“Ci sono più cose in cielo e in terra… “ scriveva Shakespeare e in questo agile e utilissimo saggio veniamo a scoprire universi plasmati e celati dall’uso sapiente di luci e ombre, dalla significante allocazione di oggetti, di barriere, di figure che albergano mistericamente nella pittura forse enigmatica di Vermeer che, percorrendo la strada cifrata della simbolica cosmogonia che vive sotto la superficie dei dipinti dell’iconografia occidentale, semina flussi di ataviche e reiterate rimembranze di vita e di morte, di pace e di violenza, flussi pittorici che sottendono al flusso spermatico di inseminazioni che è punto Omega dell’incontro simbiotico degli esseri. Un costante feedback di informazione non genetica vive e palpita tra gli scenari (verrebbe da dire paesaggi umani) che nascono dal perimetro finito di questi dipinti, perimetro finito che tuttavia si schiude al perimetro infinito della informazione genetica. Così scrive l’Autore: “Tredici le opere attribuite a Vermeer con donna e finestra visibile, in altre quattordici la cornice della fonte luminosa non compare direttamente, ma se ne intuisce la prossimità. In totale per ventisette volte una donna si espone, pur ben coperta, alla luce che penetra da qualche apertura delle mura di casa”. Così scrive Bianca Tosatti nella prefazione: “I numeri parlano di gravidanze e inseminazioni, come nella geometria sacra in cui Tredici simboleggia l’eterna distruzione e creazione della vita. Ma Ventisette è un numero potente, prodotto da un quadrato per un cubo, e ventisette sono le opere in cui Vermeer espone una donna alla luce di una finestra (quadrato) che illumina una stanza (cubo)”.
Scopriamo così l’esegesi di una perenne annunciazione che ingravida la donna come eterno archetipo che trasmette la vita, una annunciazione che inizia addirittura nell’altrove degli umani, un altrove forse dominato da un demiurgo frutto di una gnosi apparentemente indifferente e tuttavia pregna della ricerca del significato ultimo delle parole e delle cose. La figurazione maschile, soldato o maestro o sapiente demone portatore di fascinose seduzioni, si pone più come ostacolo che come essenza di intermediazione carnale, ostacolo (con)fuso nella barriera di altri ostacoli (im)mobili, tendaggi o sedie o tavoli o credenze, ostacolo forse foriero di occulta e lacerante violenza, nella simbolica riaffermazione di uno spostamento virtuoso di confini raggelati dalla quotidiana, e per questo ancor più agghiacciante, concretezza del presente ma tendenti tuttavia all’incontro ineludibilmente necessario con l’infinita fonte di spazio tempo declinato dalla eternità di quelle particelle elementari, i fotoni, al contempo viventi sia come essenza sia come percorso compiuto dal messaggio genetico della luce.
Un libro.
Vermeer tra ombre e “colmo dei lumi”. La fanciulla, la donna e il raggio fecondo, di Augusto Iossa Fasano (Aracne).
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