domenica 29 gennaio 2012

10 modi per diventare un mito (e fare un sacco di soldi), di Michele Monina (Laurana Editore)

Io non ti sto parlando di un impieguccio da 400.000 $ all’anno a Wall Street, di viaggiare in prima classe e fare le ferie in alberghi a 5 stelle. Io ti sto parlando di ricchezza vera. Ricchezza da poterti permettere (…) di viaggiare con un tuo Jet privato, 50-100 milioni di dollari.
Così pontificava Michael Douglas/Gordon Gekko, in Wall Street, a un attento e ingenuo Charlie Sheen/Bud Fox.
Dite la verità, dai! Non nascondetevi dietro a falsi pudori. È quella la ricchezza alla quale puntate. È soltanto quella la ricchezza che vi darà quel sacco di soldi che tutti volete. Ma (e nella vita, ahimè, c’è sempre un “ma”) solo a patto che voi riusciate a diventare un mito.
E nel nostro presente, in quella nostra contemporaneità senza tempo apparente, in quel nostro attimo eterno che ci segue sin dagli anni Cinquanta, quale miglior esempio di mito amato dalle folle e pieno di soldi si può trovare? Ma la rockstar, of course!
Michele Monina, con sapiente e ironica conoscenza, ci scrive i suoi 10 modi per diventare un mito (e fare un sacco di soldi). E siccome Michele Monina è uno che del backstage della musica e del rock ne sa parecchio, siccome è uno che conosce bene tutto quello che non si vede, ma che del mondo della musica e del rock è parte fondamentale, chiaramente, dal momento che stiamo parlando di miti (e della loro conseguente smodata ricchezza), è appunto dei miti della musica e del rock che stiamo parlando.
Attenzione, però. Non è che sia sufficiente dimenarsi sopra un palco, scimmiottando qualcun altro. Qui il problema è serio. In fin dei conti stiamo parlando di milioni di dollari (o di euro), stiamo parlando di ville da cinquanta stanze a Beverly Hills, stiamo parlando di Rolls Royce (non una, ma due o tre almeno), stiamo parlando di ragazze bellissime e intraprendenti che farebbero di tutto per passare una notte di fuoco con voi (ho detto ragazze, al plurale, non una o due, ma tre o quattro alla volta, come minimo. Ci siamo capiti?).
E siccome stiamo parlando di questo, per diventare appunto un mito non è che voi potete darvi da fare un due o tre ore al giorno e poi tornare dalla mamma in tempo per la cena. Per diventare un mito (un mito del rock, ma anche del pop o, perché no, del gangsta rap) la cosa si fa ovviamente totalizzante. Bisogna mettere in conto un bel po’ di alcol e un bel po’ di sostanze psicotrope (che dovrete assumere voi in prima persona e assumere tutte anche se all'improvviso sentirete avvicinarsi un piccolo e insignificante arresto cardiaco, sia ben chiaro, e niente scherzi); bisogna mettere in conto magari qualche scontro a fuoco e qualche pallottola che vi spedisce all’altro mondo (se volete darvi al rap, magari in versione gangsta); bisogna mettere in conto un sacco di sesso sfiancante e possibilmente in compagnia non della vostra morosina, ma di almeno quattro o cinque persone e poi cercare di far finire in rete il relativo filmino (e non è detto che la cosa poi vi piaccia); bisogna mettere in conto anche cambi di nome e cognome .
E poi, alla fine, ma proprio alla fine, bisogna magari mettere anche in conto di passare a miglior vita in giovane età, come, appunto, hanno pensato di fare i migliori miti del rock.
Siete pronti per tutto questo? Se la vostra risposta è positiva allora siete proprio pronti per diventare dei miti (e per fare il conseguente sacco di soldi).
Se invece, come me (anch’io volevo fare la rockstar, cosa credevate? Solo che non mi hanno preso e da allora scrivo di libri e di letteratura), amate la cultura pop e underground, se, come me, vi piace sapere tutto (ma proprio tutto) quello che c’è dietro (e vi assicuro che è proprio tanto) il mondo della musica rock, pop e chi più ne ha più ne metta, allora dovete necessariamente leggere Michele Monina e il suo libro. Libro che è una vera e propria miniera di notizie e di fatti che faranno la gioia di ogni appassionato e che rende visibile magistralmente tutto quel mondo sottotraccia che ha contribuito e che contribuisce ogni giorno, al di là dei suoi protagonisti, a fare di se stesso il vero mito.
Forse non riuscirete ad avere un aereo privato, nessuna groupie vorrà passare una notte infuocata con voi, Rollingstone non vi chiamerà per un’intervista, ma vi assicuro che a leggere Michele Monina vi divertirete un sacco. E, di questi tempi, non è poco. Nemmeno per un aspirante mito del rock.
Un libro.
10 modi per diventare un mito (e fare un sacco di soldi), di Michele Monina (Laurana Editore).

