venerdì 12 giugno 2009

Giorgio Luzzi (comitato editoriale de L'Indice) commenta "Notte di nebbia in pianura" alla Fiera del Libro di Torino

Ecco il testo della presentazione a cura di Giorgio Luzzi (Comitato Editoriale de L'Indice) di "Notte di nebbia in pianura" tenuta sabato 16 Maggio 2009 alla Fiera Internazionale del Libro di Torino.

Commentare il titolo, riferibile al cupo Nacht und Nebel dei nazisti e preannunciante il clima di violenza, repressione, miseria e deriva che c’è in tutto il libro. Ma il titolo, che è in ogni caso sempre indicativo rispetto al contenuto di ogni libro (lo ha dimostrato tra gli altri Genette), rinvia anche all’ambiente di provincia nel quale la vicenda – o per meglio dire la serie di vicende – si svolge: ed è quella “bassa” particolare che è la Lomellina, né Lombardia né Piemonte, con capoluogo Vigevano, peraltro cittadina molto dotata dal punto di vista architettonico e scenografico. Luoghi appunto di nebbie e di risaie, di monotonia e di uniformità morfologica e ambientale: la provincia italiana del Nord appunto, invasa a propria volta da un falso quanto appariscente benessere o meglio da un processo di modernizzazione gonfiato e corrotto. Insomma quel pezzo di norditalia fatto di nebbia e di risaie diventa un concentrato dei nuovi modelli di produzione e consumo di beni e di servizi; ma naturalmente l’espressione, burocraticamente intesa, è profondamente ironica, solo che si inizi ad analizzare quali veramente sono le attività attorno alle quali i personaggi agiscono. È infatti il degrado economico e morale a dominare il campo umano dei personaggi di questo romanzo. In sintesi: immigrazione, droga, nuove ricchezze volgari e inadeguate socialmente, derive sociali, solitudini, corruzione, anomalie da disadattamento, sradicamento e improvvisazione professionale, attività di copertura di una sostanza illecita, incultura, violenza. C’è proprio tutto questo, un po’ di tutto questo.
Dirò subito che la tenuta strutturale e narrativa di Angelo Ricci è letteralmente magistrale, e cercherò di dimostrarlo. Per dimostrarlo occorre soffermarsi sulla struttura del libro, a partire dal fatto che in un certo senso la definizione, tradizionale e canonica, di romanzo andrebbe almeno in parte revocata per dare spazio all’analisi di quelle forme nuove del narrare che stanno cercando vie meno usurate rispetto alle tecniche del romanzo tradizionale. Nel lavoro di Ricci, appunto, la marchesa non esce alle cinque… Semmai la struttura del libro è felicemente corale, con qualche possibilità di prestarsi a tratti verghiani: domina una situazione e uno scenario sociale, non un eroe (positivo o negativo che sia) protagonista. Qui sta il punto e l’originalità netta e autorevole del libro. Ma ciò che determina il plafond di coralità è l’impostazione mimetica dei linguaggi, distribuiti su personaggi diversissimi tra loro. In questo caso la funzione di regia dell’autore interviene a coordinare una polifonia di linguaggi, non a unificarli nel linguaggio unico del supervisore ferreo che è l’autore. Ricci non parla, lascia parlare, registra, raccoglie, unifica. Certo questo procedimento non è nuovo in quell’ambito sterminato che è l’esperienza narrativa contemporanea (ma anche non) con le sue esigenze incessanti di rinnovamento e di sperimentazione. Prima ho citato Verga, ma occorrerà revocarlo quando si affronti il problema del linguaggio prestato ai personaggi. Verga non si spingeva a tanto. Erano altri tempi, appunto. Qui invece ci sono tanti linguaggi espressi quanti sono i personaggi, al punto che il pensiero di quel soggetto onnisciente che è il narratore si riduce a ben poco, sostituito invece dalla funzione di coordinamento. Si tratta appunto di una serie di affreschi linguisticamente mimetici, che si adeguano alle diverse identità sociali e culturali (quasi sempre peraltro subculturali) dei personaggi: l’autore li raccoglie e li coordina, sia in sede di discorso diretto ma anche in sede di discorso indiretto, quando potrebbe decollare al livello intellettuale dell’autore e invece rimane aggrappato appunto al livello subculturale dei suoi miseri e disgraziati “eroi”.
Vediamoli, questi eroi. Però prima occorre spendere qualche attenzione nel cercare di capire come interagiscano tra loro. Nella tradizione del romanzo si vuole che prima o poi i personaggi interagiscano. E qui? Qui ciò accade solo in parte, e solo nell’ultima pagina, dove c’è un frammento di coordinamento ultimativo tra i carabinieri, i due balordi alcolizzati e impasticcati e la infelice Sandri Anna di professione detenuta: la catastrofe delle ultime righe del libro riguarda loro, ma in realtà riguarda anche il gruppetto di biscazzieri e avventurieri dalle ricchezze ambigue i quali apprendono dalla radio la notizia di quell’incidente disastroso tra due auto. Ma è solo una battuta, un inciso pronunciato da uno di loro all’interno del gruppetto (gruppetto integrato dalla presenza di due bellissime quanto infelici entraineuses immigrate dal mondo slavo, simboli dello sradicamento più dolente e irrevocabile). Però, appunto, dalla catastrofe propriamente detta rimangono fuori altri personaggi, così che il romanzo si conclude lasciando in sospeso gli esiti delle vite di questi ultimi. Vite sospese quanto peraltro nettamente delineate in una tragica immutabilità. Prima di affermare che nessuno, davvero nessuno, si salva, vediamo di chi sono e come siano fatte queste vite sospese e in quali modi, proprio dal punto di vista tecnico, esse vengono tenute insieme e spinte avanti assieme a quelle degli altri. Si noti che sostanzialmente i personaggi non interagiscono, siano gruppi chiusi o singoli soggetti umani, vivono ciascuno la propria vicenda. Che cosa dunque li unifica? Direi il tempo e il luogo, come dire l’ambiente. Sono figure umane in certo modo allegoriche, sintomatiche di tipologie del presente. Su ciascuna dominano pesantemente le “leggi” sfrenate e caotiche dell’economia, della dipendenza sociale dai bisogni e dei modi di costituzione di questi bisogni, il cui ambito è fortemente dilatato secondo i criteri di una situazione senza regole che domina i modelli di comportamento e di consumo. L’umano è degradato dalla propria funzione di consumo e dalla assunzione, spesso acritica e disperata, di modelli facilmente imposti da un sistema sregolato, imploso, feroce eppure inestirpabile. Dunque i personaggi non formano una comunità,
nel senso che agiscono separati, a nuclei non vicendevolmente interattivi se non, ma solo in parte, nella catastrofe finale. Vi è piuttosto una struttura a spirale, o per meglio dire a scacchiera, che consiste nel portare avanti vicende separate ma parallele, farle crescere alternandone le vicende con senso di equità.


