Finalmente! Finalmente un autore che non va in cerca del Grande Romanzo Americano, vetusto miraggio letterario che da sempre permea la narrativa del paese che è il paradigma dell'immaginario occidentale. Finalmente un autore che si smarca dall'imposizione pavloviana, comune a tanti altri narratori che scrivono negli States, di interpretare la contemporaneità, compiendo uno spostamento di pochi ma significativi anni e ambientando questa storia nei primi anni Zero del Terzo Millennio, producendo così una piccola ma eloquente trasfigurazione temporale che magistralmente dribbla il monolite dell'attacco alle Torri Gemelle, andando a scavare in quelle che sono le reali essenze della violenza bellica che impregna gli avvenimenti politici ed economici dei nostri giorni e cioè la prima guerra del Golfo (quella di Bush padre, madre di tutte le contaminazioni geopolitiche odierne) e la guerra civile iugoslava, primigenio apparire di un dio della guerra malvagio appena liberato dalla consunzione del mondo partorito dalla conferenza di Yalta, mondo che, nel pur folle bilanciamento delle testate atomiche, era riuscito a garantire una immobilità che aveva almeno incatenato i demiurghi delle pulizie etniche e delle soluzioni finali e dell'orrore. È l'orrore infatti il protagonista di questo romanzo, l'orrore che nasce da una quotidianità di personaggi segnati da guerre sanguinose e sanguinarie che hanno indelebilmente marcato questo Terzo Millennio che tutti avremmo pensato differente. Profughi bosniaci che hanno portato nel nuovo mondo tutte le ossessioni dei massacri balcanici, veterani di Desert Storm ormai persi in un eterno trip di pazzia che ricorda l'inferno mentale del phildickiano Un oscuro scrutare, isolati sceneggiatori di trame cinematografiche che mai avranno visibilità e che tentano di sopravvivere all'apocalisse della vita quotidiana, mentre cercano di raccontarla attraverso trasfigurazioni horror (come non ricordare The American Nightmare, l'imprescindibile documentario che interpreta l'horror come tentativo di narrare la deflagrazione della società americana a partire dal massacro di Bel Air del 1969, anno, guarda caso, della crisi della Summer Of Love, documentario la cui uscita precede di un anno il monolite dell'attacco alle Torri Gemelle), psicoterapeute nipponiche dall'erotismo estremo e dai serici capelli neri che appaiono come dee della vendetta, padri e madri della classe media ebraica intenti a stigmatizzare il fallimento delle loro relazioni matrimoniali affondate miseramente in un Middle West di paesaggi destrutturati. La trama del film horror che spezza i capitoli, fatica letteraria che sgorga dall'autoanalisi dell'io narrante, alla fine si impadronisce delle vite di tutti e al lettore appare così in tutta la sua magnificenza il demiurgo malvagio che in realtà ha sempre tirato i fili dei tragici personaggi imprigionati nei loro crudeli ricordi. Aleksandar Hemon fonde con geniale maestria la parola borgesiana di Danilo Kiš e la particolare scrittura di Donald Westlake e ne nasce questo L'arte della guerra zombi, romanzo unico, acuto, brillante, da leggere.
Un libro.
L'arte della guerra zombi, di Aleksandar Hemon (Einaudi).
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