martedì 30 agosto 2011

La parola alla lettrice

Per un libro, per un autore le recensioni sono importanti. E lo sono ancora di più quando arrivano dai lettori. Lei è una mia lettrice, molto attiva sul web. La potete trovare su Twitter e su Tumblr. Qui ha parlato di me, di quello che scrivo e di come lo scrivo. Ma ho detto anche troppo e quindi lascio la parola alla lettrice.

In inglese l’espressione ‘You can’t judge a book by its cover’ intima di non giudicare un libro dalla copertina: un monito che dovrebbe anche essere esteso al titolo, visto che anche quest’ultimo può tradire, illudere e deludere con le sue subdole promesse. “Notte di Nebbia in Pianura”, il romanzo di esordio di Angelo Ricci, mi aveva attratta proprio per questi due motivi: la copertina, che mostrava un lampione e tre sagome umane, appena visibili attraverso una cortina di nebbia, e il titolo, che già da solo era bastato a ri-trasportarmi ai nebbiosi e bui inverni del nord-est padano dove sono cresciuta. Ve lo dico subito: ogni promessa è stata mantenuta.
Fin dalla prima pagina, questo breve romanzo - 118 pagine in tutto - trascina il lettore nel brodo umido e nebbioso di un inverno padano, e gli ricorda che ‘la nebbia ti piace perché ci sei nato dentro’. Troviamo un uomo, un capannone giallo (‘le porte erano di un verde smorto’) e una sorta di asta in corso. Una ad una, capitolo dopo capitolo, ci vengono presentate diverse sagome umane tra la quali distinguiamo: un ex-avvocato diventato televenditore, un delinquente di periferia - detto Sticazzi - dal continuo turpiloquio interiore ed un maresciallo dell’Arma in procinto di arrestare una tale Anna Sandri.
Non è facile descrivere ciò che esprime questo romanzo e soprattutto il perché riesca ad esprimerlo. L’autore stesso, intervistato su ‘Il Recensore’ dichiara di non credere: ‘alla letteratura che lancia messaggi e/o parole d’ordine.’ E infatti, man mano che ci creiamo un varco tra le varie sezioni all’apparenza disconnesse della storia, è inevitabile chiedersi quale sia il nesso tra i vari personaggi, quale sia,ovvero, il loro scopo. Lentamente - seppure i ritmi siano relativi in un’opera così breve - le connessioni appaiono, scorse a malapena attraverso la nebbia che Ricci crea volutamente nell’esposizione - flusso di coscienza, ricordi, dialogo interiore, flashback – il tutto senza introduzioni o spiegazioni; una nebbia che, insomma, sta a noi dipanare.
Se non è presente un messaggio ben definito, sono però ben chiari gli stati d’animo dei personaggi secondari che Angelo Ricci descrive: disagio, squallore, solitudine e isolamento.
L’ex-avvocato che vende quadri, anzi, ‘croste’, in televisione, è costretto comunque a giustificarsi della sua scelta di carriera poco ortodossa (‘E perché fa questo lavoro da falliti? Perché non fa l’avvocato?” - “Perché non mi piace”); l’obeso recentemente diventato orfano di madre, è condannato a vedere continuamente immagini riflesse della sua adorata maestra elementare in tutte le donne che incontra. L’effetto comico del parossismo delirante di Sticazzi - a mio avviso il personaggio più riuscito tra tutti - non riesce comunque a celare completamente la rabbia intrappolata del teppistello di provincia, ovvero il senso di inferiorità nei confronti dei ‘vincenti’ locali (“un fuoristrada del cazzo di quelli guidati da quei mezzi uomini, fighette con le mestruazioni, che facevano l’università a Pavia. Ma andate a lavorare....”). E sapendo che secondo i criteri della nostra società attuale, i ‘vincenti’ sono i vari Panza e Braghenti, berlusconiani protagonisti di “NdNiP”, ritratti mentre si giocano le rispettive quote aziendali durante una partita a carte in compagnia di due ‘ballerine’ dell’Est, l’amarezza di fondo di Sticazzi sembra ancora più centrata.
Non voglio svelare l’unica vera e propria svolta nella trama di questo romanzo; gli habitués della narrativa post-moderna riconosceranno il modello in cui le varie ramificazioni della storia si intrecciano lentamente per poi riunirsi alla fine, con risultati non sempre chiarificatori . La vera forza di quest’opera non consiste nella trama, ma nei personaggi. Lo Sticazzi, che un critico ha trovato particolarmente offensivo a causa del linguaggio scurrile, è semplicemente memorabile nel suo uso del linguaggio vernacolare e ricorda Emil Minty aka ‘Yours Truly’ in ‘Infinite Jest’ di David Foster Wallace: in entrambi i casi, si lascia parlare il personaggio, dando spazio al suo monologo interiore. Se quest'ultimo sa solo usare un linguaggio scurrile, così sia. Al critico offeso chiederei se veramente si aspetta che un sociopatico ubriaco e criminale parli come un catechista.
‘Notte di Nebbia in Pianura’ è un romanzo breve (quasi un racconto), dalla forma innovativa, e dai tratti esperti e maturi; sicuramente l’autore ha il talento necessario per un vero e proprio romanzo  in cui i personaggi possano trovare lo spazio per svilupparsi e prendere pienamente vita. Mi auguro quindi che Angelo Ricci sia già al lavoro su una nuova opera, perché a giudicare dall’esordio, questo è certamente un autore di cui sentiremo parlare in futuro.

