Romanzo per signora è il tuo
quinto romanzo, il quarto con Feltrinelli. Che ruolo interpreta nella tua
produzione?
Lo ritengo il mio miglior
romanzo, mentre lo scrivevo sentivo che c’era una svolta, che era uno
scavalcamento, come se dopo una salita faticosa fossi arrivato in un altipiano.
La svolta è verso una scrittura più rilassata, dove non mi pongo più
l’obiettivo di stupire, di colpire al fegato. Forse mi sono liberato della
sindrome di Peter Pan, ecco. Scrivendo avevo voglia di raccontare, col gusto e
il piacere di farlo e di divertire il lettore facendolo. L’obiettivo insomma
era fare il possibile per scrivere trasmettendo affetto al lettore.
Molti sono i piani narrativi sui quali fai sviluppare
la trama. Il rapporto con i ricordi, il decadimento fisico e la malattia, una
visione della provincia, trasfigurata semanticamente anche e soprattutto con il
ricorso ai termini dialettali e che diviene paradigma della magmatica
confusione dei nostri tempi. Le stesse vite dei personaggi che fai muovere tra
un presente che si snoda tra Nizza e Vigevano e un passato, quello dell’io
narrante, che si fonde con le vicende della letteratura italiana degli anni
Ottanta presagiscono forse una sorta di resa dei conti con il passare del tempo?
Eh sì, in effetti si, credo
che abbia a che fare con la fine della sindrome di Peter Pan di cui dicevo più
sopra: la maturità mi è piovuta addosso tardi e tutta assieme, e allora mi sono
reso conto che dovevo mettere a posto delle cose, mettere in ordine il mio
passato, le cose che mi sono state care, che mi hanno formato sin qui.
Il decadimento fisico è
qualcosa di cui ho cominciato a rendermi conto da poco. La differenza è che ora
è come se stessi perdendo un pezzo alla volta. Un infortunio lascia strascichi.
Un malanno non lo supero completamente, ne esco meno forte di prima. La memoria
non è più efficiente. Insomma la decadenza è qui, non terribile ma
inequivocabile. Allora ho pensato di “lavorarci”, di “ragionarci”, insomma di scriverci
su per cominciare a confrontarmici sul serio, proiettandomi nei momenti in qui
tutto ciò sarà incombente, assillante, oppressivo.
In Romanzo per
signora è presente, quasi sottotraccia, mimetizzata con la narrazione, una
forte e pregnante analisi della letteratura italiana degli ultimi vent’anni del
secolo scorso, che conduci con riferimenti a movimenti letterari, libri e
autori reali. Un’analisi che riporti poi alla finzione narrativa con la figura
inquietante e inquieta di Leo Meyer e con l’inserimento di un romanzo nel
romanzo (non diciamo di più per non svelare altro a chi deve ancora leggere il
tuo libro). E inoltre voglio ricordare anche le intense, toccanti e veramente
commoventi parole che scrivi nella dedica ai tuoi amici scrittori. Le domande a
questo punto sono due: cosa rappresenta Leo Meyer e quanto c’è in questo
romanzo della tua esperienza di scrittore?
Leo Meyer è una controfigura
(abbastanza riconoscibile) di PierVittorio Tondelli. Non è lui, perché ha un
percorso e una vita diversa, e soprattutto una personalità molto meno amichevole
e generosa di PVT, ma ci sono moltissimi e voluti punti di contatto (l’esordio
nei primi 80 con un romanzo generazionale, l’essere gay, il diventare il
“rappresentante ufficiale” di una generazione…). Mettiamola così: è un mio
omaggio a Tondelli, ma senza la protervia di spingersi a rappresentarlo tal
quale, parlando davvero di lui. E gli ho reso omaggio perché PVT è stato lo
scrittore grazie al quale ho iniziato a leggere Letteratura (la “elle”
maiuscola non è un mistyping) e grazie al quale ho acquisito la consapevolezza
di poter e saper scrivere.
Delle mie esperienze di
scrittore, invece, c’è davvero poco. C’è qualcosa delle mie esperienze di
lettore, piuttosto, e cioè una parte della narrativa che ho amato, e parlo
senz’altro di quella degli anni 80, ma anche della tradizione recente italiana,
quella dei 50-60 (tanto che anche ad altri autori viene dedicato un omaggio
diretto, in parte anche stilistico, e penso soprattutto a Piero Chiara). Però
c’è poi molto altro, una specie di “storia” della narrativa (ed editoria)
italiana dai 50 a
oggi, ma vista dagli occhi di chi ci ha lavorato dentro, cioè Cesare, io
narrante, che è stato direttore editoriale in “casa editrice”. Voglio dire che
il suo modo di vedere le cose (libri, autori, gusto e giudizi di valore) non
coincide necessariamente con il mio.
Moltissime sono le citazioni soprattutto stilistiche
con cui rendi omaggio ai tuoi autori preferiti. Ce ne vuoi parlare? Magari dando
un aiuto ai tuoi lettori per identificarle? E che importanza hanno avuto questi
autori nella tua formazione letteraria?
Ecco, come dicevo nella
risposta precedente: ci sono omaggi più o meno palesi, talvolta veri e propri
cameo, che mi sono molto divertito a
infilare ovunque.
Per esempio un paio di
capitoli hanno un tono e un gusto molto alla Piero Chiara (penso a quello in cui Cesare ricorda le gite sul Ticino con la Franca , da studenti). Di
Chiara si cita anche un racconto (Il fungo trifola). Ci sono citazioni (qualche
riga, non di più) di battute tipiche di P.G. Wodehouse (peraltro attribuite
anche nel testo al suo autore, esplicitamente). Leo Meyer si chiama come il
protagonista di Camere Separate di Tondelli. Pepita Scintilla e l’editor
Bourguignon che convivono nella stessa pagina sono un hommage a un personaggio
indimenticabile (Pepita Bourguignon appunto) de La Carta e Il Territorio di Houellebecq. E le
altre (moltissime) ve le lascio trovare…
Un’ultima domanda. Mino Milani una volta mi disse che
lui a scrivere si divertiva moltissimo, mentre un giorno ascoltai Sebastiano Vassalli
affermare che lui invece non si divertiva affatto. E tu?
Mi diverto quando scrivo di
qualcosa che mi piace. Con Romanzo per
signora mi sono divertito quasi sempre, sono poche le pagine “necessarie”
alla costruzione. Il resto è tutto un raccontare che esce dal cuore. E credo
che questa felicità, questo piacere lo senta anche il lettore. E’ come una
buona fragranza che sale dalle pagine.
(Pubblicato anche su La poesia e lo spirito)
(Pubblicato anche su La poesia e lo spirito)
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