Ogni cosa ha un'origine. Ogni storia, ogni narrazione, ogni universo di parole scritte. E uno scrittore, un narratore, un testimone, che fa della parola scritta l'arma per rendere eterno il ricordo, ha sempre, alla base della propria creazione, un coacervo, un insieme, un magma di elementi da modellare e ai quali ispirarsi. Così va inteso Croce senza amore. Un linguaggio a volte apocalittico. Una serie di impressioni quasi vomitate, per la furia di far conoscere, di far sapere. Una variazione continua di toni, di voci interiori, di speranze, di narrazioni. Croce senza amore è la prima prova letteraria di Böll. Ed è questo il punto d'avvio della sua futura opera di scrittore. Quasi come un deposito da cui poter attingere in futuro, quasi come un tesoro di sentimenti, di gioie e di sofferenze, questo romanzo non lascia mai trasparire la futura lucidità acuminata e ironica che avrebbe caratterizzato lo scrittore tedesco. E' una sorta di urlo a più voci, con dialoghi a volte pregni di una tragicità antica. Un urlo a volte quasi disarticolato, come emesso da un uomo che non riesca a risvegliarsi da un qualche terribile incubo. Ed è forse questa la chiave. Böll ha dato voce a un incubo. Un incubo nel quale ha visto precipitare, senza alcuna resistenza, dapprima una nazione e poi il mondo intero. Dopo la fine di quell'incubo, la coscienza di ogni uomo sarebbe stata indelebilmente macchiata. Solamente dopo quell'urlo e quell'incubo, generati dal deserto di morte della demoniaca impostura nazista, ci sarebbe stato lo spazio per la lucidità e l'ironia. E, nel futuro, solo un clown avrebbe potuto permettersi il lusso di avere opinioni.
Un libro.
Croce senza amore, di Heinrich Böll (Mondadori).
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