giovedì 25 agosto 2011

E nella notte mi apparve Gay Talese

Peregrinazioni senza fine nella letteratura americana alla fine mi conducono ad un punto cristallizzato nella notte afosa di un anticiclone definito come africano. La notte non è tanto uno spazio temporale, quanto e soprattutto un luogo. Un luogo molte volte abitato da affabulazioni che rivendicano, e a ragione, quell'attenzione che il giorno prosciuga nella sua nevrotica autoreferenzialità, spesso senza senso. Gay Talese appare all'improvviso sugli schermi tardivi di qualche emissione televisiva, completo azzurro aviatore e panama, e legge un testo. Siamo a Roma, a qualche festival letterario. Non mi soffermo sul nome, sul luogo, sulla manifestazione, conscio di una borgesiana disattenzione, produttiva comunque di affascinanti sottintesi. I luoghi, le occasioni, a volte, non sono significativi. Significative sono le parole. Sempre.
Ci sono autori, libri, che insegui da sempre, che segni su qualche ingenua agendina, nell'attesa di un incontro con le loro parole che, forse, non avverrà mai. Qualche ritaglio ingiallito, di qualche terza pagina ormai estinta da tempo, mi aveva interessato a quell'italoamericano che scrive. Onora il padre, sorta di reportage scritto dall'interno (da vero e proprio undercover agent) delle famiglie della nuovayorkese cosa nostra, e La donna d'altri, analisi sulla coazione sessuale di una società, quella americana (americana nel senso di Usa, la parte per il tutto), dove sesso e mercificazione del corpo assurgono ad icona del postmoderno.
Postmoderno... postmoderno, definizione affascinante, che copre, forse, il nulla. Talese, faccia segnata da rughe di sapienza (di pazienza, forse) legge un testo a questa platea romana, platea da notte culturale spesa in qualche basilica imperiale. E dice che gli italoamericani hanno, da sempre, fatto fatica a parlare di se stessi con lo strumento del romanzo, della narrazione. Dice che Scorsese ha confessato di sentire più congeniale l'immagine che non la parola. Dice che DeLillo (uno dei più importanti, se non il più importante, degli scrittori italoamericani) non ha mai scritto una storia che avesse per protagonista, appunto, un italoamericano. Aspetto che citi John Fante, ma non lo fa o sono io ad essere poco attento. Ma, forse, non ha importanza. Scorsese, Coppola, registi, maestri di una parola trasfigurata nell'immagine filmica e non scritta. Forse, nel nuovo continente, abbiamo da sempre rinunciato a raccontarci con la parola scritta. Talese, nella sua rigidità tranquilla, da maestro di scuola che ha tentato, comunque, di insegnarci qualcosa, saluta e se ne va.

martedì 23 agosto 2011

Gli Aculei di Salerno

Gli appassionati di letture storiche hanno adesso una nuova opportunità. Salerno, editore specializzato in testi storici colti e di grande interesse ha inaugurato una nuova collana, Aculei, diretta dallo storico e scrittore Alessandro Barbero. Con la collana Aculei la storia si apre ai grandi temi che riverberano i loro effetti anche nella nostra contemporaneità. La storia, quindi, non solo come luogo di incontro per gli addetti ai lavori, ma come palestra di idee e di confronto tra passato e presente e che coniuga divulgazione e preparazione scientifica.
Il progetto grafico della collana è stato curato dallo studio Bayer+Conti+Associati.
I primi titoli sono:
I Templari e la Sindone. Storia di un falso, di Andrea Nicolotti
Luxuria. Eros e violenza nel Seicento, di Oscar Di Simplicio
Cristiani perseguitati e persecutori, di Franco Cardini
Faccia da Italiano, di Matteo Sanfilippo