venerdì 27 gennaio 2012

Casa Calidonia - La casa dei racconti

Comunicato stampa

Il 24 febbraio Luca Crovi inaugura i week end di Scrittura Creativa di Casa Calidonia, a Bettona (Pg), nel cuore dell’Umbria.

Stefania Nardini apre le porte della sua casa per un ciclo di incontri con alcuni tra gli scrittori più apprezzati dal pubblico: Crovi, i Gregorio, Magliani, De Giovanni, Suarez, Vasta,  Paolacci.

I week end di scrittura a Casa Calidonia sono un’opportunità unica di incontro e interazione, veri e propri corsi “full immersion” con i più importanti autori presenti sul mercato editoriale italiano, per apprendere e migliorare la propria tecnica di scrittura.

Sponsor tecnico di Casa Calidonia sarà Perdisa Pop, la casa editrice fondata da Luigi Bernardi e ora diretta da Antonio Paolacci. 

I corsi prendono il via l’ultimo fine settimana di febbraio, 24-26 febbraio, con “Leggere e scrivere suspense”, docente Luca Crovi.

Luca Crovi, saggista, giornalista, già conduttore del programma “Tutti i colori del giallo”, analizzerà  le regole di scrittura di Chandler, di Leonard, di Eco e di Van Dinne. Spiegherà  i suggerimenti di Deaver, Highsmith, King, Chesterton, senza dimenticare i consigli di P. D. James. Ad affiancarlo ci sarà la coppia Michael Gregorio (l’inglese Michael G. Jacob e l’italiana  Daniela De Gregorio) , “genitori” di  Hanno Stiffenis, il magistrato di Lottingen, allievo di Immanuel Kant eroe dei loro romanzi.

Gli altri incontri:
-16/18 marzo Laboratorio di Scrittura con Karla Suarez
-28/29 aprile Il Noir con Maurizio De Giovanni
-25/27 maggio Scrittura narrativa di viaggio con Marino Magliani
-15/17 giugno La narrazione autobiografica con Giorgio Vasta
-29giu/1lug  Raccontare il presente con Antonio Paolacci


Per informazioni e iscrizioni:
Mob: 347/56687758 – 334/1719451

mercoledì 25 gennaio 2012

Libri falsi

E' una sorta di costante narrativa e letteraria quella dell'uomo arricchito che, per sembrare un grande amante della cultura, acquista metri quadri di librerie, già corredate di scaffali stracolmi di libri che non ha mai letto e che non intende assolutamente leggere.
Secondo Jesús Marchamalo, autore di Toccare i libri, nella Russia del XVII secolo un commerciante riuscì ad arricchirsi vendendo alla nobiltà pile di libri in edizione lussuosamente rilegata che al loro interno contenevano, al posto delle pagine, solo carta straccia. I ricchi acquirenti potevano così esibire impegnative librerie cariche di testi senza correre il pericolo di doverli anche leggere.
Oggi è sufficiente farsi un giro sul web e approdare a questo sito. I suoi titolari affermano di poter coprire qualunque cosa: porte, armadi, frigoriferi, termosifoni e schermi tv. Ma coprire con cosa? Ma con false librerie. Ricolme di falsi libri.
Buona (falsa) lettura a tutti!


