Alessandro Barbero è docente di storia medievale presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi del Piemonte Orientale "Amedeo Avogadro" (Vercelli).
Unisce all'attività di ricerca storica anche l'attività di scrittore che, con il romanzo Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle gentiluomo (Mondadori), gli è valsa nel 1996 la vittoria al Premio Strega.
Molti dei suoi saggi storici sono stati pubblicati da Laterza: Dizionario del Medioevo (scritto con Chiara Frugoni); Carlo Magno: un padre dell'Europa; Terre d'acqua. I vercellesi all'epoca delle crociate; La battaglia. Storia di Waterloo; 9 agosto 378. Adrianopoli il giorno dei barbari; Barbari. Immigrati, profughi, deportati nell'impero romano; Benedette guerre. Crociate e jihad; Lepanto. La battaglia dei tre imperi. Il suo ultimo romanzo è Gli occhi di Venezia (Mondadori).
Nota al pubblico televisivo è la sua collaborazione con Piero Angela nella trasmissione Superquark.
Nel panorama editoriale italiano, sia da parte degli editori specializzati che da parte di quelli generalisti, esiste da sempre un’interessante produzione di opere storiche, dal saggio al libro più o meno di divulgazione. Secondo lei c’è sufficiente attenzione, da parte del pubblico dei lettori italiani, per le opere di argomento storico?
A me pare di sì, anche se con qualche stortura. La stortura consiste in questo, che da sempre (o almeno dai tempi della Storia d'Italia di Montanelli) le uniche opere di argomento storico che raggiungono tirature veramente popolari sono quelle di divulgatori dal volto noto, la cui competenza purtroppo è spesso scarsissima: una divulgazione altrettanto accessibile, fatta da storici veri, oggi comincia a esserci, ma non raggiunge un pubblico altrettanto ampio. La saggistica storica di qualità ha comunque un suo pubblico, che le permette di essere pubblicata e di stare in libreria, ed è già qualcosa, anche se in un paese poco colto come il nostro questo significa poi che tirature anche solo di due o tremila copie sono considerate un successo...
Lei, oltre ad essere un autore di saggi storici, è autore anche di romanzi (penso a Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle gentiluomo, edito da Mondadori, con il quale vinse il Premio Strega nel 1996). Sulla base della sua esperienza, nella composizione di un saggio storico è importante (e, se sì, quanto) riuscire a fondere l’aspetto più propriamente specialistico con l’aspetto narrativo?
Se per saggio intendiamo un libro rivolto a un pubblico di non specialisti, ebbene sì, la capacità narrativa è importante. Lo scopo è di appassionare e di farsi leggere, e il non specialista legge sì per informarsi, ma anche per il proprio piacere, e questo è perfettamente legittimo. Va da sè, però, che gli storici sono legittimati (anzi è un loro preciso dovere) a pubblicare anche opere di ricerca, scritte per gli specialisti e nel loro linguaggio, senza alcun obbligo di badare alla piacevolezza, folte di note a pié di pagina e di citazioni in lingue morte: è così che va avanti la ricerca, e guai se non fosse così. Questo tipo di libro a volte è snobbato come se fosse una cattiva azione o una forma di arretratezza da parte degli storici scrivere così, e questo è assurdo. Nessuno se la prende con i fisici nucleari perchè i loro articoli sono pieni di formule astruse e sono difficili da leggere a letto prima di addormentarsi, e gli storici hanno diritto allo stesso rispetto quando fanno ricerca; l’importante è che siano anche capaci di fare divulgazione.
Conoscere la storia, divulgare la storia, può avere una funzione sociale? Può, in qualche modo, contribuire alla crescita civile di una società?
Ovviamente sì, e a molti livelli. Intanto la conoscenza è sempre e comunque un vantaggio, in tutti i campi, e la civiltà si misura dalla diffusione della conoscenza in genere. Nello specifico, conoscere la storia significa avere un patrimonio di esperienze che va al di là della propria limitata esperienza di vita, significa sapere cosa è successo ad altri uomini in situazioni che possono essere molto diverse dalla nostra oppure presentare delle analogie, e quindi è un allenamento a giudicare la bontà delle decisioni, a individuare i rapporti tra le cause e gli effetti; è in questo senso che si può imparare dalla storia, anche se naturalmente per imparare qualcosa bisogna volerlo. Ancora: conoscere la storia significa sapere quali sono le origini delle nostre istituzioni, delle nostre leggi, delle nostre idee, dei nostri pregiudizi; significa essere capaci di mettere la realtà attuale in prospettiva e non considerarla come data e immutabile, ed è quindi una conoscenza indispensabile per orientarsi criticamente nel mondo e per aprire gli orizzonti mentali. Ultimo: in un paese come il nostro, dove non si impara mai niente ma non si dimentica neanche niente, dove il passato continua ad essere pretesto di spaccature e di fazioni, conoscere la storia dovrebbe servire ai cittadini per non abboccare troppo facilmente, per non farsi prendere in giro da chi la storia la reinventa a seconda dei bisogni politici del momento.
Tra gli storici, è ancora forte l’influenza della Scuola delle Annales?
