mercoledì 22 giugno 2011

L'invenzione del romanzo, di Rosamaria Loretelli (Laterza)

"Timeo hominem unius libri", sosteneva San Tommaso d’Aquino. Tuttavia due sono i modi per intendere questa affermazione: temo l’uomo che sa tutto di un solo libro perché è un fanatico che non si abbevera ad altra fonte oppure perché ha, di quel solo libro, una sapiente e imbattibile conoscenza?
Quel libro può essere stato un rotolo di papiro, un codice miniato e trascritto nel silenzio di qualche monastero altomedioevale, oppure (oggi) può essere anche un libro in formato “codice”, che è il formato al quale, da Gutenberg in poi, siamo avvezzi (e in futuro, ci sarà sempre e comunque da temere qualcuno che sa tutto di un solo libro in formato ebook).
Muta quindi la forma, muta la struttura, ma sempre di libro si parla e si parlerà.
Rosamaria Loretelli, con L’invenzione del Romanzo, ci svela che l’approccio al libro e alla lettura ha subìto, nel corso dei secoli, trasformazioni radicali.
L’epoca della classicità greca e romana non considerava per nulla formativa la lettura, in quanto inutile e sterile acquisizione di idee altrui; mentre la vera conoscenza si apprendeva solo dalla viva voce di filosofi e maestri che, in tal modo, sviluppavano nei discepoli la capacità di far nascere in se stessi la vera consapevolezza.
Addirittura l’epoca romana non riusciva a concepire l’idea che qualcuno potesse trarre giovamento da un testo di storia, in quanto la storia doveva essere letta solo da politici e generali.
Il tutto poi, per secoli, in una continua declamazione a voce alta, nel trionfo dell'oralità, perché la lettura era tale solo se avveniva in forma pubblica e ad alta voce, con un oratore e con un pubblico. Al massimo, nel medioevo, si ammettono sommessi borbottii da parte di monaci, ma borbottii sempre delle stesse massime e degli stessi testi, perché la lettura non aveva ancora la funzione di acquisire informazioni, bensì quella di appropriarsi completamente, per mezzo di una ripetizione quasi mantrica, di un solo testo o di pochi altri (ed ecco, forse, a cosa si riferisce la massima dell’Aquinate).
Dobbiamo aspettare il Seicento e il Settecento perché nasca il concetto di autore e, con esso, anche quello di lettore per come oggi li conosciamo. La lettura diviene affare privato (non si legge più ad alta voce, ma silenziosamente con il pensiero). Nasce il mercato librario (gli autori cominciano a sfornare libri e ad essere considerati come narratori e romanzieri), aumenta il numero dei libri (i lettori non si accontentano più di ascoltare un solo libro declamato ad alta voce da un fine dicitore, ma vogliono leggere storie e vogliono leggerne sempre di più) e degli editori.
È a questo punto che l’Autrice ci illustra quella vera e propria trasformazione che ha portato alla nascita di quella tecnica narrativa che oggi consideriamo del tutto familiare.
La lettura personale, effettuata con il pensiero, muta sia il rapporto del lettore con il testo che il testo stesso. Gli autori non possono più utilizzare quei metodi di composizione narrativa che hanno un senso per la declamazione a voce alta di fronte ad un pubblico. Per la prima volta nasce quel sottile e invisibile rapporto che lega lo scrittore al lettore. Rapporto che provoca un’autentica rivoluzione nella tecnica di costruzione del romanzo.
Ora il libro in formato codice si vede affiancare dal libro in formato digitale. Sarà una nuova rivoluzione, non solo di formato, ma anche di tecnica narrativa? 
Un libro.
L'invenzione del romanzo (Dall'oralità alla lettura silenziosa), di Rosamaria Loretelli (Laterza).

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