lunedì 23 gennaio 2012

Terracarne, di Franco Arminio (Mondadori)

Terracarne non è soltanto un resoconto, non è soltanto il diario di un viaggiatore o di un osservatore. Terracarne è una lunga autoanalisi, dove il confine già labile tra l’osservatore e l’oggetto osservato si frantuma, si confonde, si sbriciola.
Non c’è soluzione di continuità tra l’Autore e i luoghi che visita, i luoghi attraverso i quali passa, i luoghi che si sofferma a sentire.
Perché è proprio un sentire quello che Arminio mette in atto. Un sentire che va ben oltre i comuni sensi della vista, dell’udito, dell’olfatto. Un sentire che assomiglia a un sesto senso, che assomiglia a un’attitudine nascosta, come nascoste sono le attitudini non dei superuomini, ma degli uomini che soffrono.
Franco Arminio si lascia attraversare, nel corpo e nell’anima, dai territori, dai luoghi, dai paesi. Non compone relazioni, non scrive rapporti, non delinea piani d’azione. Semplicemente ascolta quello che l’aria, il freddo, il caldo, le case, le piazze, perfino le posture degli uomini e degli animali, gli trasmettono. Come il viandante di un romanzo picaresco incontra mirabolanti avventure, così Arminio riesce a trovare spunti e sensazioni da quello che può apparentemente sembrare un presente senza storia, un attimo di banale vita quotidiana, ma che in realtà nasconde autentiche rivelazioni. Rivelazioni ancora più autentiche nella misura in cui costituiscono il paesaggio umano e sociale, architettonico e urbanistico, a cui siamo abituati, senza renderci conto della sua anima spesso artefatta e artificiosa.
Arminio cerca senza sosta, chiede, pone domande, prende appunti, si sostiene con le armi della poesia, conduce una battaglia, una guerra con lo strumento della parola, con il mezzo della narrazione. Il risultato è uno spaccato della nostra quotidianità oscenamente sconvolta dalla distruzione dei nostri luoghi. I luoghi, i territori influenzano le nostre vite e le nostre vite, a loro volta, influenzano i luoghi, i territori. Quando non c’è il rispetto per un luogo, non c’è nemmeno il rispetto per chi, in quel luogo, ci vive.
Un libro.
Terracarne, di Franco Arminio (Mondadori).

giovedì 19 gennaio 2012

Un altro giro, sciamano, di Lucian Dan Teodorovici (aìsara)

C’è un senso nel legame che unisce un uomo e una donna? E’ qualcosa di unico,di speciale o, semplicemente, uno dei casi della vita? E, soprattutto, di quale vita?
I luoghi che fanno da sfondo a una storia, a un romanzo, possono diventare la storia stessa? Possono confondersi con la trama sino alla creazione di un unicum che vive di vita propria?
È proprio dalla fusione di questi elementi che Un altro giro, sciamano si trasforma in un reportage che unisce e fonde pubblico e privato, sentimenti e luoghi.
Come in un film di Corso Salani, dove i piani narrativi e creativi si saldano per mezzo della fusione tra documentario e narrazione, tra finzione e verità, così Lucian Dan Teodorovici crea, inventa, racconta, combina tra loro piani temporali e personaggi.
I dialoghi sono sempre sommessi, anche nei momenti più drammatici, quasi a rappresentare, per mezzo della parola, la rassegnazione e, forse, anche la rinuncia. Ma la rassegnazione e la rinuncia dei personaggi di Lucian DanTeodorovici non rappresentano la loro abdicazione alla vita, bensì l’unico modo che hanno per adattarsi alla sua complessità.
Ecco dove entra in gioco l’altro elemento fondamentale di questo romanzo: il luogo. Un est Europa il cui significato ci sfugge, almeno da quando il crollo della cortina di ferro ci ha tolto blindate certezze per far posto ai tanti luoghi comuni dell’emigrazione/immigrazione.
E questo romanzo contribuisce in modo fondamentale a farci comprendere una realtà che non conosciamo (non vogliamo, forse, conoscere). Un est Europa intriso ancora di tradizioni, forse arcaiche, che hanno attraversato il quarantennio comunista e ora fanno i conti (ormai da un quarto di secolo) con un capitalismo selvaggio e di plastica.
E’ questo lo sfondo dove si confrontano i personaggi di questo romanzo. Uomini e donne che cercano di parlarsi, di accostarsi, di desiderarsi.
Non c’è poesia in questo amore, non ci sono sdolcinati sentimenti, non ci sono confronti bergmaniani. Non c’è niente di tutto questo. E non c’è perché, per fortuna, i personaggi di questa storia sono persone vere sullo sfondo di un paese vero.
Un libro.
Un altro giro, sciamano, di Lucian Dan Teodorovici (aìsara).