Di prossima pubblicazione:
Fare la pace. vincitori e vinti in Europa, di Sergio Valzania
Caccia alle streghe, di Marina Montesano


mercoledì 17 agosto 2011

E gli ippopotami si sono lessati nelle loro vasche, di William S. Burroughs e Jack Kerouac (Adelphi)

La foto di copertina è già tutta un programma. Burroughs e Kerouac immortalati nel 1953 da Allen Ginsberg in un interno nuovayorkese, seduti tra improbabili tappezzerie e ottomane dai motivi vagamente orientaleggianti. Due autori per un libro, un romanzo, una prova, un esordio che prende le mosse da un fatto realmente accaduto. Un fatto di sangue, di sopraffazione, di regolamento di conti sentimentali confusi e terribili. Come nella migliore vulgata postmoderna i personaggi si confondono con gli avvenimenti. Gli stessi due autori diverranno famosi dopo aver scritto questo romanzo e nonostante questo romanzo. Romanzo che, come in un racconto borghesiano, comincia a vivere di vita propria, trasformandosi in merce di scambio, in oggetto di controversie legali, in incubo da lasciar chiuso dentro a un cassetto. Ma, al di là del libro e della storia che racconta, sono gli avvenimenti stessi a marcare le vite dei loro protagonisti e di quelli che, in qualche modo, ne vengono a conoscenza. Come un testo per iniziati che più deve rimanere segreto, più assurge ad oggetto di attenzione ossessiva. Tutti, prima o poi, ne vengono a conoscenza, perfino un giovane fattorino del “New Yorker”, di nome Truman Capote. Fiume carsico che appare e scompare per poi ricomparire ancora, la storia che è narrata da questo romanzo ha attraversato tutta la seconda metà del Ventesimo secolo, apparendo in parte in saggi e romanzi e film e ora, trascorse traversie degne di un feuilleton, “l’assassinio che diede alla luce la Beat Generation” può essere letto nella sua interezza.
Burroughs e Kerouac gigioneggiano, si dissociano, si mimetizzano, fanno un po’ gli scrittori beat e un po’ i nipotini di Dashiell Hammett, ma lo fanno nel modo che ci si aspetterebbe da loro. James Grauerholz è il curatore di tutta la faccenda, oltre ad essere stato amico di quasi tutti quelli coinvolti nella storia e, tra i suoi agenti letterari, c’è anche quella vecchia volpe di Andrew Wylie.
Un libro.
E gli ippopotami si sono lessati nelle loro vasche, di William S.Burroughs e Jack Kerouac (Adelphi).

giovedì 11 agosto 2011

Ti ucciderò mia capitale, di Giorgio Manganelli (Adelphi)

Una silloge di scritti inediti che continua quella scrittura infinita che è l’opera di Giorgio Manganelli. Tanti sono i riferimenti, i punti di tangenza, le ascendenze che prendono forma e vita quando ci si avventura (perché di vera e propria avventura si tratta) nel mondo letterario e virtuosamente virtuale dell’Autore di Hilarotragoedia.
Un paesaggio onirico, venato da incursioni dotte, ciniche, lussuose e mirabolanti. Franz Kafka seduto silenziosamente accanto ad un sornione Jorge Luis Borges, mentre Ennio Flaiano fuma il toscano con aria indifferente alle spalle di un Achille Campanile che si crede un intruso e, a guardar bene, forse alla parete è appesa anche l’effigie di Antonin Artaud. Un parterre des rois che presiede ad una affascinante affabulazione; affabulazione che si snoda immersa nella scenografia, a volte granguignolesca, a volte eterea, di una sorta di museo anatomico delle nostre anime alle quali Manganelli, con consumata sapienza, fa assumere pose inquietanti, come quelle che assumono gli Scorticati di Fragonard.
Non si resti stupiti da Ti ucciderò mia capitale. Non è una scoperta che confligge con l’opera manganelliana perché semplicemente ne rappresenta la naturale prosecuzione. Prosecuzione verso il compimento di quella narrazione radente che, alle trame artefatte e artificiose, preferisce di gran lunga la ricerca di quel ritmo e di quella armonia che altro non sono se non il rumore sottile della prosa. 
Un libro.
Ti ucciderò mia capitale, di Giorgio Manganelli, (Adelphi).

martedì 9 agosto 2011

Wu Ming, Twitter e Facebook

L'antefatto è qui. Io ci scrivo una storia. Eccola qua.


