Territorialità mitteleuropee
fanno da sfondo a questo romanzo, così come potrebbero fare da sfondo a
immaginari freudiani o, perché no, junghiani, gravidi di messaggi cifrati che
reinterpretano l’orrore del divenire storico.
Lernet-Holenia ci ha abituato
spesso nelle sue narrazioni a sfondi immaginifici che si trasfigurano in
simboli, in icone dal sorriso enigmatico che si alterano in lasciapassare che
potrebbero (possono) farci comprendere, in una affascinante commistione di
ironia e tragicità, quelle cupe e oscure sinergie ideologiche che hanno svolto
ruoli da protagonisti luciferini nelle crudeltà del secolo breve.
Basterebbe l’incipit, così
rimarchevole di influssi forse meteorologici, e che con la mente ci fanno andare a quella
perturbazione, simbolo di orrori mortali, che apre L’uomo senza qualità di Musil e, perché no, quella eroica Posizione di tiro di Manchette.
Quello sguardo verso inesauribili
pianure galiziane, rutene, polacche che, a loro volta, rimandano a infiniti bassopiani
ucraini che altro non sono se non il prodromo storico di raffinate efferatezze
che albergano, come attese tartariche buzzatiane, nell’infinita pianura di
un’Asia sterminata.
Da una parte le rimembranze
feroci di rese dei conti infinite fra baroni sanguinari al comando di cosacchi
zaristi e rivoluzionari rossi in seducenti battaglie nella Mongolia atavica e portatrice di cinesi
millenarismi, dall’altra influssi ancora eterei di prussiane mutazioni, in marcia
ormai verso accadimenti pangermanisti e hitleriani.
Nel mezzo un sinfonico
chiacchiericcio di impotenza che ci ricorda quello dei nobili russi in attesa
dell’arrivo napoleonico nelle prime pagine di Guerra e pace. Mentre su tutto e tutti aleggia una figura misterica
e satanica di Anticristo, introdotta dalle profezie di uno scrittore fallito.
Lernet-Holenia, con Un sogno in rosso, descrive quel tragico
sonno della ragione che da sempre ha generato mostri luciferini. E lo fa meglio
di un trattato storico.
Un libro.
Un sogno in rosso, di Alexander Lernet-Holenia (Adelphi).
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