Un inquietante e al contempo delicato paesaggio dell’anima, luogo di trasfigurazioni di destini che si fondono in un continuum spaziotemporale che bene amalgama futuri che sono debitori di una certa fantascienza che, per dirla alla Ballard, è consapevole che i veri alieni siamo noi e panorami che sono quelli della consuetudine del dolore, degli affanni, contigui a una narrazione dall’impostazione propria del romanzo classico. Ma lentamente tutto muta, si trasforma, appalesando elementi celati tra le righe.
Una trama che sussurra e fa trasparire mutamenti epocali, prodromici di altre e ben più definitive mutazioni capaci di colpire la vita (la fine delle farfalle, delle api), attraverso sottili e tuttavia forti pennellate che danno il senso della totalità a questo prezioso affresco in cui la vita stessa e la morte si rincorrono come nella stazione sospesa sul pianeta senziente Solaris immaginato da Stanislaw Lem, non rinunciando comunque alla ostensione di tracce di una quotidianità forse passata (le case, i corridoi, i libri) che rimandano a corrispondenze di sensi e sentimenti che ricordano il Caro Michele di Natalia Ginzburg. E mentre cerchiamo di radunare le sensazioni che questa lettura ci regala veniamo ancora una volta affascinati dalla presenza di simulacri o sostanze forse lenitive di un presente troppo atroce o fantasmi allucinatori che ricordano certe narrazioni phildickiane o certe palazzine vittoriane immerse in metropoli alla Blade Runner. Un denso procedere di sentimenti, di visioni, di contaminazioni, di illusioni forse indotte da altre mutazioni dei tempi e la capacità dell’Autrice di fondere classico e moderno ci ricordano la levità piena di forza di certi dialoghi fatti di sguardi alla Murakami Haruki.
Un libro.
Pieno di luna, di Enrica M.Corradini (Narcissus).
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