Un’odissea canina che strappa brani di sofferenze condivise
e dolorose, picarescamente condotte per mano attraverso le pietre e gli alberi
di un entroterra ligure onirico, che deposita se stesso tra le pieghe di
paesaggi disegnati col colore del sangue. Un’odissea canina che si snoda in due
atti, due atti che fanno da definitivo spartiacque di una silloge di
inquietanti ritratti dove Fedro incontra Wittgenstein in uno scambio di ruoli
che più che traslazione è denuncia.
Permute angoscianti di prospettive altrettanto angoscianti,
così come angosciante non può che apparire quel fluire del tempo che chiamiamo
vita. E a maggior ragione angosciante se si trasla in prospettive che avevamo
comunque sempre sospettato, ma che la bravura e il coraggio degli Autori ora ci
pone di fronte, scardinando sicure certezze e millenarie sicumere da homo
sapiens.
Può un cane essere vettore delle vite degli esseri umani? E che
dire di un’ameba che si pone interrogativi sui confini della propria anima?
Come una coppia di Candide volterriani che si soffermano a indicarci con
sapiente e innocente conoscenza una pagina della Encyclopédie a a noi ancora sconosciuta, Marino Magliani e Giacomo
Sartori ci aprono in questo Zoo a due
le loro anime e fanno in modo che gli stessi lettori non possano rimanere
indifferenti alla dimostrazione narrativa che si snoda di fronte ai loro occhi.
Libro di racconti, saggio filosofico nel solco della miglior
tradizione settecentesca, forse pamphlet godibilmente accusatorio, Zoo a due è un oggetto narrativo che va
letto e meditato perché i suoi confini vanno ben oltre l’ultima pagina.
Un libro.
Zoo a due, di
Marino Magliani e Giacomo Sartori (Perdisa Pop).
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