Non so se la memoria dei ricordi vada seguita con analitiche valutazioni. Credo invece fermamente nell'affabulazione affastellante delle sensazioni.
Anni Settanta... circostanza temporale dal colore cupo o, forse, vivace. Rimembranza faticosa di adolescenziali inizi, di disarticolati tentativi, di embrioni di passioni che il futuro di una maturità disattesa ha cancellato.
Forse un juke-box estremo, a guardia di un ferragosto ligure, mentore di acerbe e irraggiungibili bellezze femminili e ossessivamente ripetitivo di un brano di Donna Summer o di Umberto Tozzi può essere esaustivo più di un saggio sul secolo breve. La PFM ritmata dalle bacchette di Franz Di Cioccio che fa a gara con la voce tenorile e forse un poco accusatoria di Francesco Di Giacomo del Banco, le camicie di lino e i jeans con i camperos, i comunicati delle Bierre, la facce sudate dell'eterno Ninfeo di Villa Giulia, le copertine della Bur di John Alcorn, la prime letture, la pianura soffocante di afa.
E poi il viso sghembo di un assessore alla cultura che inventa cose che colorano le pagine delle cronache culturali de L'Espresso e di Panorama e che ingigantiscono l'illusione di un adolescente che vive tra Piemonte e Lombardia e che si diverte a leggere le cronache letterarie e culturali con l'ingenuità di un Martin Eden di provincia.
Il ricordo è tutto qui.
Addio a Renato Nicolini.
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