mercoledì 12 ottobre 2011

Wu Ming, Finzioni e il Libretto Rosa

Come ogni storia che si rispetti anche questa nasce da un manoscritto fortuitamente trovato su una bancarella, nascosto fra manuali dalle copertine funeree, copie di riviste ingiallite e feuilleton da poco prezzo.
Non so cosa possa essere. Un diario? Un racconto? Una confessione che avrebbe dovuto rimanere segreta? Non lo so e, forse, non lo sapremo mai.
Ve ne riporto integralmente il testo.

Le arterie di Buenos Aires confondono il tramonto color del sangue, che si stinge sui muri delle case, con la pampa senza fine dove il gaucho canta in onore dei generali che lo guidarono in battaglia.
Spesso ho pensato che il tempo fosse una indecifrabile farsa messa in scena da una mente divina troppo stanca e, come una statua muta, rimango qui a fissare l’eternità del nulla.
La melodia tanghéra di Gardel rinasce dalla morte del giorno, quasi a farsi ambasciatrice delle raffinatezze ottuse della notte nel quartiere Palermo, mentre eternamente attendo che l’A Bao A Qu possa compiere la salita della scala della Torre della Vittoria, a Chitor.
Il senso delle dita scorre a misurare la mappa dell’impero che definitiva ci invade, abbandonando al suo passaggio tracce che ci avvisano stancamente dell’invasione di Uqbar.
Come giovani eroi che lasciata la natia Scandinavia, fucina dei popoli, cominciano l’inesorabile conquista delle terre del Danelaw, così bussano alla mia porta i quattro Senza Nome e coloro i quali si fregiano delle Finzioni.
A me, indegno monarca che ebbe in dono un milione di libri per vedersene subito privare dall’ombra calata sulle pupille, pongono una domanda: di chi è la Biblioteca? Di tutti o di nessuno?
Io, che gli intrighi fortuiti della Lotteria di Babilonia hanno nominato giudice di questa disputa, so per certo che la Biblioteca è solo di se stessa e di nessun altro.
J.L.B.

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