Deliziose e definitive
simulazioni che tessono una trama che va al di là della realizzazione
dell’opera dell'Autore, opera che trasfigura da sempre se stessa da veicolo
descrittivo in strumento, mezzo, particella eterna di un universo che vive e riproduce
se stesso tra gli specchi (ustori?) di affascinanti malie che fondono echi borgesiani, sentimenti feroci, vitalità estreme e tragiche escatologie. Universo dove la parola non si limita alla pur fatale descrizione, ma va ben oltre il suo
stesso ruolo, sino a giungere alla enunciazione di un vero e proprio atto
creativo cosmico.
Tassonomia letteraria che prende le mosse da realtà
che sono (diventano) finzione e da finzioni che sono realtà, esercizio
definitivo di narrazione estrema che conduce verso orizzonti che fluttuano sornioni
in quella interzona del creato letterario, interzona gravida di demiurghi tragici che osservano e
plasmano strutture narrative che si palesano lentamente nella definizione dei
confini del cosmo narrativo, allo scopo di superare quegli stessi, nella
dimostrazione ultima dell’infinito percorso della narrazione. Palesamento di
stimmate borgesiane imprescindibili, terra di mezzo narrativa tuttavia bolaňiamente
determinata, carta geografica uno a uno di un impero della parola, lotteria
fantastica nella cui esibizione vengono domate e condotte alla ragione
persino travalicazioni ucroniche phildickiane.
La letteratura
nazista in America è tassello
irrinunciabile nel e del mosaico bolaňiano, è tessera preziosamente cesellata
di quel domino (di quell’universo) narrativo che termine non può mai avere se
non nel suo impercettibile e tuttavia irrevocabile crollo organizzato da quel suo stesso autore/demiurgo, crollo che
ha lo scopo ultimo della e nella dimostrazione dell’orrore atavico che alberga da
sempre in quella gnosi misterica e indicibile che è l’umanità.
Un libro.
La
letteratura nazista in America, di
Roberto Bolaňo (Adelphi).
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