Non solo Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares, Silvina Ocampo appartengono all’iconico universo della narrazione della pianura argentina e della sua genesi umana e letteraria che è Buenos Aires, città metaletteraria con il lunfardo e le vicende metafisiche di suoi porteňos. Altre visioni che coniugano pianura, metropoli e feedback narrativi tra anime e luoghi appaiono ora al lettore italiano. Calabuig, editore che sta compiendo un meritorio lavoro di scoperta di autori stranieri, lavoro ottimo anche dal punto di vista della traduzione, porta ora alla nostra attenzione Traslochi di Hebe Uhart. Autrice di racconti, forma espressiva che è caratteristica e segnale di quella brevità calvinista (nel senso dell’Italo Calvino delle Lezioni Americane) da sempre frutto della letteratura di quel Sudamerica che è fucina di storie letterarie che vanno spesso al di là dei loro stessi autori, la Uhart si esprime con Traslochi in un racconto lungo che varca la soglia del romanzo breve, diventando un unicum narrativo che risplende di rara capacità letteraria. Una saga familiare si scinde in altre saghe ancora, declinando quel lessico tragico e sognante che tracima nell’ossessione forse onirica di quel delirio che è orma, traccia della sofferenza umana. Nascite, morti, matrimoni, costruzioni e riattamenti di abitazioni, di stanze, di corridoi, aperture e chiusure di porte, finestre, delimitazioni di confini, di cortili, di proprietà si snodano in un divenire in cui le pietre e i laterizi, la calce e il cemento, si trasfigurano in potentissimi simboli freudiani della costruzione e al contempo della destrutturazione dell’inconscio collettivo di un destino, di una collettività, di una nazione che si sviluppa come luogo di immigrazione nascente dal sanguinoso e sanguinante confronto tra autoctonie amerinde, depositarie di millenarie sapienze, e conquiste europee custodi di apparati militari ed economici.
L’apparente linearità delle vicende che definiscono quest’opera si trasforma in via di accesso estremo che conduce il lettore oltre i semplici confini della quotidianità, accompagnandolo verso la complessa e mai conclusa definizione di un mondo che riflette se stesso e le sue eterne contraddizioni. La Buenos Aires borgesiana è qui sempre solo accennata, fondale mitico di speranze e delusioni, fortezza misterica che si staglia sullo sfondo di questi territori senza tempo, dipinti con i colori di una dolce dannazione pittorica che costruisce se stessa su inquietanti linee delimitate da luci e da ombre, da case e da deserti, da ossessioni e accettazioni dolorose, compiute e vissute con la stoica pazienza che si forma solo dalla sopportazione della durezza delle esistenze.
Traslochi non è soltanto una storia, bensì una vera e propria mappa della vita e dell’anima, mappa redatta con l’eterna forza di quella letteratura che soltanto il Sudamerica ci ha saputo dare e seguita ancora oggi a darci, con i suoi magici scrittori assisi nell’attesa di quell’eterna risposta celata nelle costellazioni dell’emisfero australe.
Un libro.
Traslochi, di Hebe Uhart (Calabuig).
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