martedì 17 gennaio 2012

L'ossessione per le parole e Officine Wort

L'ossessione per le parole sbarca alle Officine Wort (già organizzatori della  performance/romanzo totale Chi ha ucciso Lucarelli). Ne nasce una recensione che va al di là delle concezioni classiche libro/valutazione. Una recensione che si (con)fonde con la stessa struttura del libro recensito, a sua volta non definitivo, non prigioniero, non riconducibile a strutture conosciute. Recensione che riesce a penetrare il senso della narrazione, dello storytelling, quasi trasformando se stessa in parte di quella narrazione, di quello storytelling.
Il testo originale è qui.

Non è un vero romanzo, perché non racconta una storia. Ma fa riferimento a tante, tantissime storie, scritte in altri libri, rappresentate nei film, raccontate nelle canzoni. Quindi è più di un romanzo. E' qualcosa che vorrebbe raccontare tutte le storie del mondo, se solo fosse possibile aver letto tutti i libri del mondo o, semplicemente, aver letto tutti i libri che ci hanno incuriositi.
Perché un lettore in una libreria è come un bambino goloso di dolci in una pasticceria: non è mai sazio, non è mai soddisfatto, se potesse si porterebbe a casa metà del negozio.
Eppure bisogna scegliere, per mancanza di tempo o di disponibilità, quindi rimarranno tanti libri che non avremo letto, paragonabili a territori inesplorati su una carta geografica.
Difficile avere dubbi al momento dell'acquisto: è il libro a scegliere il lettore, e non viceversa. Perché il libro è più del mero oggetto che appare agli occhi del profano: il libro è come una creatura vivente. Perché trasmette vita, emozioni, sentimenti.
Un libro può far piangere, può far ridere, può far paura, può far sognare. Se la narrazione è efficace, si vedono davvero i paesaggi descritti, si avverte il clima in cui è ambientata la storia, si sentono perfino gli odori. Si vede la luce, si vede il mare. Si vedono le persone e gli animali. L'assassino, il detective, la ragazza bellissima, la mamma. O il tenero coniglietto piuttosto che la belva feroce, lo squalo divoratore.
Le parole nascono con noi, ci accompagnano per tutta la vita. Possiamo dimenticare a leggere, perdere addirittura la vista in seguito ad una disgrazia, ma le parole si sono impadronite di noi quando ancora eravamo piccoli. Se siamo stati così bravi da conservare tutti i libri letti durante la nostra vita, una visita alla nostra libreria rivelerà di noi più di quanto noi stessi potremmo effettivamente fare. Perché noi siamo quello che leggiamo, e quello che leggiamo è noi.
Cristina Orlandi

sabato 14 gennaio 2012

La resa di Roma (9 giugno 53 a.C., battaglia a Carre), di Giusto Traina (Laterza)

