lunedì 8 giugno 2015

Il mio nome è Frank de Jung, di Frank Gonella (Wingsberthouse)

Esiste una letteratura che esplora linee sottotraccia che si celano all’apparente divenire del mondo, una letteratura che nasconde tra le sue parole messaggi criptati il cui valore e significato va ben oltre quello della trama. Ne I tre giorni del condor l’agente Joseph Turner legge, arroccato in una nuovayorkese Fortezza Bastiani ben presto espugnata da tartari ellroyani che sono già millenaristico prodromo della "Trilogia sporca dell’America", romanzi noir e gialli con la consapevolezza che in essi è sicuramente nascosta qualche stringa esplicativa dei complotti nascenti nel pantano delle guerre segrete, mentre nello stesso momento, immerso nelle paludi indocinesi di confronti finali tra superpotenze, tra guerriglieri vietcong e ambasciate occidentali in odor di enucleazione, tra le pagine de L’onorevole scolaro Jerry Westerby, spia avventizia agli ordini del definitivo Circus di George Smiley, porta con sé una sacca piena di libri, tra gli altri quelli di Conrad, libri che all’occorrenza possono divenire baedeker essenziali di chi opera nell’underground del grande gioco dell’intelligence. 
Leggendo Il mio nome è Frank de Jung (nome dagli echi fiamminghi, di quel Belgio che è luogo di efferatezze coloniali, ah… il conradiano Cuore di tenebra, oggetto che si trasfigura nel magma esiziale di Apocalypse now, ah… quelle stragi congolesi dalle risonanze di "mondo movies" jacopettiani e di mercenari katanghesi che tingono di sangue i Sessanta e i Settanta) è naturale pensare che questo romanzo avrebbe immediata cittadinanza tra quelle opere che contengono tracce da interpretare, da decrittare. Frank Gonella, "nom de plume" di un autore che è ben più di un creatore di trame che sarebbe troppo facile definire noir, con sapienti pennellate che fondono ossessioni pynchoniane e report alla Marc Saudade di El Centro (romanzo che è pietra miliare ahimè troppo poco riconosciuta di un certo narrare che è stato bolaniano un ventennio prima di Bolaňo) compila una mappatura potente e irrinunciabile di quel "nada" che sottende all’orrore di un’umanità che è sì simile a Dio ma anche simile al principe degli angeli ribelli Lucifero. Il mio nome è Frank de Jung è libro, saggio, romanzo, rapporto consegnato a chi avrà la consapevolezza di comprendere, narrazione per nulla politically correct (finalmente!), vaso di Pandora in cui coabitano satrapi nascenti dalla dissoluzione del comunismo e figli di London Fields alla Martin Amis. Esoterico come un papiro celato negli anfratti di una mastaba sumera o come un caleidoscopio di inquietanti alfabeti scolpiti sulle rovine di una città Maya, questo romanzo deve essere bagaglio necessario per chi sa che la parola scritta è solo un labile confine che segna l’avanzata di universi quantistici dove gli esseri senzienti si trasformano in una unità inscindibile in cui vittime e carnefici cantano congiuntamente l’eternità del male.
Un libro.
Il mio nome è Frank de Jung, di Frank Gonella (Wingsberthouse).

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