Aeroporto François-Noël Babeuf, Decade III, Primidi di Termidoro dell’Anno CCXIX della Rivoluzione


-Allora, vi prego di spiegarmi in fretta di cosa si tratta.-
-Vedete, cittadino…-
-Ho già visto anche troppo ed esigo spiegazioni.-
-Dicevo…-
-Mi avete fatto interrompere una visita di Stato. Spero ci siano ragioni plausibili.-
-Ecco, cittadino… Il Direttorio ha ravvisato un problema.-
-Di che si tratta? Avanti, cittadino…Parlate!-
-Si tratta dell’invenzione di quello scienziato che abita nelle ex colonie inglesi d’oltreoceano.-
-Ebbene?-
-Vedete, cittadino, tempo fa utilizzammo appunto una sua invenzione.-
-Per farne cosa? E perché non ne sono stato informato?-
-Non pensavamo fosse necessario. Era una questione di… ecco… di propaganda politica.-
-Da quando in qua non mi si informa di tali questioni? Credo che il Direttorio mi debba un minimo di gratitudine… o no? Ne convenite anche voi… o debbo desumere che non sia così?-
-Certamente… cittadino.-
-Allora… che aspettate? Parlate!-
-Ecco, cittadino… quello scienziato americano ha scoperto un nuovo mezzo… un mezzo dove, raffigurandovi in effigie, migliaia di cittadini possono vedervi e leggere i vostri proclami e manifestare il proprio attaccamento alla vostra persona.-
-Continuate.-
-Ora… cittadino, è inopinatamente apparsa un’altra invenzione, di altri due scienziati, sempre delle ex colonie inglesi d’oltreoceano.-
-Ebbene?-
-Vedete… cittadino, con questa invenzione è possibile scrivere piccoli proclami, frasi di poche parole, e non è nemmeno necessario ricorrere a effigi molto grandi.-
-Quindi?-
-Ecco... cittadino. I nostri avversari, coloro i quali vi contestano, hanno iniziato a scrivere questi piccoli proclami con questa nuova invenzione e…-
-Continuate!-
-E noi, a differenza del mezzo dove voi apparite in effigie, mezzo dove appaiono solo i vostri proclami… ecco… qui non riusciamo a cancellarli.-
-Che significa “non riusciamo a cancellarli”?-
-Significa che… non possiamo avere il controllo di questa nuova invenzione.-

Da un rapporto interno della Gendarmeria Nazionale.
Si rende noto che, da alcune notti, appaiono delle scritte sui muri di Parigi. Tali scritte raffigurano, il più delle volte, questi due tipi di messaggio:
#vivalarivoluzione
#abbassoildirettorio

