Luoghi eterni di materializzazioni di anime e passioni. Terre di confine tra una certa idea della Francia, forse alla Simenon e forse no, forse alla Quarta o Quinta Repubblica o forse alla eterni chansonniers alla Yves Montand (ah… quell’Ivo Livi dai completi in nero e camicia bianca kennedyani e dalla incarnazione/interpretazione magistrale di Z L’orgia del potere di Costa-Gavras), e la destrutturazione del noir marsigliese alla Jean-Claude Izzo e al rimando estremo di contaminazioni di zone di frontiera alla Francesco Biamonti, dove la narrazione si trasfigura in poesia portatrice di sentimenti immortali.
Alain Ducasse (che un giorno affermò che quando una portata raggiungeva estremi divini era suo uso non presentarla in sala, lasciandola al ricordo dei suoi creatori, ricordo ben più forte di chi l’avrebbe assaggiata e magari dimenticata) firma questo istante di caves, di boulangeries, di mercati, di mescite, di piccoli ristoranti, di socca e mules et frites, di gelaterie, di manifestazioni senza tempo del cibo e del vino, spesso nate dalla genialità e, perché no, dalla sofferenza, di immigrati di un Piemonte cuneese e astigiano e di una Liguria millenaria, che hanno trovato la loro perpetuazione nella contaminazione con le coste di quel Mediterraneo che va da quella Saint-Tropez di playboy Anni Sessanta fino alla Mentone dai ricordi bonapartisti e oltre, fin verso le porte di un Ponente ligure di attese e sentimenti.
Alain Ducasse compie un viaggio tra mare e entroterra misteriosi, venati dalle rimembranze provenzali di ritiri alla Frederic Prokosh e di studi cinematografici nizzardi dove La nuit américaine di Truffaut (con)fonde finzione e realtà.
Nessuna concessione al desueto e finto star system, bensì un cammino tra le memorie di un passato che sa reinventarsi nel presente la cui forza vitale è genesi di un'epopea contemporanea di passioni e genialità, dove terroir e cultivar sono definitivi lasciapassare per l’anima.
Un libro.
La mia Costa Azzurra, di Alain Ducasse (L’ippocampo).
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