martedì 14 giugno 2016

L'odore del riso. La recensione di Stefania Pastori


Una recensione estremamente interessante e approfondita è quella che Stefania Pastori scrive a proposito de L'odore del riso. Una recensione che porta un grande contributo alla interpretazione di questo mio libro. L'originale è qui. Buona lettura!

Un tempo, fui assistente di un pittore famoso negli anni '70, poi decaduto. Il suo motto era: “Il colore è tutto.” O forse era il motto di Carlo Carrà, non ricordo. Angelo Ricci potrebbe assumerlo come proprio. Il colore in tutte le sue declinazioni screziate ravviva ogni pagina del suo scrivere.
L'incipit è fulminante, inchioda alla sedia/divano/letto/tazzadelcesso e impedisce di pensare ad altro. “Io so tutto di voi.” Io chi? Voi chi?
Eppure, c'è già tutto. Lo spazio: quella troia della pianura padana. Il tempo: l'oggi coi suoi soldi sporchi da lavare. I protagonisti: gli americani del sud che costruiscono. Il cosa: villette a schiera. Il chi: il venditore/narratore, sgamato.
Patotas.
Daglielo al Mondo!
Si susseguono parole messe lì non a caso, ma solo per renderti incapace di capire. Si direbbe poesia in prosa, anzi, meglio, prosa in forma di poesia. Sensualità. Sessualità. Scorci. Squarci di colore e fiori e finestre.
“La Taverna. Insegna a pezzi. Plastica opalescente annerita dallo sfinimento dei neon. Memorie perse dai colori morti.” Ecco dove si trova la poesia di Ricci: nelle plastiche consunte. “Tir dalle bocche sguaiate e urlanti muggiscono la loro presenza definitiva. Muovendo pacchi caldi di aria bollente.” Ma anche nel movimento dei Tir. Una poesia che sorprende, che spiazza, che narra l'inenarrabile. “Io so tutto di voi.” Io chi? Voi chi?
Dopo un centinaio di pagine si capisce che quel Mondo con la maiuscola è una persona che fa lo sfasciacarrozze. Il “Daglielo” è l'invito a dargli un vecchio motorino arrugginito. L'invito è pretesto per un dramma consumato tra ragazzini. È preludio per la costruzione di uno dei personaggi chiave.
“Ancora una volta si volse a guardare la porta del garage. Era lì che era successo tutto. Era lì.” Per l'ennesima volta sembra riaffacciarsi un ricordo di una ricca ragazza grassa che appare a sprazzi. Per l'ennesima volta, Ricci non ce lo svela.
Poi c'è la faccenda di una ragazza nuda e prigioniera. Di uomini che si direbbero dalla parte della legge. Ma violentemente grezzi. La ragazza muore per sbaglio. Infine sapremo che è solo uno degli innumerevoli interrogatori a suon di pungolate elettriche, di cadaveri che spariscono nell'Atlantico dell'America del Sud.
Infine sapremo anche cosa successe nel garage. Ma non ne farò spoiler, perché è annodato strettamente ai cadaveri nascosti nell'Atlantico. E anche a colui che afferma: “Io so tutto di voi.”
Infine sapremo anche della parola misteriosa. Patotas. E il significato dell'odore del riso. Scopriremo anche come tutto si lega in una di quelle geometrie perfette che aprono il libro e lo chiudono. Ricci, geometra perfetto della narrazione. Dopo Scerbanenco, solo Ricci, che sta reinventando la narrativa gialla. Solo un difetto: gli spiegoni, ma si capisce che Ricci non avrebbe voluto farli.
Consigliato a chi ama gli incastri geometrici della narrazione, a chi vuole uscire dai consumati rigori del giallo. Ai poeti della banalità del male.

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