Compimenti di trilogie che hanno in loro la significanza sacrale del numero tre, biblica genesi che riverbera segni che appartengono a quella notte dei tempi che appare nelle interpretazioni junghiane di sogni di raccapriccio in cui la parte più sepolta dell’inconscio collettivo, del cervello rettiliano di una contemporaneità collettiva affermata e negata assieme, è rappresentanza di mutazioni e movimenti di popoli indoeuropei dalla duméziliana definizione, protagonisti del primordiale mito ricorrente del viaggio, mito che trafigge fisica e metafisica. Tempi che si riannodano nel superamento dei limiti imposti da un sapere che va oltrepassato con l’immersione quantistica delle parole che si trasfigurano in strumento primevo e per questo irrinunciabile nell’interpretazione di un Tempo di Planck narrativo e narrante che va ben oltre la scintilla del Big Bang della presunta creazione, sino a giungere a confini estremi, a Bastioni di Orione, a Colonne d’Ercole, luoghi popolati da esseri mutaformi in mezzo ai quali l’Autore scruta una circolarità del tempo, dei tempi, che partorisce ancora ciò che ha già partorito e ciò che partorirà. Una bruma dantesca in perenne stato di oscillazione, trapassata da onde che sono al contempo particelle e particelle che sono l’affermazione e la sconfessione di un conoscibile che smentisce se stesso portando alla luce eternità di verità che riaffermano nel nulla il tutto e viceversa. L’Autore combatte la perenne sfida cui si è legato, toponimia della vita e della morte che si sviluppa tra i luoghi della sua infanzia e giovinezza fino a quella mappa di una Milano che è rappresentazione della metropoli antropofaga, in un autodafé perpetuo che racconta, assiso nel centro della catarsi dell’universo, il divenire delle testimonianze di una vita che forse è la sua e forse è quella di tutti, ma di quei tutti che ancora non sanno che nulla si è potuto conoscere, si può conoscere, si potrà conoscere. Alfiere estremo della parola scritta, messaggero del verbo nell’accezione assira di angelo, Antonio Moresco non teme ancora un volta, con gesto epico, di trasfigurare se stesso e di appalesare la propria anima in un infinito di immagini dove Giovanni Battista Piranesi incontra gli scorticati di Fragonard, nella realizzazione di un potentissimo affresco dell’universo fisico e metafisico degno di un demiurgo rinascimentale portatore di echi di un mazdeismo profetico, di una gnosi sapiente, demiurgo che al contempo è vittima e carnefice di quello scorticamento dei corpi e delle anime, gesto crudelmente necessario per giungere a quella meta agognata già da Giordano Bruno per la finale e ultima comprensione del luogo eterno in cui l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo si elidono e al contempo si creano.
Un libro.
Gli increati, di Antonio Moresco (Mondadori).
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