Questo Vecchio Mondo, questa Europa, così ammantata di secolari tradizioni, di arte, di monumenti, di paesaggi infiniti, di guerre mondiali e sofferenze. Questo continente oggi meta di speranze e di immigrazione, imposte da tragiche mutazioni di economia globalizzata e di guerre sanguinose e dimenticate in paesi di decolonizzazione anni Sessanta preda spesso di gruppi di potere che si dividono ricchezze sulla pelle di popolazioni dagli occhi pieni di morte. Questa Europa che noi europei per primi sentiamo sempre un po’ da operetta, un po’ da Giochi senza frontiere alla Gennaro Olivieri e alla Guido Pancaldi, questa Europa da elites strasburghesi di burocrazie tecnocratiche, da forzieri svizzeri e da banlieues e da periferie britanniche alla white riot di clashana memoria. Questa Europa da giallisti scandinavi, da curie papali alla Roma senza Papa di morselliano ricordo, da pianure germaniche, da Ikea, insomma. Ed è questa Europa, che Tamerlano considerava solo una piccola penisola asiatica, che fa da sfondo a questo romanzo imperdibile. Romain Puértolas compone una sinfonia di voci disperate e ironiche, di avventure mirabolanti alla Alphonse Daudet a alla Jules Verne, di trame alla Dickens (il miglior Dickens del Circolo Pickwick, of course), di sentimenti e di esami di coscienza. Perché è un vero e proprio esame di coscienza quello che l’Autore, con la potenza di una trama solo apparentemente leggera, ma in realtà pregna di analisi sulla nostra contemporaneità, ci costringe a compiere, delineando un percorso picaresco che si snoda attraverso Francia, Gran Bretagna, Spagna, Italia, Libia, sponde eterne di quel Mediterraneo che Henri Pirenne vedeva come un lago, in compagnia di vendicativi taxisti gitani, di madri e figlie preda di immaginari da gossip televisivo estremo, di immigrati che vivono con stoica sopportazione le loro giornate alternativamente prigionieri di rimorchi di tir o di posti di polizia di frontiera, di attrici da red carpet festivaliero e da Promenade de la Croisette, di poliziotti britannici di origine indiana che sono più realisti del re e di editori e di agenti cinematografici che, a loro volta, sembrano buyer da milanese settimana della moda. Un esame di coscienza che, spronati da questa lettura, abbiamo il dovere di compiere sulla nostra realtà, sul nostro essere europei in questo istante storico così denso di contraddizioni pubbliche e private. E la grandezza di questo romanzo sta proprio nell'aver saputo declinare con grande maestria quel fine umorismo che è poi l’arma dei grandi scrittori.
Un libro.
L’incredibile viaggio del fachiro che restò chiuso in un armadio Ikea, di Romain Puértolas (Einaudi).
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