Come effetto di quel grande insegnamento, il divenire storico è ormai analizzato con l’ausilio dell’archeologia, dell’economia e perfino della meteorologia. Ma, per lo storico che analizza un avvenimento, un periodo, un’era, quanto conta il fattore umano (le passioni, i miti, le inclinazioni caratteriali) dei protagonisti e, perché no, delle masse?
La storia è sempre e comunque storia di uomini, e questo i grandi fondatori delle Annales lo sapevano benissimo. E' stato Marc Bloch a scrivere che lo storico è come l’orco delle fiabe: va dove sente odore di carne umana. Le eruzioni o le glaciazioni interessano allo storico solo in quanto incidono sulla vita umana. E dunque anche una storia fatta di numeri e di statistiche sarà sempre e comunque storia di uomini. Del resto, credo che anche gli economisti tengano in gran conto gli umori della gente e i livelli di ottimismo o pessimismo quando cercano (faticosamente) di scoprire le cause dei cicli economici...
In Terre d’acqua. I vercellesi all’epoca delle crociate, edito da Laterza, lei racconta la vicenda affascinante di un piccolo pezzo dell’Italia Nordoccidentale, partendo dal quale i marchesi del Monferrato riuscirono addirittura ad avere un posto nella storia bizantina. La storia locale (naturalmente analizzata con metodi specialistici) è un universo finito o è intrecciata con la storia più ampia di un popolo, di una nazione, di un continente?
Ovviamente la storia locale è sempre parte di un insieme più ampio, ed è per questo che se fatta da specialisti, e non da eruditi locali, è sempre interessante, anche per chi con la località in questione non ha alcun rapporto affettivo. Sottolineo l’opposizione fra specialisti ed eruditi locali (intendendo con questo una figura che oggi in verità è meno diffusa, lo “studioso” che non ha alcuna formazione al mestiere e perciò si improvvisa, senza sospettare che non è così facile) perché fa parte del mestiere saper individuare ciò che è veramente interessante. Che Napoleone abbia dormito una notte nell'osteria del paese, tende ad apparire all’erudito locale come l’evento più importante nella storia del luogo, mentre si tratta di un fatto assolutamente insignificante; per contro, nei verbali del consiglio comunale ci sono probabilmente informazioni, che so, sull’elezione del tesoriere della confraternita, o sull’appalto dei pascoli comunali, che messe in parallelo con quelle provenienti da tanti altri luoghi permettono di ricostruire pezzi importanti della vita del passato. Anche una storia avvenuta in un luogo minuscolo e che coinvolge persone assolutamente qualunque può allora rivelarsi eccitante e permettere allo storico di trarre conclusioni significative; è il principio della microstoria, che è una delle correnti più importanti della storiografia del tardo Novecento.
Oggi siamo diventati tutti spettatori. La televisione, i giornali, internet ci travolgono con l’attualità e la ridondanza degli avvenimenti e delle informazioni. Siamo tutti seduti in poltrona a guardare la “storia effettiva”. La nostra quotidianità, la nostra personalissima “storia immobile” e “sociale” hanno ancora un significato? Hanno ancora una loro originalità? Oppure sono ormai plasmate “in diretta” da chi quelle continue informazioni ci comunica?
Bisogna stare attenti a dire “oggi” e a dare per scontato che “ieri” fosse tutto diverso. Chi nell’Ottocento rifletteva sulla diffusione e l’autorevolezza dei giornali aveva l’impressione della stessa rivoluzione che oggi percepiamo di fronte ai nuovi media. La vita di ogni uomo, con la rete dei suoi pensieri, dei suoi rapporti umani e dei suoi interessi, e la vita della società, formata dalla somma di tutte le vite individuali, sono sempre state e saranno sempre due dimensioni diverse, che però s’intrecciano profondamente. Cambia da un’epoca all’altra, da una società più progredita a una più arretrata, il livello di conoscenza che il singolo può avere della dimensione collettiva, la sua capacità di intervenire in quest’ultima in modo attivo e consapevole, ma cambia senza mai ridursi a zero, da un lato, e dall’altro senza mai giungere ad annullare la distinzione fra l’io individuale e la società, nemmeno nel caso d’un dittatore onnipotente e onnisciente.
L’invenzione della stampa a caratteri mobili ha avuto conseguenze rivoluzionarie. Da autore, lei crede che le nuove frontiere digitali e dell’ebook potranno avere conseguenze sulla nostra percezione del libro e della lettura? E gli autori saranno costretti a mutare la loro espressività?
Finchè le parole sono al centro dell’espressione, i cambiamenti ovviamente ci sono, ma all’interno di un orizzonte che è sempre quello: non c’è nessuna differenza di fondo fra comporre oralmente un verso dell’Iliade nel 700 a .C. e digitare un messaggino sul cellulare nel 2011. Il cambiamento del supporto, dalla memoria al papiro o alla pergamena manoscritta, poi alla carta stampata e poi allo schermo, non è fondamentale. Scrivere non per la stampa, ma per internet potrebbe invece avere delle conseguenze innovative per certi tipi di scrittura, ad esempio proprio quella del saggio storico specialistico: immagino un e-book in cui la nota a piè di pagina che rimanda alla fonte d’archivio è in realtà un link che permette di visionare direttamente il documento citato. Ci si arriverà, probabilmente, e sarà un reale progresso.
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