lunedì 8 agosto 2011

Della brevità e lunghezza dei romanzi

Leggo e cito da corriere.it:
Mai troppo lungo. Così da poter essere iniziato e terminato nel tempo di una pausa pranzo o lungo il tragitto in tram che porta da casa al lavoro. Tablet, ebook reader, smartphone sono i nuovi strumenti tecnologici che consentono al libro di essere letto non solo ovunque ma anche in un modo diverso. «Più rapido - spiega Giovanna di Rosario, docente di Letteratura elettronica all'Università di Jyväskylä (Finlandia) - sia per adattarsi agli interstizi liberi della quotidianità che a un'attitudine mentale più impaziente e protesa verso una risposta immediata, un'attitudine che ereditiamo dalla cultura di Internet».  
A tal punto che il tempo di lettura può ormai diventare un criterio di classificazione delle stesse opere e che, esaltate dalle potenzialità del digitale, le forme narrative (come il racconto lungo o il saggio breve) sembrano addirittura risorgere a nuova vita. Divide, ad esempio, i suoi testi in base alla «durata», il sito longreads.com: da meno di 15 minuti (sotto alle 3.750 parole) a più di 60 minuti (oltre le 15 mila parole). Sempre su Internet, testimonia la nuova tendenza alla lettura breve anche smartnovel.com, sito francese che resuscita l'ottocentesco modello del feuilleton, riproponendolo in una serie di puntate digitali separate. E riprende anche vigore la tradizionale pubblicazione su rivista. Come nel caso di Altrisogni, e-magazine di narrativa fantastica che ai «racconti lunghi» dedica un'apposita sezione. L'esigenza di una forma narrativa più estesa di una short-story, ma più breve di un romanzo, è stata d'altra parte intercettata anche a un livello più istituzionale: pochi mesi fa Amazon ha lanciato nel suo negozio online Kindle Singles ovvero una sezione dedicata a singoli racconti, saggi e romanzi brevi «lunghi due volte un servizio del New Yorker, tanto quanto un paio di capitoli di un libro tradizionale».
Testi che potrebbero conquistare un pubblico nuovo. Lo stesso che viene guardato con interesse anche dai giornali, per l'eventuale diffusione (e vendita) degli articoli dallo stile più lungo. In Italia a saggi brevi e racconti si dedica la casa editrice 40k (40 mila le battute massime dei testi, da cui il nome). «Siamo partiti circa un anno fa e i risultati sono ottimi - testimonia il fondatore Marco Ghezzi -. Solo un mese fa l'autorevole sito Brain Pickings ci ha indicato come una delle sette piattaforme che stanno cambiando l'editoria».
Prendo le mosse da questo articolo del Corriere e mi pare di poter affermare che, come sempre, non c'è nulla di nuovo sotto il sole. Già in Inghilterra, alla fine del XIX secolo, il nascente fenomeno del pendolarismo (impiegati che dai sobborghi si recavano in treno per lavorare a Londra) fece calare il numero delle pagine dei romanzi. Le grandi ed eroiche narrazioni fiume dei vari Dickens, Dumas, Stendhal, Hugo, Tolstoj, avvezze ad essere pubblicate a puntate su giornali e gazzette o ad essere divise in più fascicoli che i carretti delle biblioteche ambulanti portavano nei più sperduti villaggi, mal si adattavano al lettore pendolare che, per leggere, aveva a disposizione solo il tempo del viaggio e non poteva certo portare con sé tomi di centinaia di pagine. Nasce il romanzo agile, da viaggio, che riduce le proprie pagine e, di conseguenza, il proprio ingombro.
La letteratura e il romanzo si adeguano da sempre a queste variabili (che sembrano, di primo acchito, estranee alle tematiche strettamente "letterarie"), dilatandosi e restringendosi come fanno i binari al passaggio dalla stagione calda a quella fredda.
Ma nulla rimane immutato, tanto meno nel mondo del romanzo (e delle sue dimensioni). Leonardo Sciascia ci ha dato romanzi brevi e brevissimi che, con pochi tratti, illustrano le incertezze e i drammi di un'intera nazione. I postmoderni americani invece, in pieno XX secolo, si esibiscono nel revival del romanzo fiume Ottocentesco.
E così, in una continua dimostrazione dei vichiani corsi e ricorsi, il romanzo procede comunque per la sua strada (più o meno ferrata, a seconda dei pendolarismi di volta in volta in auge).
Noto tuttavia, nell'articolo del Corriere, un elemento affascinante e che denota come le umane cose prendano sempre pieghe inaspettate. E cioè come si imputi la nascita dell'attuale esigenza di brevità narrativa proprio al prender piede degli e-reader i quali, invece, potrebbero tranquillamente contenere decine e decine di romanzi fiume. Forse che il supporto digitale, che può annullare tutta la pesantezza e l'ingombro della carta, spinge invece i suoi fruitori a rinunciare a questo vantaggio in omaggio al sempreverde adagio mcluhaniano "il mezzo è il messaggio" (la carta intesa come mezzo pesante e quindi adatta per il romanzo lungo; l'e-reader inteso come mezzo leggero e quindi adatto per il romanzo breve)?
Mi rimane una sola curiosità. Sapere chi riuscirà a battere in brevità il famoso racconto, già brevissimo, di Stephen King (peraltro autore di romanzi di centinaia di pagine): "L'ultimo uomo sulla Terra è in casa. Bussano."

venerdì 5 agosto 2011

Crazy Friend. Io e Philip K. Dick, di Jonathan Lethem (minimum fax)