NOTE DI LETTURA A MARGINE DI PAGINA:

Personaggio Sticazzi, turpiloquio delirante, esasperato
Il figlio unico obeso, presto orfano, figura di desolazione: altra figura tipologicamente segnata tra norma e trasgressione, ma qui portatrice di una forte condizione allegorica, quella della patologia e della abnormità consumate nella mitezza e nella incapacità di agire, in questo senso è la figura più struggente e indifesa del romanzo
Bravissimo l’autore nella sospensione, cioè nel trattenere lo snodo della vicenda, delle singole vicende: c’è un fascino in questo non rivelare all’inizio chi siano i personaggi, di chi si parli, di che cosa si parli; è un rilascio di informazioni dosato ed esperto
Ottimi i dialoghi in senso tecnico: spesso è una pluralità di voci che si intrecciano, con un effetto di straniamento e di enigma che è autenticamente funzionale e non un vezzo sovrapposto
Incredibile (lo Sticazzi) degrado culturale e morale, gergo demenziale e rivoltante, di una elementarietà compulsiva basata sullo stereotipo
Interessante l’uso di simmetrie cronologiche alternate: elementi della situazione in atto alternati a elementi del vissuto mnemonico (giocati spesso nell’alternarsi di discorso diretto e indiretto)
Vivido, evidente impegno sociale! (a proposito della detenuta Sandri Anna e della sua vicenda sentimentale e famigliare e dell’ingiustizia che sta subendo da parte degli apparati inquisitori)
Trionfo della banalità e del luogo comune: l’ambiente delle televendite
L’ambiente di Sticazzi: piccoli spacciatori collaboratori dei carabinieri
L’orfano obeso e il funerale della madre: pagina di composto pathos
Ripetizione ossessiva di parole-rito: “meno male che almeno sei alto” (è l’eco della madre che risuona ancora)
La detenuta che ha vissuto con l’islamico accusato di terrorismo: Sandri Anna appunto, già vittima prima di una violenza morale col figlio non riconosciuto dal padre appartenente a famiglia malavitosa; tipico soggetto femminile sofferente sul quale si scaricano, come in un paradigma sociale ormai invalso, contraddizioni e violenze
I carabinieri corrotti
Nuove forme di ricchezza e corruzione: precarie, fuorilegge, spregiudicate; ritratto di una Italia malata, in rovina, con basi profondamente compromesse, priva di eticità, di regole, di senso della comunità; è una efficace rappresentazione della condizione odierna di costume
Certi flash-back sembrano fare riferimento al modello cinematografico
Lo Sticazzi e il suo linguaggio animalesco e compulsivo
Verso la fine i fili cominciano ad annodarsi anche se la soluzione dell’intreccio è soltanto indiretta e parziale, non è in altre parole l’obiettivo dell’autore se non in quella breve parvenza di catastrofe semiotica che però non è una catarsi, è anch’essa provvisoria, come di vicenda interrotta, di romanzo troncato; perciò se da un lato esiste una ciclicità, dall’altro vige la tecnica della incompiutezza; e l’impasto è davvero interessante proprio dal punto di vista della cultura del romanzo.

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