Spazio che fonde tradizione millenaria e storia, sopravvissuto in qualche modo al turismo di massa da
rapallizzazione anni Sessanta (termine coniato da Indro Montanelli nel decennio
successivo, ad indicare l’ipertrofica speculazione edilizia che fiorì tra mare
ed entroterra), la Liguria
vive da sempre nelle parole dei suoi cantori, siano essi romanzieri, poeti o
cantautori. Ne è nata (ma è sempre nata, quindi c’è da sempre, come ogni mito
che si rispetti) una Liguria mitica e al contempo più reale del reale e che si
disfa con il racconto della sua storia e delle sue ataviche fatiche, di mare e
di terra, di qualsivoglia luogo comune.
Giorgio Ficara racconta, illustra, storicizza. Scrive della
Riviera del turismo elitario e di quella del turismo di massa, di quella della
tradizione, e della sua preziosa educazione, e di quella di oggi, che da quella
tradizione ha saputo trarre insegnamenti senza tempo.
Riviera non è un
bozzetto a uso e consumo degli enti del turismo. Riviera è un ritratto di quel luogo, vivente da sempre a mezzo tra
un appennino incombente e un mare che a volte è benedizione e a volte invece
tradimento sanguinoso.
Quanta storia esiste dietro il profumo del basilico? Quanta
fatica senza tempo è nascosta in un cappon magro? Quanta eternità si cela dietro
il profilo di un Ezra Pound o di un Max Beerbhom, che, incuranti eroicamente
della loro fama, semplicemente vissero tra quel mare che promette e quell’appennino
che smentisce?
Tanti anni fa mi persi nell’azzurro profondo degli occhi di
un’esile ragazza, nel silenzio del mare senza tempo di Boccadasse. Giorgio
Ficara me l’ha fatta ricordare.
Un libro.
Riviera (La via lungo
l’acqua), di Giorgio Ficara (Einaudi).
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