Terza parte di una trilogia diaristica (dopo Il cavallo di Caligola e La forma della foglia, entrambe anch’esse per i tipi di interlinea), dove la forma del diario e della raccolta di aforismi e di pensieri si trasfigura in opera letteraria autonoma, nella quale il sentire dell’Autore diviene ritratto ineludibile di un’epoca e delle sue forme e delle sue amarezze che sono anche quelle di chi le scrive, di chi le crea, di chi le ha vissute e sofferte
Pier Angelo Soldini, scrittore riscoperto, come tanti non lo sono ancora. Interprete di quei decenni che dagli anni Quaranta ai Settanta sono stati formativi di una società, di una nazione, perché no, di una collettività gravata da sempre dai tonitruanti proclami di fascistizzanti ventenni e da decenni di comunque incompresa (incompiuta?) democrazia.
Voce solitaria nella sua definitiva tristezza, cane sciolto nella sua determinata volontà, Soldini si fa non solo protagonista, come sono sicuro non avrebbe voluto, ma diviene traslitteratore delle difficoltose sembianze della immagine di in paese (paese come l’Italia, ma paese inteso anche come la sua amatissima Castelnuovo Scrivia, alla quale ritorna e dalla quale deve comunque andare via, sempre) che lascia ininterrottamente esterrefatti quelli che, come lui, come Flaiano, come Morselli e come altri, hanno tentato di interpretare andando in cerca di una difficile parvenza di significazione.
Voce insostituibile di decenni che paiono preistorici, mentre altro non sono se non i prodromi la cui comprensione è fondamentale per valutare l’evanescenza della nostra contemporaneità, Pier Angelo Soldini è bussola imprescindibile e scrittore insostituibile la cui lettura diventa lasciapassare necessario per il presente.
Un libro.
Il giardino di Montaigne, di Pier Angelo Soldini (interlinea).
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