lunedì 10 maggio 2010

La costante rimozione di un destino

C'è un tempo che scorre e che porta via una gran parte di quello che siamo stati e, forse, anche di una gran parte di ciò che siamo. La nostra percezione di quello che sta intorno a noi è volubile ed eterea, come volubili ed eteree sono le idee, le impressioni, i sentimenti. Un mese di maggio. Di trentadue anni fa. Dalle foto, uomini e donne con cappotti, giubbotti e maglioni. In questi giorni, il freddo e la pioggia ci riportano un tempo desueto, che ci era da anni estraneo. Un punto d'incontro che tange due primavere fredde. Trentadue anni dopo. Difficile confrontare i pensieri. Trentadue anni sono ben più di una generazione. E il tempo rimuove e, perché no, distrugge inesorabilmante i ricordi. Fa di noi e del nostro comune sentire un'immensa tabula rasa, sulla quale danzano artefatti fantasmi multicolori, ricoperti di carta e di plastica. Siamo destinati e dannati alla ripetizione coattiva dei nostri gesti, immersi in un'atmosfera di gioia forzosa e forzata. Noi stessi siamo gli artefici della nostra maledizione.
1978. Trentadue anni fa. 1978. L'anno del quarto posto della Nazionale ai mondiali d'Argentina. L'anno della storia di Garage Olimpo.
Forse sarebbe opportuno (ri)leggere le pagine di un libro. Forse sarebbe opportuno (ri)vedere le immagini di un film.
Un libro.
L'Affaire Moro, di Leonardo Sciascia (Adelphi).
Un film.
Todo Modo, di Elio Petri (1976).

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