Ormai da tempo, parlando di
libri non ho bisogno di essere guidato nelle mie scelte. Ma, anni fa, il
titolare di una libreria mi mise in mano una copia di Altra gente e mi disse “questo è un libro che dovrebbe piacerti”. E
ci volle poco, nel passare da Altra gente
a Territori londinesi, per capire che Martin Amis era uno
scrittore che con la follia e l’inquietudine ci sapeva fare. Amis non ha
nessuna remora e nessuna paura nel confrontarsi con tutto quello che potrebbe
cadere sotto la mannaia del politically correct. Anzi, Amis costruisce le sue
storie proprio prendendo spunto da quelle che sono le zone più segrete e
inconfessabili del nostro animo. E La
vedova incinta non fa eccezione. Lievemente moralista come Rohmer ma anche
e soprattutto spietato come un romanziere russo dell’Ottocento, Amis gioca qui con
i corpi dei suoi personaggi e con la loro inevitabile resa dei conti con le
mode, i cliché e l’inarrestabile scorrere del tempo. Personaggi descritti come prigionieri di una
corporeità e di una sessualità totalmente influenzate dalle mode culturali e
dalle parole d’ordine di un certo modello imposto a partire dagli anni
Sessanta. Personaggi che, loro malgrado, inscenano, durante una vacanza in un
castello italiano nel 1970, un carnale autodafé che, alla fine, farà piazza pulita
di tutti i luoghi comuni (progressisti o conservatori o giornalistici che dir
si voglia) che, come spade di Damocle, pendono sul complicato rapporto fra
amore e sesso. Il sesso, nella scrittura di Amis, inteso come grande
livellatore; di fronte alla sua insopprimibile forza non possiamo aggrapparci a nessuna idea
politica o religiosa, a nessun conformismo o anticonformismo. Siamo tutti solo
marionette. Marionette dentro una storia.
Un libro.
La vedova incinta, di Martin Amis (Einaudi).
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