mercoledì 12 maggio 2010

La distruzione, di Dante Virgili (Pequod)

Nella mie peregrinazioni letterarie mi imbattei, qualche anno fa, in questo libro. Credo che non necessariamente di un libro si debba parlare una volta letto. Ci sono libri che devono sedimentare nella memoria, che devono sedimentare nell'immaginario, che devono sedimentare in quella zona grigia del nostro animo, che nasce dalla inevitabile ibridazione del bene e del male e che è propria di ognuno di noi.
Ne parlo ora. Ne parlo ora perché la sedimentazione si è compiuta anche nella mia personalissima zona grigia.
Un libro grigio, appunto. Non nel senso della banale mediocrità, perché nulla è così lontano dalle sue pagine come la banale mediocrità. Grigio come grigio è il Nacht und Nebel dei nazisti. Un grigio che non solo tende, ma porta al cupo. E porta al cupo non per un vezzo stilistico, bensì per una vera e propria determinazione ideale ed espressiva. Perché la Storia, o meglio lo sviluppo temporale di quell'orrore che è parte integrante di essa, porta inevitabilmente alla sofferenza, e qui giungiamo al divenire ultimo di quest'opera, e alla distruzione.
Perché quella distruzione che sta nel titolo si riferisce soltanto come pretesto all'attesa di una presunta guerra atomica che fa da sfondo alle azioni dei personaggi. In realtà la distruzione che Virgili espone è una sorta di obiettivo finale al quale la voce narrante anela con una voluttà quasi orgasmica. Ma è una voluttà perversa, corrotta, nascente da un insopprimibile desiderio sadico e masochistico al contempo.
Il sapore acido della banalità dell'orrore è quello che sorge dalle parole ossessive, compiacenti e compiaciute che trasportano queste correnti di sensi inquieti ed inquietanti. Perché è proprio nel compiacimento di ciò che di orribile si contempla, che si trova il nocciolo di questa narrazione.
Siamo lontani, e lo siamo a ragion veduta, da ipotesi salvifiche, nascenti forse dalla sofferenza. No. La sofferenza, subita e soprattutto distribuita, diviene il fine ultimo al quale tendere. E al quale tende, con una voluttà escatologica, il nazista personaggio e io narrante che, nella persistenza costante del ricordo, giunge ad una sorta di contemplazione quasi onanistica di quella commistione tra passato e presente, sempre venata dalla presenza costante e inquietante dell'orrore.
Ne La distruzione non c'è lo sfogo di un Céline, non c'è la constatazione di un Drieu La Rochelle, non c'è il delirio di un principe delle tenebre. Ne La distruzione c'è la contemplazione del nostro lato oscuro. Quel lato oscuro che porta non verso l'eternità del Male, ma verso quella, ben più persistente e perniciosa, del Nulla.
Un libro.
La distruzione, di Dante Virgili (Pequod).

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