Ancora una volta Laterza ci propone un saggio dalla visione particolare. Non tanto per la sua trattazione, condotta in modo esaustivo, quanto e soprattutto per l'argomento. Ci sono momenti ed episodi apparentemente oscuri che, tuttavia, rappresentano il punto d'origine di un divenire che, per la sua successiva pregnanza, sarà determinante per il suo ripresentarsi quasi ossessivo.
Giusto Traina fa luce su una sconfitta dal simbolismo quasi profetico. Tutti noi abbiamo, sin dai testi di Storia del liceo, assistito a quel continuo confronto tra Roma e l'oriente persiano. I Parti prima e i Sasanidi dopo, hanno incarnato l'antagonista fondamentale dell'espansionismo romano al di là dell'Eufrate, verso quei luoghi come Babilonia, carichi di simboli e significati che vanno ben oltre la loro semplice caratterizzazione geografica.
Dalla lettura di questo saggio ben si comprende il motivo per cui la Persia sia sempre stata considerata, dall'establishment repubblicano prima ed imperiale dopo, come il vero nemico di Roma. Più ancora delle minacce che potevano provenire dalle terre al di là del Reno o del Danubio.
La Persia vista da Roma non come coacervo di bande di predoni, bensì come vera e propria struttura statale e speculare all'impero romano. Con la capacità, inoltre, di creare, nell'ideologia del potere e nelle tecniche militari, un pericoloso e preoccupante sincretismo di elementi occidentali e orientali.
Se la Storia è anche un insieme di simboli, non a caso la resa dei conti finale nel VII secolo tra i due avversari (l'impero romano nella sua versione bizantina e la Persia nella sua versione sasanide) lasciò così sfiancati i due eterni avversari, al punto di danneggiarne seriamente uno (Bisanzio) e far soccombere l'altro (la Persia), subito dopo, di fronte all'avanzata islamica.
Un libro.
La resa di Roma (9 giugno 53 a.C., battaglia a Carre), di Giusto Traina (Laterza).

Il dottor Kniebolo

Sale ovattate, che rilasciano vaghi aromi artefatti.
-Buogiorno.-
Scrivania indaffarata, colma di infastidite attese.
-Ho un appuntamento con il direttore editoriale.-
-Il dottor Kniebolo?-
-Sì.-
-Si accomodi. Quando sarà libero la chiamerò-
Silenzi plastici ottundono ogni rumore, ogni pericolosa confusione, ogni incontrollato respiro.
-Il dottore la può ricevere. Ora.-
Abito spezzato, forse confuso. Camuffato da sorrisi forzosi, celato da un simulacro di tuta spersonalizzante, condivisa dall’intera struttura.
-Abbiamo letto il suo manoscritto.-
Speranze anestetizzate riprendono a muoversi. Faticosamente.
-C’è una certa vivacità, originalità, singolarità.-
In piedi. Come uno scolaro che mendica sufficienze rancorose, come una recluta che paventa punizioni eterne.
-C’è un sentire che ci piace, che ci affascina.-
Soffice moquette che contrasta con l’ansia della gambe, dei piedi, del cervello.
-Si potrebbe pensare a una prossima pubblicazione.-
In piedi. Come un passante che guarda vetrine distratte.
-Ma, la prego. Si segga.-
Movimenti automatici, riflessi, dimenticati.
-Vedo che lei ha già pubblicato altro. Vedo che non è un esordiente.-
Certezze metabolizzate che ritornano oggetto di giudizi sommari.
-Vedo che però lei non ha profili sul web. Vedo che non ha ricevuto recensioni dai blog.-
Finestre che si aprono su paesaggi finti, vuoti, deserti. Alle spalle del direttore editoriale. Alle spalle del dottor Kniebolo.
-Vede, lei deve essere preso in considerazione anche e soprattutto da questo ambito. La recensione dei blog, il commento al suo status, il retweet fondamentale, l’hashtag sapiente. Dobbiamo condividere, viralizzare.-
Paesaggi che lentamente si perdono nell’imbrunire di una serata precoce. Alle spalle del dottor Kniebolo.
-Lei può scrivere, inventare, creare. Ma se nessuno la prende in considerazione sul web, lei, semplicemente, non esiste. Lei, semplicemente, non ha scritto, inventato, creato nulla.-
La notte è arrivata al suo culmine. Nel paesaggio incorniciato dalle finestre.
Alle spalle del dottor Kniebolo.

giovedì 12 gennaio 2012

La gamba sinistra di Joe Strummer, di Caryl Férey (edizioni e/o)

