Qual è stata la genesi di Timira? Come è nata la vostra collaborazione?
Antar Mohamed.
La nostra collaborazione inizia nel 2002. Lavoravo come educatore in una struttura psichiatrica e ho
conosciuto Giovanni (Wu Ming 2) che era amico di un giovane che viveva là. Nasce proprio allora l'idea di ricostruire la vicenda di
Giorgio Marincola, il fratello di Isabella, partigiano assassinato dai nazisti
in quella che è stata l’ultima strage in territorio italiano, il 4 maggio 1945.
Nello stesso periodo Carlo Costa e Lorenzo
Teodonio stanno lavorando alla storia di Giorgio Marincola e ne parlano a
Giovanni. Giovanni me ne parla a sua volta e io inizio a cercare del materiale.
Alla presentazione di Razza partigiana,
nel 2008, Giovanni incontra Isabella e nel settembre di quello stesso anno
inizia a intervistarla. Dai loro incontri nascono 30 ore di registrazione.
Nell’autunno del 2009 comincia a nascere la struttura del romanzo. Purtroppo
Isabella muore il 30 marzo del 2010. Dieci giorni dopo il funerale chiamo
Giovanni per chiedergli che cosa si può fare di tutto quel materiale, di tutte
quelle registrazioni. Giovanni chiama l’Einaudi che dà l’ok per andare avanti.
Così nasce la nostra collaborazione che porta infine alla stesura di Timira, narrazione che ha in sé
l’intento di raccontare la storia di Giorgio e di Isabella in un contesto più
ampio.
In tutte le narrazioni che nascono dal collettivo Wu
Ming ci sono intersezioni tra il passato e il presente che fanno nascere una
sorta di passato/presente che è l’oggettivazione di quello che voi avete
definito lo “sguardo obliquo”, quel ritorno al futuro per mezzo del quale il
presente viene rivisitato e interpretato alla luce dei flussi storici. Inoltre
prestate sempre molta attenzione al backstage operativo della narrazione, quei
“titoli di coda” che non sono semplicemente un’aggiunta di note, ma una parte
fondamentale della narrazione stessa che, per mezzo loro, prosegue su altri
piani. In Timira come si collocano
questi ambiti?
Wu Ming 2.
Avevamo già deciso l’impostazione con Isabella. Non voleva che quello che stava
nascendo fosse considerato come le sue memorie. Pensava che, inteso così, fosse un elemento poco interessante. Abbiamo allora infuso la storia in un presente
narrativo che è quello del 1991/92. In quel periodo Isabella ha vissuto il
ruolo di profuga in un paese, l’Italia, che allora stava vivendo una profonda
crisi politica. Lei non era più stata in Italia dagli anni ’60 e quello che
ritrova è un paese irriconoscibile e in questo senso andava raccontata la sua
esperienza personale, la sua esperienza di donna in contesti storici e politici
difficili. Tuttavia dovevamo andare in cerca di quelle intersezioni di segnali narrativi
che possono illustrare meglio il presente attraverso il passato. C’era bisogno
di altro. Trovammo grande forza nei documenti. Il lettore ignaro aveva
necessità di pezze d’appoggio per capire quello che era stato il passato
coloniale italiano. Così abbiamo inserito degli intermezzi documentali. E
lentamente ci siamo resi conto che la storia riguardava non solo Isabella, ma
anche tutti noi come italiani e che il romanzo non poteva essere scritto che in
questo modo, intersecando il piano narrativo, anzi i piani narrativi, quello di
Isabella, quello del figlio e quello di chi aveva raccolto il materiale, e il
piano documentale.
Il 1991/92 a cui fate riferimento è stato, come avete
detto, un momento di grande crisi politica per l’Italia. E non a caso è un
periodo immediatamente successivo all’89, anno in cui, con la caduta della cortina di ferro, sono entrate in crisi appartenenze politiche
che avevano segnato la storia europea di tutto il Novecento. Come si inserisce Timira in questo contesto? Come intende
raccontare quel periodo di profonde mutazioni politiche e ideologiche?
Antar Mohamed.
L’appartenenza era anche internazionalità e la crisi di quelle appartenenze ha
fatto venire meno proprio il concetto di internazionalità.
Perché la storia di Giorgio
Marincola esce soltanto nel 2008? Che cosa ci ha raccontato questa storia? Che
la nuova realtà multiculturale è una nuova frontiera, è una nuova sfida. Ma una
frontiera e una sfida che già erano presenti nella vita italiana. Giorgio e
Isabella sono i primi meticci. L’Italia non ha mai voluto rendersi conto di essere stata meticcia.
In questo senso Timira vuole essere
una provocazione.
Wu Ming 2. In Timira
abbiamo tentato di far capire che la società meticcia è una sfida complessa.
Bisogna far capire che è una costruzione articolata, non è un pranzo di gala,
non è sufficiente limitarsi ad essere d’accordo. Timira invita a fare i conti con quello che in noi è il sentimento
della identità italiana, che è stato plasmato dal fascismo e dal colonialismo.
In realtà ognuno di noi non può eludere il problema del fare i conti con paure
e stereotipi. Non farci i conti sarebbe troppo semplicistico. Timira cerca di dimostrare la
complessità del nostro passato coloniale e di far capire quanto di quel
retaggio c’è ancora in noi.
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