Philip Dick appartiene ormai da tempo al mondo delle icone. Icone della fantascienza, della letteratura, della cultura pop. Qualunque serie televisiva dedicata in qualche modo alla sci fi, è debitrice delle sue visioni. Basti pensare a quante volte le sue tematiche siano presenti in quella vera e propria flotta seriale che è Star Trek o a come il tema claustrofobico del rapporto vita presunta/morte apparente trovi asilo in Life on Mars, tanto per fare due esempi fra i tanti.
Gli autori li incontri attraverso i loro libri, le loro parole. Ogni incontro con un autore è, a suo modo, un’avventura. E se il simbolo, a volte, diviene rappresentazione stessa della realtà, il mio primo incontro con l’opera di Philip Dick è stato indiretto, come avrebbe potuto fare il personaggio di un suo romanzo che si fosse trovato, suo malgrado, a dover comunicare, attraverso due dimensioni spaziotemporali spezzate, per mezzo di messaggi televisivi criptati o di scritte sui muri. Emanuele Carrère e la sua biografia romanzata Io sono vivo e voi siete morti. Philip Dick, 1928-1982: una biografia mi fecero scoprire un intero universo parallelo.
Era un’estate non troppo calda, un’estate di incontri e scoperte libresche importanti, alcune delle quali poi non hanno avuto un seguito; proprio come, a volte, accade nella vita. Ma il mio ricordo di quell’estate va alla scoperta di quella miniera letteraria che era il mondo dickiano.
Anche Jonathan Lethem racconta, in questo libro che sarebbe troppo definire romanzo e troppo poco definire saggio, il suo rapporto totalizzante con la figura di Dick.
Crazy Friend non è (non può essere) un’opera imparziale. Le opere imparziali si compongono con freddezza, algidamente. Crazy Friend è un tributo che uno scrittore dedica ad un altro scrittore, ma un tributo che diviene lentamente una cover, uno spin off. Fino al punto in cui l’Autore raggiunge una sorta di fusione della propria personalità con quella del suo idolo letterario.
È come se Lethem stesso si trovasse al di là di uno dei tanti e allucinatori giochi di specchi dickiani. Due vite si confondono, quella di Lethem e quella del suo idolo e voi, mentre leggerete, vi troverete, senza nemmeno accorgervene, a vivere in uno dei tanti universi dickiani che cadono a pezzi.
Un libro.
Crazy Friend. Io e Philip K. Dick, di Jonathan Lethem (minimum fax).

mercoledì 3 agosto 2011

Il raduno manganelliano prossimo venturo

Un sogno comune da realizzare
di Lietta Manganelli
Da tempo stavo pensando a un raduno di manganelliani. Un fine settimana durante il quale studiosi, studenti, amanti e appassionati di Manganelli a qualsiasi titolo e livello, potessero incontrarsi, conoscersi, scambiarsi pareri e conoscenze, visionare trasmissioni televisive ormai storiche, ascoltare trasmissioni radiofoniche spesso dimenticate, insomma un incontro durante il quale ognuno possa raccontare il "suo" Manganelli.
Molte sono state le risposte positive che mi hanno spinto a cercare di realizzare concretamente questo progetto.
Dalla fine di Agosto un esperto del settore si occuperà di reperire una location a costo zero. Ora però è necessario conoscere il numero delle adesioni, per poter iniziare a programmare il tutto.
Se vi interessa, se volete partecipare, inviate una e-mail all'indirizzo manganelli@delam.it. Sarete contattati personalmente.
Grazie.
Lietta Manganelli.

lunedì 1 agosto 2011

Greil Marcus a Mantova

E' sempre un'ottima cosa portarsi avanti con il lavoro e quindi farete bene a segnare sin da ora questo appuntamento sulle vostre agende: il 10 settembre Greil Marcus sarà al Festival della Letteratura di Mantova. Pronunciare il nome di Marcus fa sempre un certo effetto, specialmente a tutti quelli che amano le contaminazioni fra letteratura e musica. Greil Marcus, che è stato tra le firme di Rolling Stone e The Village Voice, nel 1975 dà alle stampe un libro che, ancora oggi, è considerato una vera e propria pietra miliare della critica musicale: Mystery Train. Ristampato più volte, è tuttora oggetto di studio in molti corsi universitari statunitensi. In Italia fu pubblicato una decina di anni fa da Editori Riuniti.
Ma la data del 10 settembre sarà significativa soprattutto per i dylaniani. Infatti Marcus parlerà della raccolta dei suoi scritti su Bob Dylan, scritti che coprono un arco di tempo che va dal 1968 al 2010 e che, proprio a settembre, vedranno la pubblicazione della traduzione italiana a cura di Odoya.