Scenografie capitoline, di vie e strade e angoli, che si palesano nella loro normalità foriera di nascosti tormenti, come quelle piazze metafisiche alla de Chirico, pregne di angoscia e per questo utilizzate spesso da Dario Argento come luoghi dei suoi incubi filmici, si ergono come un palinsesto sotto il quale si celano sensazioni e afrori di orrori che lentamente disegnano la loro trama di sangue su una cartina che è mappa di una Roma solitaria nella e della solitudine dei personaggi che popolano questo romanzo, trama di sangue che sparge il suo segno nero e carminio fin verso lagune toscane che, già dalla loro essenza e struttura geografica, denunciano e simboleggiano trasparenze e contaminazioni di storie, sofferenze, dolori che nascondono ben altre pene, afflizioni, strazi e supplizi.
Viaggio tra i luoghi, tra le strade, tra le abitudini di quel quotidiano affannato e nevrotico che è simbolo del quotidiano trascorrere di vite forse affaticate nel tentativo di scavarsi tane di apparente tranquillità nel moltiplicarsi delle trappole di un universo governato da demiurghi che si fanno beffe dell’umanità, Il nascondiglio della farfalla lentamente si trasfigura in una tragica vivisezione dei corpi e delle anime che diventa paradigma di una perversa sofferenza, questa volta comminata all’umanità da un demiurgo malvagio che tutto governa all’insegna di una crudeltà che si infiamma tra le pieghe di mostruosi uteri intenti a partorire divinità del male che si abbrancano ai corpi, trasformandoli in larve rese impotenti, nell’orrore di un cosmo retto da simulacri spietati che attraversano menti che sono diventate universi alla Hieronymus Bosch.
Un libro.
Il nascondiglio della farfalla, di Ippolita Avalli (Mondadori).
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