Se l’autore di un saggio o,
come in questo caso, di una biografia, desiderasse immedesimarsi in modo
elegante e sontuosamente dimesso e non scevro da distaccato understatement con
l’oggetto della sua attenzione, non avrebbe che da seguire l’esempio di Manganelli e
della sua Vita di Samuel Johnson.
Perché Manganelli e Johnson sono la stessa persona. Certamente protagonisti in
epoche distanti e differenti, rappresentano tuttavia un affascinante caso di simbiosi tra autore e
saggio, tra studioso e oggetto di studio. Significativo è il fatto che Samuel
Johnson compia le sue gesta letterarie in una Londra Settecentesca che rappresenta il
prodromo del modo in cui, da allora, la cultura ha vissuto anche e
soprattutto attraverso la creazione di miti e personaggi. Il Settecento inglese
è il secolo in cui nasce il concetto di autore, di scrittore, di polemista. E
Manganelli forse ritrova in quella Londra Settecentesca, che fa da scenario alle
imprese johnsoniane, qualche cosa che gli ricorda la scena culturale milanese o
romana nella quale la creazione del personaggio è, a volte, superiore alle sue
reali espressività culturali. Ma Manganelli annota quasi inconsapevolmente il
fatto che la cultura viva ormai solo di gesti che prescindono dai contenuti e
allora il rifugiarsi nella figura di Samuel Johnson diviene una sorta di
richiamo a quella età aurea dove le idee avevano una vita così forte da superare
anche le inadeguatezze di coloro che le esprimevano. Manganelli per mezzo del
suo doppelganger (che può essere Johnson, ma anche, in un affascinante scambio
di ruoli, il di lui biografo “pacatamente allucinato” James Boswell) crea
un’opera che ha la struttura di un saggio ma l’agilità di una storia, di una
storia appunto manganelliana.
Un libro.
Vita di Samuel Johnson, di Giorgio Manganelli (Adelphi).
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