La sua creazione letteraria
attraversa paesaggi, profili urbani, strade, fondali inquieti e inquietanti.
Che rapporto esiste tra questi scenari, che definirei quasi come
necessari al divenire delle sue parole, e la sua anima di scrittore?
Tranne “La lucina” e “La
buca”, che sono ambientate nel mondo cosiddetto “naturale” (come se il resto
non lo fosse!), tutti gli altri miei libri si svolgono in ambiente
metropolitano. E’ il mondo che conosco meglio e nel quale vivo, nel quale
cammino fantasticando i miei libri o non pensando a niente. La grande città fa
sentire maggiormente a solitudine della vita e la dolorosa vicinanza a noi
stessi, ci accomuna in questa solitudine ai miliardi di esseri della nostra
specie che vivono nelle metropoli e megalopoli del mondo in questa epoca
oscura, finale o iniziale. Non si sa
mai bene cosa viene prima, se l’ambiente nel quale viviamo o noi stessi, se la
nostra anima o il mondo, ma probabilmente, a questo livello, non c’è un prima o
un dopo, posso concentrarmi e coincidere a tal punto con me stesso da sentire
il mondo premere contro le mie pareti, che a loro volta forzano e spostano la
pressione concentrata del mondo.
La sua è una struttura
narrativa che percorre il passato, il presente, il futuro accostandosi a temi
che trascendono la stessa narrazione, trasfigurandosi in manifestazioni che
perforano e mutano la stessa forma classica del romanzo, avvicinandosi a realtà
sanguinose, virtuali, carnali. È come se la parola scritta si trasformasse in
strumento per la cognizione, attraverso la sua ostensione, anche e soprattutto
di ciò che sembra andare oltre ad essa: la rete, il web, l’underground di certe
visioni pop, di certe universalità di infinita crudeltà. La parola scritta è
ancora lo strumento primario per la comprensione della complessità dei tempi?
Non lo so se, in generale, è
ancora lo strumento primario. Per me lo è. La parola scritta è in fondo la meno
controllata, in questa epoca, proprio perché si crede che non conti niente
rispetto ad altri linguaggi, perché si crede che basti il suo accumulo
orizzontale per operare la cancellazione. Per me invece la libertà verticale e
la complessità che può passare al suo interno è ancora superiore a ogni altra
forma di linguaggio, puramente visivo o di altro tipo. Ciò che passa -o meglio
che può in alcuni rari casi passare- attraverso la parola scritta è a mio
parere più diretto, più potente, più libero, più verticale, più strutturato,
più avventuroso, più ardimentoso, più indomabile, più inaspettato... La parola scritta,
così elementare e così plastica, così inerme e così irriducibile, è una cruna
attraverso cui può passare qualcosa d’altro, che può portare anche noi da
un’altra parte, così altra che magari non riusciamo neanche a immaginare.
Credo che chi scrive e chi
legge sia, anche a livello inconscio, all’eterna ricerca di quel romanzo, forse
impossibile, che possa comprendere il tutto, che possa essere quasi definito il
romanzo universo. Leggendola negli anni mi sono convinto che la sua opera
persegua proprio questo fine, un fine affascinante, quasi misterico nella
descrizione dell’umana tragicità. Pensa che questo romanzo universo possa
essere il fine ultimo della volontà che l’umanità ha di raccontare e di
raccontarsi?
Non lo so. In genere non sai
bene quello che stai facendo, mentre lo fai. Tanto più se stai camminando lungo
strade poco battute. So solo che, con l’uscita de “Gli increati” sono a un giro
di boa del mio lavoro di scrittore e della mia vita, che in quel libro tutto
quello che ho fatto finora compie un salto di piani e di dimensione, che verrà
a mancare il terreno di conoscenza cui siamo abituati e che ci ha portati in un
vicolo cieco.
La sua opera è quasi una
mappa che definisce la misura del rapporto tra l’essenza disperata della
singolarità e il manifestarsi quasi minaccioso della collettività, spesso in
eterna opposizione, in perpetua lotta tra loro. Qual è la sua posizione su
questa mappa?
Io mi sono spesso sentito
come un marziano rispetto agli altri, nella mia vita, fin da quando ero un bambino,
e anche dopo, sempre. Mi è molto difficile, mi è sempre più difficile vivere in
un mondo di merda simile, dove ogni cosa non è quello che sembra e che dice di
essere, dove ogni cosa ti delude, dove l’unica forza di gravità è verso il
basso, mai verso l’alto.
Il suo personale momento
della scrittura, della creazione letteraria, in quale rapporto è con l’insieme
di ciò che ha già scritto e pubblicato?
E’ tutto legato, il magnete è
unico.
Qual è la sua modalità di
scrittura? Scrive al pc, a mano?
Ho scritto quasi tutto a
mano, sempre. Più del novanta per cento di quello che ho scritto ha una sua
prima stesura manoscritta. Scrivo al pc solo cose brevi o che devo fare in
fretta, risparmiandomi la fatica e la pena di decifrare poi la mia minuscola e
incomprensibile calligrafia.
Quali sono, se ci sono, gli
autori, le opere, che l’hanno in qualche modo influenzata? Che cosa legge
Antonio Moresco?
Sono tanti i libri che ho
amato da quando, a trent’anni, ho cominciato veramente a leggere come si
dovrebbe leggere sempre: con le spalle al muro. L’Omero dell’”Iliade”, gli
storici antichi, Dante, Cervantes, Shakespeare, Murasaki, e poi i grandi
romanzieri moderni, Melville, Dostoevskij, Tolstoj, Kafka… Ma sono anche
assetato di autobiografie ed epistolari, di pittori, poeti, pellerossa,
avventurieri, scienziati, puttane. Ho appena finito, ad esempio, di leggere
l’autobiografia di Tyson (“True”), molto disarmata e sincera, che ci fa capire
in che razza di cloaca di mondo ci troviamo a vivere.
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