Elementi esternalizzati che si interiorizzano nell’animo,
sino a divenire metafore, segni, significati, come quella cecità di Saramago che
vulnera l’umanità o quel morbo velenoso di Camus che annichilisce lo spirito di una comunità. Elementi
esiziali, paralizzanti che sono messaggeri di ulteriori crepe, di altre fenditure
che lentamente frantumano vite apparentemente banali, ma di quella banalità che
è sempre anteprima angosciante di futuri orrori. Stimmate definitive di disagi
che invalidano e che sono, al contempo, semina e frutto del passato e del
presente. Stimmate che vanno però intese in una disanima più ampia, che possa
anche allontanarsi dall’effetto apparentemente immediato degli avvenimenti. Christian
Frascella con questo Il panico quotidiano
scrive e descrive non soltanto il divenire di sofferenze intimamente connesse
con l’anima, ma dipinge un affresco dei nostri anni, sapientemente fondendo l’appalesarsi
della afflizione coartata nei labirinti interiori dell’io narrante con quella
afflizione condivisa e dimorante in modo ancor più palpabile nei rapporti umani
e nella rete sconnessa e sfilacciata di una società che non sa garantire più
nulla. I personaggi di Frascella sono protagonisti dolenti di una collettività
postindustriale in cui la disarticolazione dei rapporti sociali è il riverbero
angosciante della disarticolazione dei patti che per decenni avevano regolato
il mondo del lavoro. Romanzo industriale quindi, ma non certo nell’ottica di
quello che così fu definito, quello che ebbe i suoi narratori in Volponi o in
Ottieri. Romanzo industriale contemporaneo, che si affranca dalla semplice
descrizione delle dinamiche della fabbrica, perché quella descrizione senso non
ne può più avere. Romanzo che riesce a comprendere come la sofferenza
tragicamente indotta dalle mutazioni che hanno trasfigurato la classica
definizione di “fabbrica” intesa come luogo paradigmatico del lavoro sia
passata dalla sua primigenia dimensione sociale, lavorativa, sindacale (condivisa
per decenni in un patto sociale che ora non è più), superando i confini di un
ambito politico che ha abdicato alla sua funzione di compensatore del conflitto
sociale, a una dimensione forzosamente privata. Ed è ormai in quella dimensione
privata e individuale che si è spostato quel conflitto che, privo ormai di
ammortizzatori collettivi, dilaga distribuendo fratture insanabili in un ambito
personale e solipsistico ormai patologizzato senza speranza. La classe operaia
non è andata in paradiso e l’operaio Massa non ha più una piazza in cui urlare
il suo disagio. Il volantino che
annuncia una sciopero è stato sostituito dal bugiardino di una confezione di
benzodiazepine.
Un libro.
Il panico quotidiano,
di Christian Frascella (Einaudi).
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