Tanti, quasi infiniti, sono i
romanzi che hanno per oggetto questa angoscia, questa afflizione, questa dolce
e terrificante sofferenza. Come non pensare al John Fante di Chiedi alla polvere o a quel monumento
assoluto dell’avventura totalizzante dello scrittore che è il Martin Eden di Jack London.
92 Giorni,
di Larry Brown, rappresenta un’altra solida pietra che va ad aggiungersi a
quelle che hanno, nel tempo, costruito quel compatto edificio innalzato con il
racconto delle vicende di chi cerca, pur annaspando nell’incertezza della vita,
di rimanere con disperazione ancorato alla convinzione delle parole che scrive.
92 Giorni
non è l’epifania sicura del futuro successo letterario che talvolta troviamo
nella certezza di certi scritti di Hemingway o di Henry Miller, no. 92 Giorni porta in sé il peccato
originale di quel tranquillo sconforto che tanta parte ha in certe pagine di
Carver, di Bukowski, di Brautigan.
Una narrazione affilata che
non lascia spazio al superfluo, all’inutile, ma che invece guarda senza timore
alcuno in quell’abisso di fallimento e di entusiasmo che costituisce, deve
costituire, il necessario nesso causale che porta chi scrive ad essere comunque
parte del mondo, ma di quella parte che lotta per non subire, di quella parte che lotta semplicemente per
raccontare.
Consigliato assolutamente a
tutti coloro i quali hanno un libro nel cassetto.
Un libro.
92 Giorni, di Larry Brown (Mattioli 1885).
Un libro.
92 Giorni, di Larry Brown (Mattioli 1885).
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