Africa, continente martire dello sfruttamento coloniale prima e di ben due decolonizzazioni poi, decise a tavolino da un Occidente che l'ha geopoliticamente trafitta con faziose e artefatte linee geometriche criminalmente incuranti dei popoli, delle tradizioni millenarie, delle costumanze consolidate e di collettività sperimentate da secoli, partorendo, come un demiurgo malvagio, stragi, olocausti, torture, omicidi di massa, pulizie etniche e orribili soluzioni finali nate da un'improvvisata e imposta unificazione di popolazioni da sempre antagoniste e da una altrettanto improvvisata e imposta divisione di comunità da sempre unite.
La prima decolonizzazione del 1960 ha il colore delle divise dei mercenari katanghesi, del sangue dei politici democratici africani assassinati, delle uniformi stirate dei dittatori africani imposti dagli interessi occidentali. Ha il colore giallo e verde delle pellicole dei Mondo movie che danno in pasto alle platee cinematografiche europee, tranquillamente assise in poltrona, il raccapriccio di una inaudita violenza offerta sul vassoio di un finto documentarismo e di una malcelata nostalgia del potere bianco.
La seconda decolonizzazione del 1975 ha il colore dei garofani che i militari portoghesi infilano nelle canne dei loro fucili al momento della loro ribellione al regime di Salazar, ma porta con sé ancora altri dittatori, altri interessi occidentali e stavolta anche sovietici, interessi che procrastinano all'infinito la nascita di un'Africa finalmente libera dal suo passato.
Tra queste due date c'è un accadimento che entrerà potentemente nell'immaginario collettivo e diverrà, per le terribili immagini dei bambini scheletrici vittime di una terribile carestia nata dagli eventi bellici, sinonimo di sofferenza umana: la Guerra del Biafra. Ed è negli anni di questa guerra civile che dividerà tragicamente la Nigeria che Wole Soyinka, intellettuale autenticamente libero e disinteressatamente engagé, si metterà in gioco rischiando la libertà e la vita. L'uomo è morto è il monumentale e potente rapporto che Soyinka redige sulla sua esperienza di prigioniero politico, sulla pericolosa partita a scacchi che coraggiosamente intraprende con il corpo e con la psiche contro polizie politiche e servizi segreti. Saggio o romanzo o reportage o tutte e tre le cose insieme, ha poca importanza; L'uomo è morto è un esempio chiaro e impavido di come la letteratura contenga in sé, nonostante tutto, la possibilità di una speranza, l'azzardo di una mossa che possa tentare di mutare il consolidato e irreversibile corso degli eventi storici e politici cristallizzato dallo spietato e ignobile immobilismo che nasce dalla crudeltà del potere asservito al denaro e agli interessi che avvantaggiano i pochi a danno dei molti.
Lo stesso Soyinka si interroga nelle prime pagine di questo libro sulla possibilità che un linguaggio narrativo possa avere la forza di decrittare tutta la follia della sopraffazione e se la forma del romanzo possa avere il vigore necessario per stigmatizzare e immortalare in un fotogramma di orrore tutta la meschinità spietata di chi si fa servo del sopruso e della violenza. È lo stesso divenire delle pagine che risponderà sia all'autore che al lettore, portando alla luce uno dei più grandi romanzi che mai abbia saputo descrivere quella spietata linea d'ombra che trafigge i singoli e le collettività. Ritratto estremo dell'anima di chi lo ha scritto e di chi ne è raffigurato, L'uomo è morto fonde il coraggio di Soyinka, la sua volontà indomabile di democrazia, l'insondabilità della tirannia, la tragica solitudine di chi, spesso suo malgrado, è costretto ad appoggiarla e la crudele menzogna di chi invece se ne serve come strumento di dominio dell'uomo sull'uomo. Altri orrori seguiranno, come il genocidio del Rwanda, altre contaminazioni tra le caleidoscopiche facce del potere, altre gradazioni di colpevolezza tra gli artefici e i figuranti dell'odio, ma L'uomo è morto si staglia nel panorama dell'orrore umano come narrazione definitiva che riesce a trapassare i tempi come soltanto quei libri che segnano un punto fermo nella storia dell'animo umano sanno fare.
Un libro.
L'uomo è morto, di Wole Soyinka (Calabuig).
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