Ho già avuto modo di conoscere le parole di Giorgio Scianna. Qualche anno fa, con Piersandro Pallavicini, presentai il suo Diciotto secondi prima dell’alba, in una dicembrina e nebbiosissima serata pavese. Ora esce Qualcosa c’inventeremo e ancora il lettore si mette in cammino per le strade milanesi e pavesi, uno sfondo di vie e piazze e luoghi che segnano le anime, che mappano e delimitano i confini dei sentimenti. Milano e Pavia, città che da secoli si osservano accigliate (la prima guidava i liberi comuni, la seconda stava col Barbarossa) in un intervallo di pianura che non è più quella del Po e non è ancora il limite del Resegone manzoniano. Si sente che Scianna conosce i luoghi, i sentimenti, l’anima dei suoi personaggi, si comprende che ne assume i loro riverberi, i loro riflessi, le loro immagini, diventando l’artefice, il demiurgo di una narrazione condotta con maestria e con la genialità dello scrittore di razza che ben conosce il modo di stare dietro le quinte, governando tuttavia il divenire dei suoi personaggi con piglio lieve ma sicuro. E così, diretto con narrativa abilità e bravura, questo romanzo lentamente coglie i suoi afflati da una contemporaneità screziata di tragedia e sentimento, di amore e di ovattata rabbia. Ne nasce una storia, un dipinto, dove un contemporaneo Signore delle mosche di goldinghiana reminiscenza, ma traslato attraverso la quotidianità metropolitana, di una metropoli in cui tuttavia sempre è celato un certo inquietante mistero di ballardiana memoria (e come non essere affascinati dalla fredda crudeltà di Cuneo, teppistello e microcriminale così affine nel suo giovanile delinquere al Molecola dello Snack Bar Budapest di Marco Lodoli e Silvia Bre), tenta di diventare padrone dei destini di due giovanissimi che combattono con coraggio una quotidiana battaglia contro quel fato che purtroppo mai è come vorremmo. Come non essere partecipi delle solitudini e delle gioie e degli affetti difficili dei due fratelli adolescenti rimasti soli, come non essere trafitti dalle loro vite che tanto ci ricordano certi ragazzi mitteleuropei raccontati da Ferenc Molnár, così eroici nella lotta nel loro piccolo e grande mondo. Qualcosa c’inventeremo è il racconto di un passaggio, di un rito quasi tribale di accesso all’età adulta, un rito che noi crediamo non possa più esistere mentre invece anche nella nostra coeva routine, fatta di devices e social network, sempre a noi si palesano quei Tristi Tropici che la nostra presunta civiltà si illude di aver abbandonato nella notte dei tempi. Come un antropologo che si avventura in nuove lande, Giorgio Scianna si immedesima negli slang, nei comportamenti che emanano da una collettività smembrata, dove anime e luoghi si (con)fondono alla disperata ricerca di un introvabile punto di appoggio. Qualcosa c’inventeremo va letto perché attraverso la sua lettura comprendiamo ancor meglio il nostro presente.
Un libro.
Qualcosa c’inventeremo, di Giorgio Scianna (Einaudi).
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