Bretagna. Luogo di miti arturiani e di rimandi letterari. Spazio che si trasfigura per mezzo delle nebbie tardo antiche in territorio di affermazione e resistenza di culture altrove sopraffatte. Terra senza tempo che fa da sfondo a contrasti ancora contemporanei fra una certa idea della Francia, che si arresta, forse, a Parigi e una visione altra di territori che dalla contemporaneità cercano di affrancarsi.
Ma l'apparizione di una definitiva visione della morte e della sofferenza (del fisico e dell’anima) strappa il sipario fatato con cui si ammantano le leggende per condurci infine in una storia che, paradigma dell’eterna lotta fra il bene e il male, utilizza lucidamente gli stilemi del noir e del polar (singolare affermazione letteraria francofona, portatrice di durezze spietate).
Ed è in questa terra che, come un protagonista di passate leggende, incontra il suo destino l’ex poliziotto Mc Cash. Irlandese, ex componente dell’Irish Republican Army, (the undefeatable army, l’esercito invincibile, come proclamavano i provisionals, i militanti della sua ala estrema), ex combattente in esilio, riciclatosi nella Sûreté Nationale, eroe britanno che, in fuga dai barbari Angli e Sassoni, trova rifugio appunto in Bretagna.
Ma quella Bretagna (ma quella Francia) sono ormai lontane anni luce dal tempo degli eroismi traslati nel mito. Omicidi, efferatezze, traffici ributtanti, gestiti dai nuovi guerrieri delle mafie internazionali e da mercenari senza patria, orfani di qualche sanguinaria guerra slava o caucasica.
Non è una douce France quella che fa da sfondo a La gamba sinistra di Joe Strummer, ma una Francia dalle atmosfere “cattive”, una Francia senza più grandeur e nemmeno conscia di essere periferia di un crimine globalizzato che viola senza sforzo frontiere che non oppongono (non vogliono, forse, opporre) alcuna resistenza.
Sedici capitoli. Ognuno dedicato a un brano dei Clash. La fredda violenza dei personaggi di Manchette cercava ancora qualche appiglio in qualche ferita postbellica non ancora rimarginata; i personaggi senza speranze di Izzo tentavano ancora comunque di illudersi. Gli uomini e le donne di Caryl Férey non hanno più (non possono più avere) né ideali, né illusioni.
Non sono state solo le nazioni che si sono arrese, ma anche le anime. E all’orizzonte non c’è nemmeno un riot, una jacquerie che possa cambiare le cose. Forse non rimane altro che stringere la mano di una figlia ritrovata, battendo il ritmo sul palcoscenico della vita, come
faceva Joe Strummer con la sua gamba sinistra.
Un libro.
La gamba sinistra di Joe Strummer, di Caryl Férey (edizioni e/o).

domenica 8 gennaio 2012

Il passaparola di un libro, le donne e gli amori

Passaparola: magica definizione, tocco alchemico, insondabile traguardo. Il tal libro ha venduto migliaia di copie grazie al passaparola, il tal autore è diventato di culto grazie al passaparola, scrisse il tal romanzo in perfetta solitudine poi, grazie al passaparola, le sue opere divennero l'insostituibile bagaglio di ogni lettore.
Passaparola: limite estremo e irraggiungibile, esoterico strumento di fama letteraria, coordinata fantasma senza fissa dimora.
Invidie adolescenziali e solitudini mature ci lasciano senza repliche di fronte a colui che, senza apparente fatica, deteneva e detiene la parola segreta per aprire il cuore delle donne. Similitudini acide traslano la fama letteraria in quella dell'uomo amante distratto e riluttante che, quasi con degnazione non voluta e subita e che si trasforma nella nostra definitiva sofferenza, ha il potere segreto e sconosciuto di accedere a territori che per noi sono soltanto invalicabili e berlinesi "checkpoint charlie" degni di una postbellica cortina di ferro e di piombo.
Altro non ci resta che scrivere romanzi e racconti clandestini, nutriti della nostra sconfitta, senza avere nemmeno mai il momentaneo sollievo di una giustificazione.

