martedì 20 maggio 2014

Roderick Duddle, di Michele Mari (Einaudi)

Esistono fratture spaziotemporali nell’universo delle storie. Fratture che gli autori di talento sanno attraversare portando con loro bagagli di storie e riattraversandole all’inverso creando altri universi paralleli fatti di romanzi, racconti, narrazioni che orbitano attorno a un centro cosmico che è poi la mirabile genesi di quel desiderio insopprimibile di raccontare e di raccontarsi che da sempre, come scriveva E.M. Forster, l’umanità porta con sé, come un tesoro inestimabile che i lettori hanno il fantastico compito di cercare, osservando una mappa i cui segni descrivono la geografia dell’anima. Michele Mari è da sempre un geniale creatore di acutissime mappe narrative, un instancabile viaggiatore di queste fratture spaziotemporali dell’universo delle storie. Da sempre è artefice di mondi narrativi nei quali la finzione è lasciapassare imprescindibile per una realtà che con la finzione si fonde, in un virtuoso gioco di richiami e rimandi e citazioni che insufflano nelle parole il tocco divino della vita. Sarebbe troppo semplice definirlo un uomo fatto di libri, come il Peter Kien protagonista dell’Auto da fé canettiana, perché Mari non si limita al gesto pur catartico della scrittura, ma con i libri costruisce veri e propri mondi narrativi nei quali il lettore, avvolto con grata stupefazione nelle loro trame, non soltanto legge per divertirsi, bensì legge trasfigurandosi in strumento vivente di quei libri, in un rapporto che unisce scrittore, lettore, trama, protagonisti e narrazione.
Roderick Duddle è un nuovo tassello di quel mosaico che Mari da sempre va componendo e in cui ogni suo libro è incardinato con gli altri in una struttura narrativa invidiabile e che fa da sempre la felicità di chi si accosta alle pagine da lui scritte. Echi immaginifici di quell’Ottocento narrativo dai bagliori provenienti da una letteratura britannica che, con Mary Shelley e Horace Walpole, sondava il mistero dell’angoscia e che erano già presenti in Di bestia in bestia, assumono qui la gioiosa indipendenza di una storia che, attraversando gli universi dei grandi affabulatori come Dickens e Stevenson e Melville e perché no anche Conrad, si pone definitiva e universale come paradigma di tutte le storie del mondo. Roderick Duddle è bussola, timone, vele e scafo di una baleniera, di un brigantino, di un veliero a bordo dei quali noi lettori salpiamo alla riscoperta di nuovi continenti letterari, alla guida di un capitano di lungo corso avvezzo a tutte le tempeste e sopravvissuto a ogni ammutinamento. Questa nave capitanata da Michele Mari ci conduce verso una forma narrativa che, ricostruendo il classico romanzo ottocentesco, in realtà ne ristruttura le forme e Roderick Duddle diviene strumento insostituibile che ci permette di accedere ancora una volta alla fantastica contemplazione di quell’orizzonte delle storie dove il lettore osserva stupito quel punto divino in cui l’universo delle parole, e della vita, rinasce.
Un libro.
Roderick Duddle, di Michele Mari (Einaudi).

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