L’aneddoto. Paolo villaggio
racconta che nel 1975 Evtushenko, in risposta alla domanda su quali fossero gli
scrittori italiani che più venivano letti in Unione Sovietica, disse che
proprio Villaggio, creatore di Fantozzi, era molto seguito e considerato come una
sorta di successore di Gogol e che Fantozzi rappresentava la figura ideale del
lavoratore inghiottito da un sistema capitalistico in bilico tra sfruttamento
parossistico e angosciante nonsense.
Il tempo. Decenni sono
trascorsi dalle atmosfere del romanzo industriale, decenni che sembrano secoli.
Paolo Volponi rimane nei cataloghi come rappresentante di una narrazione che si
incardinava in un tempo che non è più. Ottiero Ottieri prendeva spunto dalla
sua vita lavorativa aziendale e partoriva Donnarumma
all’assalto. Gli esperimenti editorial-comunitari di Adriano Olivetti
sembrano retaggi più che di un passato, di una preistoria.
La struttura
fabbrica-sindacato-lavoratori-lotta appare oggi semmai come una divagazione
assiomatica che forse ha avuto una sua dimostrazione, dimostrazione travolta
dalle mutazioni profonde di una collettività che a quei tempi si poteva
ancora definire società.
I personaggi (impiegati,
donne e uomini, ridotti quasi ad eteree ombre dal peso schiacciante di una vita
di plastica) che si muovono immersi nella scenografia postmoderna di questa Roma
periferica che fa da sfondo al romanzo di Peppe Fiore e che ricorda certi
angoscianti biancori architettonici de La
decima vittima di Elio Petri, non appaiono nemmeno più come simulacri di un
mondo in declino, bensì come proiezioni di una cultura dominante che raccatta
parole d’ordine televisive, sfiancamenti internettiani e affabulazioni da
workshop aziendale (che non è nemmeno più soltanto fine a se stesso) e che crea
una sorta di feedback negativo tra vite sbrecciate e lavoro senza senso.
Il linguaggio. È il linguaggio uno
dei punti di forza di Nessuno è
indispensabile. Una parlata, una sorta di gergo dalle sfumature infinitesimali e per nulla dialettale, ma consono a
quell’espressività che mescola vita e azienda e che per imperscrutabili motivi rifugge dal vernacolo per
approdare a costruzioni semantiche e sintattiche da verbale di polizia o da circolare esplicativa ministeriale (quel termine: “docciato”… così angosciosamente
asettico nella sua terribile condivisione). Ed è questa parlata che trasmette
al lettore quel costante senso di straniamento che, alla fine, avrà come unico
sbocco il delirio più ancora della morte.
Fantozzi, Filini, la Signorina Silvani
esistono ancora. Ma sono diventati cattivi, pericolosi e vagano ormai senza
speranza tra le rovine del mondo, come i
morti viventi di un film di George Romero.
Un libro.
Nessuno è indispensabile, di Peppe Fiore (Einaudi).
Nessuno è indispensabile, di Peppe Fiore (Einaudi).
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