sabato 7 gennaio 2012

L'interfaccia

Ho vissuto troppo a contatto con l’interfaccia. Non me ne ero reso conto. Ora sì.
L’interfaccia è viva. L’interfaccia partorisce e crea. L’interfaccia si nutre.
Si nutre del mio sangue.
L’interfaccia edifica strutture. Sempre più alte. Sempre più invalicabili.
L’interfaccia alza il prezzo. Ogni ora. Ogni minuto. Ogni secondo. Sempre.
L’interfaccia costringe, obbliga, impone. L’interfaccia reprime.
L’interfaccia crea miti e li distrugge. L’interfaccia è falsa, ipocrita, simulatrice, inattendibile.
L’interfaccia è manipolatrice e trasformista.
L’interfaccia forgia simulacri nella bronzea evanescenza del nulla.
L’interfaccia innesta cordoni ombelicali nella carne dissolta e inchiavardata dentro una tomba fintamente felice.
L’interfaccia inietta nelle vene un siero artefatto che ti rende impermeabile all’indifferenza. Così produci di più. Produci di più per l’interfaccia.
L’interfaccia ha stampato sul viso il sorriso. Il sorriso della morte.

martedì 3 gennaio 2012

L'autore del giorno

E perbacco! Paperbog mi ha selezionato come autore del giorno. Grazie a tutta la redazione! (non lo so, ma mi verrebbe quasi da citare Andy Warhol a proposito di certi famosi quindici minuti... )

La stella di Ratner, di Don DeLillo (Einaudi)

Mi domando spesso se, nella scrittura di DeLillo, la trama rappresenti uno strumento, un mezzo, un escamotage, un lasciapassare per aprire visioni nascoste. C’è una sottile linea, spesso frazionata, ma non per questo meno decisa, nella struttura della sua narrazione. L’andare a ritroso di Underworld che, come la traiettoria di una palla da baseball, compie continui svisamenti temporali. La scrittura documentata di Libra, a metà strada tra una docufiction e la trilogia americana di Ellroy. I soliloqui densi di tragicità nascosta di Cosmopolis che, da soli, svelano una vita metropolitana definitivamente sfuggita al tentativo di classificazione compiuto dai minimalisti. L’apparizione di un linguaggio assassino che svela la forza terribile della parola, ne I nomi. Le immagini statiche di performances e di installazioni artistiche che dominano L’uomo che cade e, in parte, anche quella struttura teologica che è Punto Omega. Le figure di personaggi che incarnano, nella loro verbosità, i deliri di una cultura pop e underground che, come un fiume carsico, appare e ricompare nella vita americana, come in Rumore Bianco e Running dog, fino ad arrivare, con Great Jones Street al suo limite estremo, dove la vita e la morte collimano e collidono.
La stella di Ratner presenta, come un catalogo programmatico di personali ossessioni, tutte quelle costruzioni semantiche e simboliche che DeLillo vede ergersi nel paesaggio di un’America che, al di sotto di una crosta labile di apparente solidità, nasconde afflati di tragedia onirica. La figura del quattordicenne genio della matematica apre tutto un mondo di normale e condivisa follia dove, ancora una volta, è il linguaggio (questa volta quello matematico) a trasfigurarsi in codice indecifrabile, paradigma della nostra schiavitù verso la parola. Torme di scienziati che sembrano preda delle loro più ataviche follie, persi in una eterna costruzione di codici e di teoremi, personaggi secondari (autisti e personale di servizio) che si esprimono per mezzo di una afasia meccanica, e che rimandano a certi simulacri di phildickiana memoria.
Il tutto posizionato in un deserto assolato che ricorda le immagini californiane della miglior cinematografia noir e underground degli anni Settanta. Deserto nel quale, primogenitura di tutte le strutture e installazioni che faranno da sfondo al divenire linguistico dei personaggi dei suoi futuri romanzi, si erge il cicloide, edificio perfetto e insondabile che forse, come il monolito kubrickiano, rappresenta, ancora una volta, l'angosciosa e inquietante ostensione del Nulla.
Un libro.
La stella di Ratner, di Don DeLillo (Einaudi).