuove opportunità. Chi lo capisce, chi riesce a farlo, ha il futuro in mano. Aìsara non ha avuto dubbi nel pubblicare Zagreb (insieme ad altri titoli) anche in formato ebook. È il futuro, e non esclude, il futuro, il profumo vintage dei romanzi su carta.

Qual è stato il percorso che ti ha portato a scegliere il tuo editore?
Ho vissuto a Cagliari per quasi 2 anni, lavoravo all’università. E a Cagliari ho frequentato un laboratorio di scrittura dove ho avuto la possibilità di conoscere, tra gli altri, Nicola Lecca, Marcello Fois, Alberto Capitta. Ormai Zagreb era in uno stadio di lavorazione avanzato, qualcuno l’ha letto e l’ha proposto alla redazione di Aìsara. Dopo aver consultato il mio agente (mi disse “quelli di Aìsara sono giovani ma intraprendenti”) mi sono lanciato… e oggi sono contento della mia scelta.

Che consigli ti senti di dare a coloro i quali hanno il fatidico libro nel cassetto?
Consigli?… No, niente consigli. Però, io credo che aprire il cassetto sia l’unica possibilità. Non sei d’accordo?

Un’ultima domanda: secondo te ci sono troppi scrittori?
Gli scrittori non sono mai troppi. Sono i lettori che sono pochi.

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