Peregrinazioni senza fine nella letteratura americana alla fine mi conducono ad un punto cristallizzato nella notte afosa di un anticiclone definito come africano. La notte non è tanto uno spazio temporale, quanto e soprattutto un luogo. Un luogo molte volte abitato da affabulazioni che rivendicano, e a ragione, quell'attenzione che il giorno prosciuga nella sua nevrotica autoreferenzialità, spesso senza senso. Gay Talese appare all'improvviso sugli schermi tardivi di qualche emissione televisiva, completo azzurro aviatore e panama, e legge un testo. Siamo a Roma, a qualche festival letterario. Non mi soffermo sul nome, sul luogo, sulla manifestazione, conscio di una borgesiana disattenzione, produttiva comunque di affascinanti sottintesi. I luoghi, le occasioni, a volte, non sono significativi. Significative sono le parole. Sempre.
Ci sono autori, libri, che insegui da sempre, che segni su qualche ingenua agendina, nell'attesa di un incontro con le loro parole che, forse, non avverrà mai. Qualche ritaglio ingiallito, di qualche terza pagina ormai estinta da tempo, mi aveva interessato a quell'italoamericano che scrive. Onora il padre, sorta di reportage scritto dall'interno (da vero e proprio undercover agent) delle famiglie della nuovayorkese cosa nostra, e La donna d'altri, analisi sulla coazione sessuale di una società, quella americana (americana nel senso di Usa, la parte per il tutto), dove sesso e mercificazione del corpo assurgono ad icona del postmoderno.
Postmoderno... postmoderno, definizione affascinante, che copre, forse, il nulla. Talese, faccia segnata da rughe di sapienza (di pazienza, forse) legge un testo a questa platea romana, platea da notte culturale spesa in qualche basilica imperiale. E dice che gli italoamericani hanno, da sempre, fatto fatica a parlare di se stessi con lo strumento del romanzo, della narrazione. Dice che Scorsese ha confessato di sentire più congeniale l'immagine che non la parola. Dice che DeLillo (uno dei più importanti, se non il più importante, degli scrittori italoamericani) non ha mai scritto una storia che avesse per protagonista, appunto, un italoamericano. Aspetto che citi John Fante, ma non lo fa o sono io ad essere poco attento. Ma, forse, non ha importanza. Scorsese, Coppola, registi, maestri di una parola trasfigurata nell'immagine filmica e non scritta. Forse, nel nuovo continente, abbiamo da sempre rinunciato a raccontarci con la parola scritta. Talese, nella sua rigidità tranquilla, da maestro di scuola che ha tentato, comunque, di insegnarci qualcosa, saluta e se ne va.
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