Fortezza quadrata, dai fregi egizi che hanno un vago sapore massonico. Cellette tutte uguali, che vagheggiano un passato da città ideale, con la linea delle tegole rosse che fissa un limite alla caduta del cielo.
Il cimitero sta in mezzo alla campagna. A debita distanza napoleonica dall’abitato.
Ci sono andato oggi. A trovare il mio passato. A cercare le risposte che non ho saputo (voluto) dare a voci che non ci sono più.
Un armistizio di sole interrompe per qualche ora la pioggia monsonica (monito di mutazioni, di punizioni bibliche, forse).
Mi segue l’eco metallica dei miei passi, amplificata da portici deserti e da varchi ordinati che portano al vuoto. Scricchiola la ghiaia, al passaggio verso territori dominati da tombe immobili. Sprofondano le suole, offendendo il riposo senza fine.
Alzo lo sguardo verso lastre di marmo freddo. Mi rimandano i nomi che mi hanno dato la vita.
Quella vita che trascino fuori, poi, a sentire il silenzio dei campi deserti.
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