Ancora una volta Laterza ci propone un saggio dalla visione particolare. Non tanto per la sua trattazione, condotta in modo esaustivo, quanto e soprattutto per l'argomento. Ci sono momenti ed episodi apparentemente oscuri che, tuttavia, rappresentano il punto d'origine di un divenire che, per la sua successiva pregnanza, sarà determinante per il suo ripresentarsi quasi ossessivo.
Giusto Traina fa luce su una sconfitta dal simbolismo quasi profetico. Tutti noi abbiamo, sin dai testi di Storia del liceo, assistito a quel continuo confronto tra Roma e l'oriente persiano. I Parti prima e i Sasanidi dopo, hanno incarnato l'antagonista fondamentale dell'espansionismo romano al di là dell'Eufrate, verso quei luoghi come Babilonia, carichi di simboli e significati che vanno ben oltre la loro semplice caratterizzazione geografica.
Dalla lettura di questo saggio ben si comprende il motivo per cui la Persia sia sempre stata considerata, dall'establishment repubblicano prima ed imperiale dopo, come il vero nemico di Roma. Più ancora delle minacce che potevano provenire dalle terre al di là del Reno o del Danubio.
La Persia vista da Roma non come coacervo di bande di predoni, bensì come vera e propria struttura statale e speculare all'impero romano. Con la capacità, inoltre, di creare, nell'ideologia del potere e nelle tecniche militari, un pericoloso e preoccupante sincretismo di elementi occidentali e orientali.
Se la Storia è anche un insieme di simboli, non a caso la resa dei conti finale nel VII secolo tra i due avversari (l'impero romano nella sua versione bizantina e la Persia nella sua versione sasanide) lasciò così sfiancati i due eterni avversari, al punto di danneggiarne seriamente uno (Bisanzio) e far soccombere l'altro (la Persia), subito dopo, di fronte all'avanzata islamica.
Un libro.
La resa di Roma (9 giugno 53 a.C., battaglia a Carre), di Giusto Traina (Laterza).
1 commento:
Intensa, originale e utile riflessione, direi.
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