La terra, l’acqua, il passato, il presente, la vita. Le vite. Le nostre vite.
La terra, quella fatta di sabbia, di sassi, di polvere, sulla quale ogni giorno poggiamo i nostri piedi distratti, è forse l’unica cosa che ci rimane. Su questa terra camminiamo trascinandoci dietro il nostro passato, fatto di sconfitte, di umiliazioni, di insuccessi.
E, appoggiandoci altrettanto distrattamente a questo passato, contaminiamo anche il nostro presente. E lo contaminiamo con il nostro disprezzo, anche questo distratto e forse, proprio per questo, senza speranza.
Chi scrive sa che le parole sgorgano dall’amore e anche dall’odio per le proprie radici.
Tullio Avoledo ci porta tutti all’interno di una storia semplice e terribile.
Semplice nella sua descrizione, quasi assuefatta, come assuefatti siamo tutti noi, che queste storie le sentiamo ogni giorno, senza più alcuna emozione.
Terribile nel suo essere paradigma del male. Di quel male che ci ha ormai abituato alla sua presenza.
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